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L’Africa spende 34 miliardi in un anno per comprare armi da Russia, Cina e Stati Uniti |
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L’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo sta portando avanti uno studio sul commercio di armi in Africa e il quadro appare piuttosto complesso. Le certezze sono quelle di un mercato clandestino incontrollabile, soprattutto sulle armi leggere, la mancanza di fiducia tra gli eserciti regolari e i loro stessi governanti e l’assenza di un apparato legislativo che ne regoli il commercio. Russia, Cina, Usa i maggiori esportatori. Nel gigantesco ambito del commercio di armi, i paesi africani non sono tra i primi acquirenti. Ma per un intero continente ricchissimo di potenzialità e tra i più affamati in assoluto, il traffico d’armi è uno dei settori più seguiti dai singoli paesi per quanto riguarda le importazioni. Le grandi multinazionali di armi di Russia, Stati Uniti e Cina perpetrano una politica colonialista in una terra già devastata dalla sua storia. Le cifre dell’Archivio Disarmo. "Secondo le fonti del Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) - spiega Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Archivio Disarmo - le spese militari in Africa nel 2012 risultano relativamente modeste rispetto a quelle di altre aree del mondo. Nel Nord Africa si registra un incremento del 7,8% rispetto al 2011, soprattutto in Algeria. Nell’area subsahariana, invece, per la prima volta si assiste a una riduzione del 3,2%. Uganda (che ha completato i suoi programmi di acquisizione di armamenti) e Sud Sudan (per problemi finanziari legati alla chiusura dell’oleodotto di Port Sudan) sono comunque i maggiori importatori della zona. Il Sipri, però, tiene conto esclusivamente dei maggiori sistemi d’arma (aerei, carri armati, missili). Sfuggono, invece, le cosiddette armi leggere (pistole, fucili, mitra, mitragliatrici, bazooka, mine, bombe a mano, munizioni), nuove o acquistate sul mercato dell’usato e impiegate sia da forze armate regolari che da gruppi ribelli". Egitto, Algeria, Libia i maggiori acquirenti. L’intero continente africano ha destinato alla difesa 34 miliardi di dollari nel 2011, di cui 14 nell’Africa del nord e 20 in quella sub-sahariana, a fronte di una spesa mondiale di 1.738 miliardi. Se Egitto, Algeria, Libia e Sudafrica e Etiopia da soli totalizzano oltre la metà della spesa militare africana, diventando tra i migliori acquirenti dei sistemi d’arma più sofisticati, la restante parte del continente sconta gravi deficienze in termini di equipaggiamenti, automezzi, addestramento e comunicazioni. Pochi soldati e scarso controllo alle frontiere. L’Archivio Disarmo spiega l’ingestibile situazione militare in Africa. "In Mali - informa Vincenzo Gallo, analista sull’Africa dell’Archivio - ogni 100.000 abitanti ci sono solo 46 militari, numero assai inferiore rispetto a molti paesi dell’area. In Senegal, per esempio, ve ne sono più del doppio (105), in Ciad 155, mentre l’Algeria, che vanta uno dei migliori eserciti africani, ne ha addirittura 408. La Nigeria, invece, colosso economico in Africa, non va oltre i 48 militari per 100.000 abitanti. Una tale esiguità di uomini si riflette negativamente sulla capacità di molti paesi a controllare le proprie frontiere. Nel caso del Mali, che condivide 6.500 km di confine con 7 stati, la carenza di personale è stata tra le cause principali che hanno favorito la circolazione incontrollata e l’insediamento di svariati gruppi di criminali dediti al contrabbando, al traffico di droga e armi leggere e ai sequestri a scopo di riscatto" . Nessuna spinta politica per la difesa militare. Un altro problema che rende impossibile una sia pur minima stabilità dei paesi africani è costituito dai sospetti di abusi di potere o di colpi di stato da parte degli eserciti sulle autorità delle singole nazioni. "Molti governi - continua Gallo - guardano da sempre con diffidenza il ruolo dei militari e temono che il loro rafforzamento possa rappresentare una minaccia alla sicurezza interna e alle istituzioni, anziché una risorsa. I reparti d’élite, se esistono, sono spesso impiegati esclusivamente per la protezione dei vertici politici e del loro entourage". Ecowas, il trattato che regola le armi leggere. La mancanza di un adeguato complesso legislativo che determini le regole sul commercio di armi (il Trattato internazionale sul commercio di armi del 2013, l’ATT, non è ancora entrato in vigore) rende l’Africa un paese debole e sottomesso, da sempre e ancora, a quelle nazioni che l’hanno dominato fino a un secolo fa, assieme ai nuovi poteri dell’Oriente. Il che si complica nell’incontrollato mercato d’armi leggere. "La Convenzione Ecowas (Economic Community of West African States) è l’unico trattato sulle armi leggere veramente vincolante per i firmatari - dichiara Simoncelli - perché prevede un meccanismo sanzionatorio in caso di violazione delle sue norme. Questo spiega l’estrema pericolosità dei traffici transfrontalieri, che sfuggono al controllo delle istituzioni". Armi leggere vendute con contratti regolari. Al loro arrivo in Africa, le armi sono vendute come fossero merce comune da multinazionali che stipulano contratti di compravendita, in un libero scambio vero e proprio che, solo in un secondo tempo, diventa ingestibile e irregolare. "Un fatto esemplare sull’impossibilità di gestire la situazione - conclude Simoncelli - è che le armi trafficate in modo illegale e clandestino, inizialmente vengono vendute attraverso contratti ufficiali e regolari. Per questo è estremamente necessario che i governi dei grandi produttori di armamenti (tra cui l’Italia) mettano in atto tutti i meccanismi di controllo per evitare che, alla fine del ciclo, queste armi non sparino magari proprio contro i nostri soldati, magari inviati in missioni di peacekeeping, come è successo in Iraq". Marta Rizzo,repubblica |
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