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Lo scaltro Ignazio La Russa fa presto ad incassare: «Apprendo che l’onorevole Fassino è d’accordo con la modifica dei caveat in Afghanistan». Il titolare della Farnesina-ombra borbotta un po’, ma ormai è fatta. L’attesa audizione dei ministri di esteri e difesa davanti alle corrispondenti commissioni di camera e senato si chiude con la certezza che l’opposizione è favorevole al cambiamento dei limiti della missione a Kabul. Più chiaramente: accetta che i nostri soldati partecipino alla guerra che si svolge nel sud del paese. Le morbide obiezioni dei giorni scorsi si sono disciolte come neve al sole davanti alla discussione di merito: Piero Fassino ha parlato dieci minuti buoni senza mai citare i caveat e la ministra ombra Roberta Pinotti ha alzato la voce solo per dire: «Non capisco perché dobbiamo discutere a lungo di una questione che è un dettaglio». In realtà, questa faccenda dei caveat è tutto fuori che un dettaglio. Già oggi, in situazioni di emergenza, i 2.600 italiani dislocati in Afghanistan possono essere chiamati ad aiutare gli alleati americani «in extremis» e solo in caso di «particolare necessità ed urgenza», con una decisione esclusivamente militare del comandante del contingente tricolore. Domani, invece, col cambiamento dei caveat, i militari italiani potranno essere «dislocati» nel sud e nell’est del paese, per partecipare anche a missioni piuttosto lunghe. Prima del via il governo italiano avrà sei ore di tempo per decidere, poi sarà fatta. Il ministro La Russa non la mette esattamente in questi termini. Anzi, dice e ripete che il problema più che di merito è di metodo. A nord ad Ovest e ad Herat, il nostro contingente non subisce alcuna limitazione. La faccenda sarebbe concentrata solo nel sud e nell’est dell’Afghanistan - ovvero nei luoghi in cui si combatte - e solo nel caso in cui la missione americana Isaf ci chiedesse di intervenire: «Finora non è mai successo, quindi il problema riguarda soprattutto il prestigio delle nostre forze armate. Attualmente, il governo italiano ha settantadue ore di tempo per rispondere all’appello, anche se davanti ad una eventuale richiesta risponderemmo immediatamente, in un senso o nell’altro, questo limite delle settantadue ore ci fa apparire meno disponibili degli altri contingenti». E ancora: «In realtà nella pratica non cambia nulla, perché oggi la risposta la daremmo comunque in sei ore, o anche in un tempo più ristretto. E di certo non stiamo modificando la qualità dell’impiego dei nostri militari. Si tratta solo di ridurre l’effetto negativo sulla nostra immagine che questo caveat proietta. Stiamo parlando dell’onore dei nostri soldati». Sulla differenza tra l’impegno del nostro contingente e quello degli altri paesi, il ministro sapientemente glissa, insistendo che abbiamo dei caveat limitativi «a differenza di molte altre nazioni». Sa bene che tra i tanti contingenti che partecipano alla missione in Afghanistan, gli unici a non aver posto dei limiti sono gli stessi Stati uniti, il Canada, la Gran Bretagna, l’Olanda, la Danimarca e l’Australia. Tutti gli altri hanno circoscritto, in vario modo, esattamente lo stesso punto su cui insiste il caveat italiano: la partecipazione al vero conflitto in atto, quello che avviene nel sud e nell’est dell’Afghanistan. Perché anche se se ne parla poco, la guerra nel paese c’è eccome. Due giorni fa è stato ucciso il centesimo soldato del contingente inglese, nella stessa azione - con un piccolo dispiegamento di forze, quella contro i talebani è una guerra di blitz e appostamenti - sono morti tre membri nella missione Isaf. E il principale problema sul tavolo della Nato è che negli ultimi mesi i contingenti che combattono hanno protestato, e molto, contro le truppe che non partecipano al conflitto. I canadesi in particolare sostengono che i tedeschi hanno rifiutato di rispondere a più di una chiamata di soccorso, mentre il comando Isaf insiste sulla necessità di una maggiore partecipazione «stabile» di altri contingenti al combattimento vero e proprio. La Francia, alcuni giorni fa, ha già aperto all’invio di truppe nell’est, la Germania è ancora contraria e la mossa dell’Italia sarebbe un passaggio importante anche rispetto alla posizione europea in ambito Nato. Tanto che Judy Ansley, vice consigliere per la sicurezza nazionale americana, ieri pomeriggio dava la cosa per fatta: «Credo che il governo italiano sia disponibile ad un maggiore contributo alla missione Isaf». Certo, si può sempre pensarla come Marina Sereni, Pd: «I caveat non sono la priorità del momento».de Il Manifesto |
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