Doria, sindaco di Genova: "Governiamo con le armi spuntate"
 











In trincea, in prima linea. Immagini continuamente evocate quando si parla dei sindaci di Comuni grandi e piccoli. Percezione sentita da tutti  -  direi senza distinzione alcuna di schieramento politico, di Regione, di dimensione del Comune  -  coloro che ricoprono questo ruolo impegnativo e, oggi più che mai, difficile. In prima linea: l’espressione rimanda al rapporto diretto, immediato e non mediato, tra cittadini e amministrazioni (locali). Il Comune è senza dubbio l’istituzione più vicina alle persone, quella a cui si attribuiscono  -  non sempre a ragione  -  capacità di intervento che sono in realtà condizionate e limitate.
Limitate in particolare da tre fattori. Dalle norme al cui rispetto bisogna attenersi. Vale però la pena di interrogarsi sulla qualità di queste norme, sulla loro rispondenza alla necessità di risolvere grandi e piccole emergenze o piuttosto a una
autoreferenzialità che porta il sistema pubblico nelle sue articolazioni a parlare a se stesso invece che alla collettività. Dai condizionamenti imposti dallo stato della finanza pubblica che obbligano i Comuni ad adottare comportamenti rigorosi, e necessari, dopo anni di gestione non equilibrata delle risorse pubbliche. È opportuno domandarsi talvolta se le cure proposte non siano però tali da rischiare di uccidere il malato e di ribadire che se si pretende rigore allora lo si deve pretendere da tutti, senza fare eccezioni. Dai condizionamenti dovuti alla stanchezza di una pubblica amministrazione tanto indispensabile quanto bisognosa di una radicale trasformazione. L’avere elencato, una volta di più, fattori oggettivamente limitanti l’azione dei "primi cittadini" deve tradursi in un impegno reale a intervenire, con realismo ma anche con coraggio, su di essi. Credo che si tratti di una delle maggiori sfide per il governo nazionale, una sfida rispetto alla quale i sindaci non possono essere spettatori.
Con queste "munizioni", con queste forze, con queste armi spesso spuntate i sindaci sono in trincea. E l’immagine della trincea richiama lo scontro, non il confronto. Perché i sindaci pagano il deteriorarsi del rapporto tra persone e istituzioni, il discredito che investe la politica, il malessere e l’esasperazione dei tanti che vedono peggiorare il proprio status e di coloro che non sono disponibili a ripensarlo. Su questo piano si possono avvertire differenze tra grandi e piccoli Comuni. In questi ultimi la dimensione della conoscenza diretta, personale, tra amministratori e amministrati può in genere aiutare a stemperare tensioni. In una grande città un sindaco abituato a girare a piedi può essere conosciuto come persona del quartiere, il suo, che è parte limitata della città. Altrove è un alieno, ben riconoscibile data l’alta esposizione mediatica che caratterizza il ruolo ricoperto eppure visto non come individuo ma come "maschera", costretto spesso a
dedicare parte delle proprie energie a impostare correttamente la discussione con i propri interlocutori.
L’inadeguatezza (o l’astruso sovrapporsi) delle norme, l’insufficienza (o la non ottimale allocazione) delle risorse finanziarie, la fatica della pubblica amministrazione possono e debbono essere affrontate con provvedimenti corretti, dagli effetti positivi talvolta rapidi. Non mancano a questo riguardo idee e proposte: chiara e generalmente condivisa è la diagnosi, non è difficile individuare rimedi. Il fatto è che essi non possono essere unanimemente apprezzati; la loro adozione impone scelte e conflitti. E ciò rimanda al secondo "fronte" (per tornare alla metafora della trincea), quello della credibilità della politica, della sua capacità di costruire un progetto di società chiaro in cui tanti, i più, possano riconoscersi. Questa è politica nel senso più compiuto del termine, il contrario della critica a prescindere, della facile posizione di chi "bacchetta" gli altri senza
assumersi mai alcuna responsabilità.
Una politica che richiede capacità di lettura della società e del mondo globale in rapida trasformazione, riferimento a valori, scelta degli interessi da tutelare prioritariamente. La capacità di comunicare, pure essenziale, non può sostituire se non per un breve attimo tutto ciò. E i sindaci sono nel mezzo, obbligati protagonisti di una trama in cui aspettative e disincanto, esasperazione e disponibilità a dare il proprio contributo al "bene comune" si intrecciano costantemente. Se riusciamo a sciogliere tutti questi nodi aggrovigliati quello del sindaco può tornare a essere uno dei "mestieri più belli del mondo"; altrimenti si resta in trincea. Anche questo è oggi necessario. Marco Doria,repubblica