Aurora Giglio, arte per la difesa della tradizione
 







Rosario Ruggiero




Antichissima tradizione quella dei musicisti che si esibiscono per le strade o in occasioni festive e conviviali, a Napoli finirono col prendere il nome di “posteggiatori” dall’uso di eleggere un opportuno posto dove esibirsi, contribuendo significativamente alla divulgazione, per l’Italia e per il mondo, finanche nella gelida Russia, di quello straordinario fenomeno musicale che fu, ed è, la canzone napoletana. Musicisti quasi mai di formazione regolare, possono però annoverare nella loro storia artisti e riconoscimenti ragguardevolissimi. Il più celebre tenore di tutti i tempi, Enrico Caruso, fu posteggiatore, e posteggiatore era quello “Zingariello”, al secolo Giuseppe Di Francesco, che con i suoi melismi seppe incantare addirittura Riccardo Wagner che lo volle con sé in Germania dove il cantante restò per ben quattro anni. Salvatore Di Giacomo gli dedicherà “L’ortenzie”. Libero Bovio lo celebrò in versi.
Posteggiatore fu pure Eduardo Di
Capua, l’autore della musica di “’O sole mio”. Mimì Pedulla, violinista, fu applaudito al Cremlino dalla zar. L’arte di Vincenzo Marmorino era benvoluta da Umberto di Savoia e Giorgio Schottler si esibì nel 1938, a Roma, per il re e la regina. Mario Sarria suonerà al teatro di San Carlo.
 Oggi praticamente estinti per l’incidenza nella loro attività dei diritti d’autore e della sempre più dilagante tecnologia della riproduzione sonora, i posteggiatori sopravvivono nei modi e nel canto di sparuti, sensibili interpreti, come Aurora Giglio, napoletana, diplomata in pianoforte, studi per il corso di laurea in Discipline della Arti della Musica e dello Spettacolo con una certa attenzione rivolta all’etnomusicologia, quindi i primi anni di insegnamento scolastico in un comune dell’area vesuviana e così la possibilità di entrare in contatto con la più schietta musica popolare, in particolare quella delle antiche feste religiose, l’esplosione della passione per il canto popolare,
dapprima accompagnando la voce altrui con la fisarmonica, quindi esprimendosi con la propria, e, giacché sostanzialmente cittadina, la conseguente scelta di un repertorio maggiormente vicino e sentito, assimilato sin da piccola, praticamente con il latte materno, quello della canzone classica napoletana. Tutto ciò nell’elezione della specifica modalità della posteggia, coadiuvata di volta in volta da un chitarrista e dalla collaborazione stabile di Vittorio Cataldi, pianista, fisarmonicista, violinista diplomato, nonché compositore ed arrangiatore.
Perché la posteggia?
«Per il rapporto diretto che offre con il pubblico, senza alcun aiuto elettronico, per l’affascinante ampiezza  e varietà di repertorio necessaria (personalmente possono scegliere in qualsiasi momento tra oltre duecento diverse canzoni), per un impegno civile e culturale di tutela e recupero di un grande patrimonio artistico e di un fenomeno sociologico di una certa importanza, e per il
rapporto di forte complicità che si finisce con l’avere con il fruitore».
Tutto questo dove?
«Un po’ dappertutto, anche nei teatri e nei salotti, come discorso più ampiamente culturale, ma,  secondo tradizione, specialmente in feste matrimoniali e contesti analoghi».
In definitiva, cos’è la posteggia?
«Cantare a richiesta, e senza ausili elettronici, il repertorio classico napoletano accompagnati quasi esclusivamente da chitarra, mandolino, violino e semplicissimi strumenti a percussione, per una antica forma di spettacolo estemporaneo e distensivo che prende l’etimo, secondo alcuni, dai vetturini che una volta condotti al ristorante i turisti, “posteggiavano” la carrozza e, nel locale, intrattenevano, con i propri suoni, gli avventori appena accompagnati, secondo altri, dalla modalità dei musicisti di riservarsi il “posto”, depositando una giacca o in altro modo, secondo altri ancora, proprio dal “posto” fisso che avevano nel locale
dove si esibivano».
L’attuale realtà della posteggia?
«Una realtà abbastanza piccola. Pochi attualmente i veri posteggiatori per genuine origini napoletane, esclusiva scelta professionale e competenza musicale idonea».
Quale il suo profondo significato ed i suo possibile futuro?
«Ritengo che proprio nel suo più tipico significato trova possibilità di futuro. La posteggia è una fruizione della canzone, come fusione di musica e parole, ben più partecipata di tante altre modalità di ascolto, soprattutto più moderne e mediatiche. In una società che omologa e spersonalizza sempre più il rapporto umano diretto, la partecipazione spontanea, anche e soprattutto nella musica, diventa un tesoro preziosissimo, assolutamente da non perdere».
La tecnica vocale?
«Nella posteggia la voce non deve essere impostata alla maniera dei cantanti lirici, che cantano con più enfasi, per grandi sale, ciononostante deve essere necessariamente
potente a sufficienza, a differenza di quella del cantante di jazz o di musica leggera che fa uso di microfono ed amplificazione, da qui un’opportuna, particolare, smaliziata tecnica che, tra l’altro, non  trascurerà, ovviamente, ad ogni diversa occasione, la sapiente scelta del “posto” più idoneo dove collocarsi».