Il marketing del premier ora mette nel mirino la Ue
 











Matteo Renzi

Matteo Renzi tornava sul luogo del delitto. S’intende lo studio di Porta a Porta, quello in cui Silvio Berlusconi firmò il contratto con gli italiani (“lasciamo stare, i contratti qui portano male”, s’è schermito l’interessato col conduttore insinuante). La sostanza è che il discorso che il premier aveva cominciato con gli italiani durante la conferenza stampa di mercoledì è proseguito su Raiuno senza soluzione di continuità, né bisogno di fastidiose intermediazioni giornalistiche: l’operazione sull’Irpef è praticamente già fatta, “le coperture ci sono”, “se a maggio non vedrete i soldi sono un buffone”, “se entro settembre sblocco il pagamento di tutti i debiti della P.A. lei (Vespa, ndr) va in pellegrinaggio a piedi da Firenze aMonteSenario”;“nonfaremola patrimoniale”, “entro il 25 maggio avremo la nuova legge elettorale e le riforme costituzionali approvate in prima lettura”. E così da una scultorea definizione all’altra.
L’operazione
comunicativa di Renzi ha una sua affascinante spudoratezza che davvero ricorda il miglior Berlusconi: “Stiamo cercando di rendere visibile il fatto che i soldi in più che dieci milioni di lavoratori si troveranno in busta paga saranno dovuti al “bonus garantito dalla manovra del governo”. Mi diranno: è marketing? Sì, è anche questo”. D’altronde la scommessa del nuovo presidente del Consiglio si gioca su una serie di azzardi. A partire da quello massimo. L’operazione politica di gran lunga più importante della giornata di Renzi, infatti, non è stata la chiacchierata con Vespa, ma l’inizio della sua strategia di attacco all’Europa, vero baluardo della conservazione dietro cui si nascondono tutti i suoi oppositori dentro il governo e la maggioranza.
La campagna è solo all’inizio e prenderà una forma compiuta solo dopo che il ciclo di riforme avviate con il Consiglio dei ministri di ieri sarà diventato legge. Già ieri, comunque, le bordate in direzione Bruxelles non sono mancate. Ha
cominciato di buon mattino il sottosegretario Graziano Delrio, ospite di Agorà: “ Io mi aspetto che la Germania comprenda i dati di fatto. Ora è stato avviato un profondo meccanismo di revisione complessiva della spesa pubblica e di riequilibrio conti pubblici. L’Italia ha un solo vero problema, il denominatore, cioè la crescita: i provvedimenti che la stimolano non vanno visti come misure allegre degli italiani spaghetti e mandolino. Siamo italiani che hanno un avanzo primario, quindi un’economia sana, ma la disoccupazione giovanile più alta in Europa”. E il deficit/Pil? “Non è un problema, le entrate fiscali possono aumentare grazie all’aumento del Pil”.
Nel pomeriggio è stato lo stesso Renzi a riprendere il filo del discorso in un convegno sull’Europa organizzato a Montecitorio. Il premier entra in corteo dietro Giorgio Napolitano e la presidente della Camera, se ne va da solo dopo un intervento brevissimo. A verbale resta la sua frase: “Il governo italiano rispetta tutti gli
impegni, ma dobbiamo fare in modo che l’Europa sia l’Europa dei popoli, dei cittadini, della speranza, non solo dei vincoli economici”. Un’unica citazione non di prammatica: quella per Romano Prodi, che ascoltava sorridente in platea. Un’altra, a spiegare come intende regolarsi con Bruxelles, di Dag Hammarskjöld, economista e segretario generale dell’Onu: “Al passato grazie, al futuro sì”. Conclusione: “Scriveremo una pagina significativa della storia se sapremo dire che il futuro lo dobbiamo costruire, non subire”.
Dopo di lui – e quando è già lontano, direzione Bruno Vespa - prende la parola proprio Prodi, che si appresta a divenire la copertura politica del premier nei consessi europei: dice che bisogna parlare di crescita “senza falsi pudori”; che “la strategia dell’Ue contro la crisi è stata la svalutazione interna, cioè l’aumento della disoccupazione” nei paesi periferici; che “i vincoli di bilancio sono una cosa seria” ma non c’è ragione di non togliere gli investimenti dal
vincolo del 3 per cento sul deficit; che “non abbiamo mai chiesto l’elemosina alla Germania, anzia abbiamo fatto il nostro dovere versando 50 miliardi nei meccanismi di solidarietà europea”, ma è impensabile lo sviluppo dell’Ue se Berlino ha “un attivo di bilancia commerciale di 277 miliardi di euro, superiore a quello della Cina, che poi accusiamo di squilibrare i mercati”. Chiudendo: “L’Italia è in equilibrio, ma le politiche in tempi di crisi non possono essere le stesse di quando c’è la piena occupazione”.
È il renzismo dal volto accettabile per Bruxelles, che infatti non azzanna Renzi nonostante un certo dilettantismo della nuova squadra non sia visto di buon occhio dalla tecnocrazia continentale. Ad esempio, è di ieri la notizia del primo buco ufficiale nelle coperture annunziate dal premier. Per “pagare” lo sgravio Irap alle imprese da 2,4 miliardi di euro, infatti, il governo alzerà le tasse sulle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento: secondo palazzo Chigi il gettito
sarebbe di 2,6 miliardi, ma un approfondimento della commissione Bilancio della Camera ha rilevato che l’introito al massimo sarà di 1,4 miliardi. Insomma, c’è il primo miliardo di buco dell’era Matteo. Succede. Marco Palombi, il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2014