-Una di noi- I miei sensibili alunni Gentilissimi direttori, sono un'insegnante della scuola elementare A. Cairoli di Roma, vi scrivo per esprimervi tutta la mia personale solidarietà e apprensione per la signora Giuliana Sgrena e anche l'augurio che la tristissima vicenda possa avere una rapida e positiva soluzione. Sabato sono stata con voi alla manifestazione ma ho voluto che anche i miei piccoli e sensibili alunni, ai quali da sempre ho insegnato il linguaggio della pace, potessero dare voce allo sgomento e allo sdegno di quanto sta accadendo in Iraq e non solo. Ho insegnato loro che la guerra è il più grande tra i tabù e che l'indifferenza all'altro è uno dei semi della violenza e dell'intolleranza. Da quest'anno ci stiamo cimentando nella stesura di un giornalino di classe e la nostra aula si è trasformata spesso in una piccola redazione laboriosa, con tanti cuoricini palpitanti e desiderosi di raccontare. Ho spiegato loro che anche fare il giornalista, specie nei paesi in guerra, è una professione di pace; il conoscere quello che accade in posti così lontani, il sapere cosa succede e come vivono le genti del mondo, l'entrare nelle loro vite, specie in quelle dei più poveri, dei dimenticati, degli invisibili, dei sofferenti e poi raccontare tutto ciò a chi non lo sa o a chi fa finta di non saperlo, vuol dire sollevare le coscienze, educare alla solidarietà, denunciare e rendere manifeste le ingiustizie, far sentire tutti più vicini. I miei bambini questo l'hanno capito ed è per questo che vi invio le loro piccole, semplici testimonianze di vicinanza e di pace. Com'è difficile continuare a insegnare e infondere la speranza a mia figlia e ai miei alunni, com'è triste continuare a dire loro che nonostante la malvagità possiamo farcela e che il mondo può veramente cambiare ma l'unico strumento che ho, nonostante l'impotenza di una semplice persona che rifiuta la guerra, è l'educare e a quello non rinuncio! Che le parole dei miei bimbi riscaldino il cuore dei familiari, del compagno della signora Giuliana e di voi tutti. Attendendo con fiducia il ritorno a casa di Giuliana... un carissimo abbraccio di pace. Marilù De Michele e la V C Il diritto delle lacrime Cerco di tenere duro ma a volte le lacrime reclamano il loro diritto; sono fatte per quello, per essere piante. Almeno tre volte: il 4 febbraio, alla notizia per radio del rapimento come se una mano nemica avesse oscurato i miei occhi sul mondo; alcuni giorni fa, sentendo la sua voce di donna prigioniera chiedere aiuto; stamattina, davanti alla vignetta di Vauro in prima pagina, che mi ha riempito di tenera speranza. Orgogliosa e felice di essere abbonata sono tutti i giorni lì con voi. Grazie. Rita Lambertini, Bologna Per un immediato ritiro Caro Valentino, sabato 19 abbiamo tutti partecipato alla grandiosa manifestazione promossa dal manifesto per sottolineare l'impegno del popolo italiano di ottenere la liberazione di Giuliana Sgrena e per ribadire la volontà di far uscire al più presto i soldati italiani da un'occupazione derivante da una guerra sciagurata, inutile e controproducente nella lotta al terrorismo. Personalmente, al di là del significato di tale partecipazione tanto sentita e veramente corale da parte di tutte le forze di opposizione e di tanti cittadini desiderosi di porre fine a una situazione insostenibile, desidero esprimere a te e ai compagni e amici del manifesto la più viva solidarietà anche per le iniziative assunte in ordine all'ignobile sequestro della vostra redattrice, nei cui confronti è necessario manifestare il più largo consenso che si estende, naturalmente, all'intero corpo redazionale del vostro quotidiano. In questo spirito desidero farti pervenire l'espressione dei miei sentimenti fraterni e amichevoli. Gian Piero Orsello, Ds Ci siamo ritrovati in tanti Eravano in tanti sabato scorso a Roma per liberare la pace. Ci siamo ritrovati con molti amici e compagni. Davanti al palco, mentre Ricky Gianco cantava un suo pezzo contro la guerra, noto Gabriella con le lacrime agli occhi. Mi dice: «Se fossimo riusciti a fare la stessa cosa per Enzo ... forse...». Anch'io aggiungo : «...forse...». Poi ci siamo abbracciati. Ogni tanto ci guardavamo in giro. Eravamo davvero tanti. Tantissimi. Mentre Dario (mio figlio, 14 anni) si divertiva a immortalare «la storia». Un abbraccio a chi c'era e a chi avrebbe voluto esserci. Gaspare D'Angelo, Bergamo Il nodo alla gola Cara Giuliana, ti scrivo questo biglietto sicuro che lo leggerai. Ho visto in televisione il tuo accorato appello. Ti giuro che sono rimasto sconvolto. Sono stato Roma alla manifestazione indetta per favorire la tua liberazione. Non ci conosciamo personalmente ma mi sento di dirti che tu sei mia sorella, sangue del mio sangue. La mia coscienza mi ha imposto di partecipare alla manifestazione di sabato per tentare di liberare la mia sorella Giuliana. Scusami ma non riesco più a scrivere il nodo che ho alla gola e le lacrime che mi scendono dagli occhi mi impediscono di continuare. Solo un'ultima cosa ti voglio tanto, tanto, tanto bene. Romeo, Roma Il suo lavoro per la pace Noi della Convenzione per la pace di Catania composta da associazioni religiose e laiche (cataniapace@yahoogroups.it) aggiungiamo la nostra voce al coro di tutti i pacifisti italiani, di quanti credono nel diritto dei popoli al rispetto della sovranità nazionale e dell'autodeterminazione, alla convivenza civile e ai diritti umani per chiedere con forza la liberazione della giornalista del manifesto Giuliana Sgrena e parallelamente il rispetto della popolazione irachena e del suo diritto alla pace. Per obiettivi di questo tipo la giornalista si è sempre battuta in Iraq e negli altri paesi in guerra nei quali coraggiosamente ha svolto il proprio lavoro di professionista non asservita a giochi di potere. Per questo i rapitori devono liberarla, perché possa contribuire ancora col suo lavoro alla causa della pace. Convenzione per la pace, Catania Robusta e delicata Come ti è sembrata questa manifestazione, Giuliana? Io penso robusta e delicata, come te. Se le distendi lungo il Mediterraneo, quelle persone che erano a Roma per te arrivano a portarti, dove sei, una lunga, dolcissima carezza. E non si stancheranno di esserti accanto fino a che non ritorni, libera. Carcerieri di Giuliana, noi stiamo facendo il nostro dovere, per Giuliana, per la libertà di parola, per la pace. Ora tocca a voi. Fate l'unico gesto umano comprensibile, utile, necessario: liberate Giuliana. Serena Luciani Con la zampa malata E sabato a Roma c'ero anch'io, con la mia zampa malata, gambale elastico e tutore, è stato il mio più corto corteo, circa due/trecento metri, poi a casa a mettere la zampa sul divano. E' stata una gran manifestazione, col silenzio e le lacrime, la speranza e la rabbia, la determinazione e la fermezza, con le nostre facce e le nostre bandiere, la sensazione «stanotte la liberano» e la consapevolezza che l'attesa metterà a dura prova la nostra pazienza bovina, la forza e la delicatezza dei nostri nervi. Compagni del manifesto sentite che tutto questo lo proviamo con voi, vero? Un abbraccio planetario, hasta la victoria! Silvia Palombi Gli striscioni nell'Arena Care/i compagne/i, domenica scorsa, abbiamo esposto dall'Arena due striscioni. Sul primo c'era scritto «Via le truppe dall'Iraq-No war», sul secondo «Liberate Giuliana-Liberate la pace». Sfortunatamente quest'ultimo non si è srotolato bene e risultava quasi del tutto illeggibile, ma il senso dell'azione era chiaro, anche perché, mentre in quattro ci trovavamo all'interno dell'Arena per «difendere» gli striscioni, altre/i compagne/i distribuivano un volantino in cui si chiedeva la liberazione di Giuliana e il ritiro delle truppe. Il tutto è durato mezz'ora, prima che le solerti forze dell'ordine arrivassero e ci invitassero a scendere. I quattro autori materiali del gesto sono stati identificati (nessuna conseguenza penale), ma le operazioni si sono svolte con molta calma, anche grazie alla presenza dei consiglieri (comunale e regionale) di Rifondazione. Molto positiva è stata la solidarietà e la partecipazione dei passanti, alcuni dei quali si sono fermati a discutere animatamente con i vigili urbani per chiedere (inutilmente) che non chiamassero la polizia. Anche da Verona (città ormai nota per le manifestazioni della Lega) un gesto di pace e solidarietà per Giuliana e per voi del manifesto. Un forte abbraccio. Marco PettenellaGiovani comunisti, Verona Torna presto Cara Giuliana, noi tutti da sempre appoggiamo il tuo grande impegno nel dichiarare il profondo dissenso verso le ingiustizie che la guerra provoca: tragedie di vite umane, incomprensioni di culture, di religioni, di tradizioni, di differenze. Solo dolori, solo distruzione, solo gente semplice che si trova nel mezzo delle decisioni dei più potenti. Mai nella storia dell'umanità qualsiasi guerra ha avuto e avrà diritti da far valere ma solo odio da far pagare. Pace in Iraq e nel mondo. E tu per favore, torna il più presto possibile qui! Tra di noi! Fondazione Pangea onlus Dobbiamo continuare Abbiamo sfilato in centinaia di migliaia sabato per le vie di Roma per chiedere la liberazione della nostra cara Giuliana e il ritiro delle truppe straniere dall'Iraq, comprese quelle italiane. Ma adesso dobbiamo continuare, ciascuno nel proprio ambito di lavoro, ad affermare quei valori, quei principi, quelle convinzioni che sono alla base della scelta di vita e della vocazione professionale di Giuliana. La manifestazione di sabato può e deve essere un punto di partenza e non di arrivo, per un percorso che - con Giuliana - veda protagonista la parte migliore (e maggioritaria) del popolo italiano. Massimo Bianchi, giornalista direttore del mensile TuttoTurismo Milano Da una lettrice cattolica Non avevo mai letto il vostro giornale. Circa un mese fa ho iniziato ad acquistarlo il sabato e la domenica soprattutto per le pagine dedicate alla cultura. Dal sequestro di Giuliana Sgrena lo leggo tutti i giorni e debbo riconoscere che è un bel quotidiano anche per una lettrice cattolica. Complimenti a tutti quelli che vi lavorano soprattutto per l'amore e la solidarietà che avete per la vostra collega che deve essere una persona straordinaria. Fate venire voglia di stare dalla vostra parte e di abbracciarvi tutti. Siete uno splendido esempio per chi scrive e per chi legge. Rita Cavalieri D'Oro, Milano -Niente limiti alla guerra- Il giurista De Fiores: con la riforma scompare il -tempo di pace- Per ora la riforma dei codici di pace e di guerra è bloccata. Dopo l'approvazione a sorpresa nelle commissioni difesa e giustizia di un emendamento che smonta la sostanza dell'articolato la discussione non è ancora ripartita. E di conseguenza è saltato anche l'arrivo in aula previsto per oggi. Ovviamente questo non vuol dire che il centrodestra abbia abbandonato il progetto, anzi. Secondo il costituzionalista Claudio De Fiores, l'idea di fondo contenuta nel progetto di legge 5433 è strutturale ed è quella di eliminare il confine tra pace e guerra. Da più parti si è detto che questo testo nega la distinzione tra tempo di pace e tempo di guerra contenuta nella Costituzione. Ci spiega meglio com'è possibile? C'è prima di tutto una ragione normativa. Nell'articolo 4 lettera «d» si parla di «confermare l'applicazione della legge penale di guerra ancorché nello stato di pace». E' un modo per aggirare l'articolo 78 della Costituzione, quello che fissava come presupposto dell'uso del codice penale di guerra la dichiarazione dello stato di guerra. E' una elusione doppia: prima di tutto il soggetto di riferimento non è più il parlamento, cui spetta la competenza di dichiarare lo stato di guerra, ma il governo che con un atto assoluto e arbitrario può definire l'applicazione del codice di guerra per decreto. E poi anche la distinzione tra tempo di guerra e tempo di pace viene meno perché non c'è più un atto risolutivo com'era la dichiarazione dello stato di guerra. Ci troviamo in una sorta di zona grigia dove i due elementi sono indistinti. Ma già da Enduring freedom in Afghanistan le missioni di peacekeeping usano il codice di guerra. Cosa cambierebbe? Sì ma a questo punto diventa organica, una parte integrante di un codice che altera lo stesso concetto di «guerra». Cioè? Nel Codice del `41 (quello riformato con questo testo) per guerra si intendeva guerra tra stati. Qui invece compaiono altre due ipotesi, oltre ai conflitti armati internazionali. La prima è quella della guerra civile all'interno dello stato, l'altra quella dei conflitti tra lo stato e «gruppi armati organizzati» e in questo caso non c'è alcun riferimento a quale sia il luogo in cui il codice di guerra si applica. Cosa si intende per guerra civile? Si tratta di capire quali interpretazioni vengono date a situazioni che rappresentano un pericolo per l'ordine pubblico. E' un crinale delicato, tutto viene rimandato al giudice. Diventa realistica l'ipotesi in cui un magistrato che ritenga ci sia il pericolo di una insurrezione armata solleciti l'applicazione del codice di guerra. E qual'è il rischio di considerare «belligerante» il terrorista? La guerra come risposta al terrorismo ripristina il conflitto a fini sanzionatori. E' sbagliato. Le azioni di terrorismo non vanno considerate come azioni di guerra ma come crimini contro l'umanità e i terroristi non possono essere considerati belligeranti ma criminali. Altrimenti si introduce una asimmetria. Tutto il sistema delle sanzioni si fonda sull'idea di un processo in cui ci sono le parti e un giudice in condizione di terzietà. Ma qui chi è il giudice? Il più forte? L'ipotesi che contro le azioni terroristiche bisogna bombardare gli stati è fuori da ogni logica. Vuol dire che se qualcuno dovesse imputare alla mafia velleità terroristiche gli Stati uniti potrebbero decidere di bombardare la Calabria e la Sicilia. E' vero che i giornalisti rischiano di finire in carcere con condanne fino a 20 anni se violano un segreto militare? Siamo su un terreno inedito, davanti alla riesumazione del codice penale militare con problemi che sono assolutamente inesplorati. La relazione che accompagnava il testo del `41 ammetteva già che gli articoli in questione, quelli che condannano chi diffonde informazioni senza autorizzazione, potevano apparire abnormi ma che in fondo, e stiamo parlando del `41, era più importante evitare che il morale delle truppe fosse fiaccato da informazioni disfattiste. Gli attuali legislatori invece hanno preferito non toccare l'argomento. Il governo, però, ha ripetuto più volte che questo codice si applica già nelle zone di guerra e senza che i giornalisti finiscano in galera.... Quando interviene una riforma strutturale di un codice la giurisprudenza precedente viene meno. Se fino ad oggi un giudice doveva tener presente che il testo era del `41, domani invece saprà che il legislatore del 2005 ha lasciato invariate quei reati perché li considera attuali. L'altro crinale pericoloso è quello della riesumazione delle norme contenute nel codice penale relative al tempo di guerra. Ad esempio quella che vieta di dare «provvigioni» al nemico... Quell'articolo è particolarmente inquietante perché considera reato fornire aiuto al nemico «anche indirettamente», una espressione che si apre a moltissime interpretazioni. E' una fattispecie talmente ampia da rendere difficilmente attuabile qualunque intervento sul piano umanitario. L'operazione di fondo è eliminare i testimoni dal terreno di guerra, il manovratore non deve essere disturbato. Cosa cambia per i militari? C'è una espansione enorme delle ipotesi di reato che quasi prefigura il ritorno al reato «militarizzato». La giurisprudenza costituzionale ha detto più volte che il reato militare deve contenere un nesso con la lesione di un interesse militare. Questo principio nell'attuale delega viene meno. E poi c'è un processo di disarticolazione delle conquiste democratiche all'interno dell'ordinamento militare basate sull'idea che l'ordinamento militare dovesse almeno in parte ispirarsi ai principi contenuti nella Costituzione. Si riducono gli spazi di democrazia, crescono i reati militari e c'è una espansione del controllo di legalità a vantaggio dei magistrati militari.de Il Manifesto 21.2.05 Sara Menafra
-Giornalisti, nuovi bersagli primari - Nel nuovo ordine mediatico i reporter hanno imparato a pensarsi come «bersagli» dall'epoca della guerra del Vietnam, quando l'informazione venne irregimentata perché il Pentagono scoprì che la perdeva nelle «redazioni americane», e dagli anni Ottanta in Centramerica Igiornalisti occidentali hanno avuto la netta sensazione di essere diventati per le parti in conflitto «primary targets» bersagli primari, e non più «targets of opportunity», bersagli occasionali o accidentali, negli anni Ottanta quando nella guerra civile del Centroamerica, cinque dei loro colleghi vennero uccisi nel Nicaragua e quattro altri nel Salvador. «El Choco», il guerrigliero che aveva attaccato e presidiato per giorni l'ambasciata degli Stati uniti di San Salvador, pur disapprovando l'ostilità generalizzata contro i mass media dei suoi compagni nel «Frente Farabundo Martì», ne fornì la seguente spiegazione: «Ormai guardiamo ad una telecamera della Nbc o della Bbc come ad un Howitzer da 105 puntato contro di noi; con le immagini che presentano e ed i commenti che le accompagnano sono forse più devastanti per la nostra causa dei pezzi di artiglieria impiegati dal signor Duarte su gentile concessione del signor Negroponte. La vostra televisione può essere anche amica, ma in combattimento non c'è tempo per i distinguo, anche se ne valesse la pena». La posizione dei telegiornali La stessa spiegazione ci era stata data dal comandante sandinista dell'insurrezione di Estelì in Nicaragua, quando, superato un posto di blocco della guardia somozista per raggiungere la città assediata il telaio della nostra Chevrolet venne perforato da qualche proiettile «rebelde». (Se ricordiamo bene, era presente con noi Catucci del Tg1). Diversa la situazione ma più aspre le accuse rivolteci dai giovani contestatori greci durante le violente dimostrazioni del 1990 contro la visita di Bush senior ad Atene: l'operatore del Tg3 Michele Capasso, uno dei migliori e più coraggiosi della Rai, era stato fatto bersaglio di fitte sassaiole e di qualche colpo di pistola e noi avevamo cercato di spiegare ai dimostranti la posizione del nostro telegiornale. «Obbiettivi o meno - fu la risposta - fate sempre parte di un sistema repressivo e gli fornite un'alibi». Un minimo di memoria storica Chi ha un minimo di memoria storica non può non far risalire origini, cause e concause di questa ostilità ideologica ed operativa contro i mass media occidentali all'irregimentazione degli operatori dell'informazione avvenuta negli Stati uniti dopo la guerra nel Vietnam, perduta, secondo l'indimenticabile battuta attribuita a Newt Gingrich «non sul Delta del Mekong ma nelle redazioni della 43ma strada e della Sesta avenue» (vale a dire, rispettivamente, le sedi del New York Times e della Cbs). La crisi delle grandi reti di informazione provocata dalla drastica e ben pilotata riduzione della pubblicità delle corporazioni industriali, i «mergers» e i passaggi di proprietà in mani più sicure, sempre filogovernative, l'avvento dello «infotainment», prima ancora dello «militainment», hanno presto ragione dei conati di resistenza dei giornalisti cosiddetti indipendenti, pochi, aimé, troppo pochi. Dopo il Vietnam e il Watergate il controllo mediatico diventa così un essenziale strumento di potere per tutte le amministrazioni repubblicane e democratiche. La controriforma trova zelanti seguaci in paesi alleati ed amici (l'americanismo recluta personalità illustri) ed investe organizzazioni internazionali come l'Unesco, rea di aver progettato un'agenzia di notizie indipendente per il terzo mondo. Le prove generali del nuovo ordine mondiale dell'informazionee vengono indette in occasione di Desert Storm, la prima guerra del Golfo.con una sceneggiatura da kolossal hollywoodiano: gli «inviati di guerra» non hanno più accesso al fronte, il loro ruolo è quello di recipienti dei video giochi del Pentagono e delle comiche finali del generale Schwarzkopf. Proibito parlare di napalm Proibito parlare di napalm , di cluster bombs, di uranio impoverito, di massacri di civili,militari e prigionieri irakeni. Lo fa, con pochi altri, Pete Arnett da Baghdad che dopo essere stato radiato dai ranghi della Cnn scrive di due o tre Cruise diretti contro la sua postazione. Unica eccezione nella grande provincia italiana il Tg3 di Sandro Curzi, bersagliato da molteplici dossier - denunzie dell'ambasciata degli Stati uniti e dalle invettive di parlamentari italiani come l'Onorevole Giorgio La Malfa. Dieci anni dopo i metodi adottati sono più energici, più diretti e certo non limitati allo «embedding» di giornalisti, redazioni e direzioni di quasi tutti i mass media. Eason Jordan, redattore capo della Cnn, viene costretto alle dimissioni per aver dichiarato il 28 gennaio a Davos che 12 reporter sono stati trucidati dai militari statunitensi in Iraq. Più modesto il bilancio di Ann Cooper, direttrice del «Comitato per la protezione dei giornalisti»: dei 53 giornalisti ed interpreti uccisi in questo conflitto solo 9 sarebbero quelli ammazzati deliberatamente dai marines (apparentemente non vengono calcolate le vittime nell'hotel Palestine e nelle sedi di Al Jazeera a Baghdad e a Kabul). Morire dalla voglia di raccontare Nel saggio «Morire dalla voglia di raccontare la storia» Nick Gowing della Nbc scrive: «Esistono ormai le prove che l'attività dei media nel conflitto viene considerata dai nostri militari sul campo di significato militare, tale cioè da giustificare azioni mirate a rimuoverla o almeno a neutralizzarla». La cortina di silenzio e di ferro calata sul genocidio di Fallujah, paragonabile solo a quelli di Coventry, Dresda e Nagasaki, sembra conferire validità assoluta alla tesi dell'esponente della tv Nbc. Non ci rimane altro che parafrasare quanto ci disse due anni fa Edward Bond: «L'informazione può liberare o portare morte. Come le bombe o il cibo va al cuore della nostra esistenza e le sue conseguenze vanno molto al di là delle une e dell'altro: il cattivo cibo avvelena chi lo consuma, la cattiva informazione è una pestilenza passata a chi deve ancora nascere. Le bombe distruggono le città la cattiva informazione da vita alla cultura dei produttori di bombe perché li convince di avere un diritto politico e morale di produrle e impiegarle».de Il Manifesto 21.2.05 Lucio e John Manisco
-La verità oltre la linea del fronte - Non c'è più un fronte. La guerra ormai viene portata in mezzo ai civili, vigliaccamente con i raid dall'alto, mentre gli assassini in divisa restano fuori dalla portata delle contraeree avversarie. Chi vuole raccontare le guerre dell'Impero deve rischiare la vita, come i civili del paese attaccato Le guerre dell'Impero sono guerre senza fronti di combattimento. Parlo delle ultime tre che abbiamo visto. Le altre non dovevamo vederle, ma queste dovevamo vederle perché erano paradigmatiche, servivano di esempio e di ammonizione. Kosovo, Afghanistan, Iraq, servivano per personificare il Male e per dimostrare al grande pubblico degli utenti mercificati che il Male può essere annientato. E chi lo annienta è l'Impero. Così sono usciti di scena Milosevic, Osama bin Laden, Saddam Hussein. Il prossimo sarà un ayatollah. Queste guerre - s'è detto - devono essere viste. Ma esclusivamente attraverso il filtro dell'Impero. Chi è fuori dal filtro - testimone importuno, anomalo - non deve raccontare nulla, vedere nulla. Servono, per questo, schiere di giornalisti embedded, pronti a ogni nequizia, e manipoli di direttori di giornale e telegiornale che hanno già superato ogni soglia di arrendevolezza nei confronti del potere. Embedded gli uni e gli altri: i primi in prossimità della battaglia, gli altri nei loro comodi uffici. E poiché non c'è una linea del fronte, poiché la guerra viene portata in mezzo ai civili, o viene realizzata vigliaccamente dall'alto, bombardando preferibilmente i civili, mentre gli assassini in divisa rimangono al di sopra della portata delle contraeree avversarie, inattingibili all'aviazione nemica, ecco che chi vuole raccontare le guerre dell'Impero deve rischiare la vita, come la rischiano i civili del paese attaccato, vecchi, donne, bambini. Bisogna farlo? Bisogna, perché altrimenti saremo sommersi dalla manipolazione. Ma bisogna sapere che si rischia la vita. Giuliana pensa così. L'essenziale è prendere le precauzioni necessarie, usare e astuzie possibili, in modo da ridurre al minimo il rischio. Ma il minimo non è uguale a zero. Giuliana ha dimostrato molte volte di sapere come e cosa fare, ma i pericoli sono ormai più alti di ogni calcolo. In Cecenia, da tempo, chi vi si avventura non ha modo di ripararsi. Questo accade quando entrambi i contendenti usano i testimoni scomodi per fare soldi o per fare politica. Allora entrare in quel carnaio è come puntare sul numero di una roulette, perché non ci sarà squadra di guardie del corpo di cui si sia certi che non ti userà come pedina. In Irak, ogni giorno che passa, è peggio. Guerra senza fronti significa anche che - se sono interessanti come paradigmi - vi operano avventurieri di ogni sorta. Sono ricettacoli di tutte le bande possibili. Sono campo privilegiato d'azione di tutti i servizi segreti. E, per definizione, tutti operano dentro la società civile, nei suoi anfratti, nelle sue ombre. Te li trovi al fianco, senza saperlo. Sono mimetizzati perfettamente, assai meglio di te che, per raccogliere notizie, immagini, devi scoprire il tuo ruolo. E, se non sai la lingua, non puoi evitare di essere individuato. E, poiché devi trasmettere, sarai controllato passo dopo passo. Il tuo telefono, prima di tutto, sarà ascoltato minuto per minuto. Sapranno dove vai, chi incontri, cosa scrivi. Vale per la Cecenia, dove il servizio segreto è uno, valeva per l'Afghanistan dove era un altro, vale per l'Irak, dove ce ne sono diversi in azione, vicini e lontani. I testimoni che non fanno parte del filtro sono i primi a essere tenuti «d'orecchio». Ed ecco che può diventare utile ucciderli, senza perdere tempo, oppure prenderli, rapirli. E catturarli può essere utile una volta a questo gruppo, un'altra a questo spezzone di servizio segreto, una terza a una squadra di killer sguinzagliata sul territorio proprio allo scopo di eliminare i testimoni incontrollabili. Ho il sospetto che almeno alcuni dei rapimenti e delle uccisioni che hanno toccato gl'italiani in Irak abbiano fatto parte di questa casistica assai complicata. Complicata anche dal fatto che non c'è gruppo, o formazione militare, paramilitare, terroristica, spionistica, che non sia in collegamento con altre, che non sia infiltrata, inquinata non meno che inquinante. Le trattative sono possibili (e si fanno) proprio perché esiste questo tipo di contiguità. E questa, a sua volta, dovrebbe fare giustizia di tutte le semplificazioni che i giornali (quegli stessi giornali e tv embedded che santificano la guerra tutti i giorni con quella che, giustamente, Ennio Remondino ha definito «idealpolitik») ci vendono disinvoltamente, assegnando a questo o quel gruppo «terroristico» ogni rapimento. Troppo semplice. Purtroppo non è così. I bugiardi professionali devono vendere sensazioni, banalità, spiegazioni facili. E sono pronti a sacrificare perfino la decenza. Figuriamoci se si lasciano distrarre dall'umanità. Per questo chi si avventura in queste guerre senza linea del fronte, in queste guerre bugiarde, in queste guerre vili, rischia la vita. Non solo perché ci sono molte forze su quei campi minati, che possono usarli ai loro scopi, ma anche perché, nelle rispettive patrie (e l'Italia è una di esse) c'è chi è pronto a venderli per proprio vantaggio, a coprirli d'infamia, a lasciarli soli, magari a salvargli la vita, se serve ai suoi sporchi interessi, oppure ad abbandonarli al loro destino (se si accorge che questo servirà meglio ai suoi sporchi interessi). Certo che bisogna rischiare, per raccontare un po', almeno un po', di questa triste menzogna che ci assedia ormai da ogni parte. Anche perché questa menzogna si sta dilatando, assieme alla guerra, è ci incalza da ogni parte. E presto, se non potremo fermarla, anche dire la verità qui da noi sarà rischioso come non lo era mai stato prima.de Il Manifesto 21.2.05 Giulietto Chiesa
-UNA DI NOI- Sconto di civiltà Oggi, alla solita edicola, stavo pagando il manifesto - ho esaurito i coupon dell'abbonamento - e l'edicolante mi ha fatto dieci centesimi di sconto. Al mio stupore ha risposto dicendo che è stato «autorizzato» da un altro cliente abituale, sostenitore del nostro giornale, che rimborserà all'edicolante dieci centesimi per ogni copia venduta. Cari compagni, succede anche questo: per la nostra urgente voglia di un mondo migliore, per la liberazione di tutti gli oppressi, per Giuliana. Domani rinnoverò l'abbonamento. Un abbraccio collettivo. Gabriella Zipoli Nonostante le diversità Cari direttori, al di là delle diversità politiche saremo sempre per la libertà e per la pace, contro la guerra. Fraterni saluti. Nuccio Fava, direttore de Il Campanile Il discorso dal palco Vorrei esprimere il mio sincero ringraziamento a Gabriele Polo per quanto ha detto dal palco della manifestazione. Ha saputo interpretare profondamente il sentire comune. Ha saputo lanciare un monito chiaro e dirompente a tutti i politici sul fatto che non è possibile alcuna ambiguità sull'art. 11 della nostra Carta costituzionale. Basta azioni militari travestite da azioni umanitarie. Ci aspettiamo tutti, come giustamente ha detto Polo, che il centrosinistra, una volta al governo, ci tiri fuori dalla guerra. Ma, perché questa aspettativa sia realistica, a mio avviso, occorre far uscire allo scoperto da subito quei personaggi dell'Unione che tentennano, che si astengono, che non partecipano ad appuntamenti come quello di sabato. La lettura di quali siano le priorità per chi fa questo gioco politico è chiara: collocarsi democristianamente al confine degli schieramenti politici per tentare di restare a galla pescando consensi in un'area elettorale ibrida. Può l'elettorato di centrosinistra tollerare che i valori della pace siano venduti o sacrificati al machiavellismo di un capopartito? Domenico Ciardulli Anche noi ostaggi con te Cara Giuliana, non sei sola, siamo tutti ostaggi con te. Ostaggi della guerra infinita e del terrorismo, della violenza e della paura, delle bombe e delle autobombe. Di chi fa la guerra per la democrazia e di chi fa la guerra alla democrazia, di chi dice di portare la civiltà e di chi cerca lo scontro di civiltà, di chi tortura e di chi taglia le teste, di chi bombarda e di chi rapisce. A Roma il popolo della pace è ritornato in piazza per dire che la tua libertà e quella dell'Iraq coincidono con la nostra libertà e per chiedere che l'Italia esca dalla guerra e la guerra dalla storia. Luca Salvi, Verona La nostra resistenza La forza delle parole: questo ci è sembrato il mezzo più importante per sentirci vicine a Giuliana, per farle sentire la nostra solidarietà. Non sappiamo come, ma sentiamo che il nostro messaggio comunque le arriverà. Ci siamo incontrate per ricordarla, per parlare di lei e abbiamo capito che dobbiamo continuare a dirle le sue parole, quelle «parole altre» che da sempre ci hanno raccontato quanto la realtà sia lontana dalla «verità ufficiale». Il suo aver dato la parola alle donne è uno dei grandi meriti che vogliamo continuare a ricordare, mentre aspettiamo con determinazione la sua liberazione. Continuiamo a portare avanti, tutte insieme, la nostra resistenza attiva attraverso le parole, per tenere viva l'attenzione e diffondere una cultura alternativa, quella che Giuliana ci ha raccontato. Centro donna, Livorno Governo cauto Grande successo della manifestazione per Giuliana, e il centrodestra non fa polemiche. Piove, governo cauto. Franco Kappa Reporter dentro la verità Cara Giuliana, una inviata di pace in un paese di guerra, come lo era il mio amico Tiziano Terzani. Una reporter dentro la verità per la verità. Questo ha rappresentato e rappresenta per me Giuliana Sgrena. La rivogliamo al più presto perché ci manca con i suoi reportage di vero giornalismo senza retorica. Arpino Gerosolimo Liberate il mio futuro Liberate Giuliana, liberate la pace, liberate il mio futuro! Alessandro Maggi (7 anni) con mamma e papà Per un piatto scotto Sto seguendo la cronaca del corteo su La7, sono naturalmente commossa, preoccupata, spaventata da questo governo che ci sta precipitando in un abisso di cui non si vede il fondo. Mi dispiace enormemente di non aver potuto partecipare ma non ho più l'età per passare due notti in treno (Milano-Roma-Milano) e stare in movimento tutto il giorno. Esprimo grandissima solidarietà al compagno di Giuliana e a tutti voi e voglio, fermamente voglio sperare che Giuliana torni presto (e con lei i nostri soldati). Se penso che questa dannata spedizione (di pace?) è stata decisa soprattutto per permettere al signor B. di mangiare un piatto di riso (scotto e scondito?) con l'altro signor B. davvero mi riesce difficile restare calma. Andiamo avanti e speriamo, speriamo, speriamo. Luisa Salomoni Al vostro fianco Cari compagni e compagne del manifesto, dalla Svizzera tutto il mio affetto e la mia solidarietà per Giuliana e quelli che lavorano con lei. A Genova, dopo piazza Alimonda, sfilavo dietro al vostro striscione, che mi dava orientamento in questa sinistra in «rifacimento». Sono ancora qui. Al vostro fianco. Marina Frigerio Magnifica giornata Vorrei fare i miei complimenti a tutti quanti hanno contribuito alla magnifica giornata di sabato: voi del collettivo, noi manifestanti, ma sopratutto ai genitori di Giuliana e Pier Scolari che hanno avuto il coraggio di trasmetterci lo spirito di lotta e di pace. Simone Donat Cattin Cultura di pace Siamo accanto a tutti quelli che si adoperano affinché Giuliana Sgrena, e chi come lei è stato rapito, sia liberato dall'ingiusta prigionia. La sofferenza di queste donne e uomini prigionieri, di tante altre donne, uomini e bambini in Iraq deve aiutarci a trovare nuove vie per la risoluzione di conflitti che portano dolore e morte in tanti luoghi. Il rapimento di Giuliana Sgrena ci fa sentire più acuta questa sofferenza, che entra nelle nostre case ma non dobbiamo essere insensibili quando la sofferenza ci sembra più lontana perché entra in case altrui. «L'odio non può essere mai vinto dall'odio» dice la nostra tradizione: impariamo a saper amare come Giuliana ha fatto nei suoi anni di duro lavoro e di denuncia del dolore dei deboli e con questa forza operare per la liberazione. Unione buddhista italiana Da una parigina Cari amici, poiché non sono potuta venire come avrei voluto (a causa di un'influenza dell'ultima ora), vi scrivo per dire che vi sono stata vicina durante tutta la manifestazione. Vorrei dire al compagno di Giuliana Sgrena, ai suoi genitori e a tutta la redazione del manifesto che ogni giorno vi penso tanto! Guardo con speranza, perché Giuliana era piena di speranza nel fare il suo bel lavoro di «vera» giornalista. Un messaggio in più, da aggiungere agli altri da parte di una «parigina» Catherine Develotte Amica del popolo iracheno Manifestiamo la nostra immensa rabbia per il rapimento di Giuliana Sgrena, esprimiamo piena solidarietà alle famiglie e lanciamo un appello ai suoi sequestratori affinché venga liberata subito. Giuliana non è una semplice giornalista ma è una donna di pace, amica dei popoli arabi, che si è assunta tutti i rischi, anche quello della sua vita, per sostenere con lealtà e professionalità gli iracheni. Liberatela. Ass. Al Wafa, comunità marocchina d'Ivrea. de Il Manifesto 21.2.05
-Una lettera che arriva da tutta Italia- Dal palco del Circo Massimo parole che impegnano tutti: la fine di un rapimento assurdo, la libertà di informazione, un giornalismo -nemico- degli eserciti e la fine di ogni guerra. Lacrime, emozioni e discorsi che concludono tra gli applausi la manifestazione dei cinquecentomila Cara Giuliana, è da un palco simile che parlasti il 24 ottobre del 1981, per avere finalmente una «Europa senza missili dall'Atlantico agli Urali». Lo ricorda alla folla del Circo Massimo Luciana Castellina, compagna inesauribile che si presta a fare da filo conduttore nella girandola di interventi sul palco di Porta Capena. L'emozione è tanta, quella commossa e dignitosa di Franco e Antonietta Sgrena. Quella di Gabriele Polo, che passeggia nervosamente prima di un discorso che mai avrebbe immaginato di dover fare. Quella di Mahnaz Bassam, che fu rapita insieme alle «due Simone» e oggi piange dopo il suo accorato appello per Giuliana in arabo. Quella di un'altra giovane donna rapita in Iraq, Simona Torretta. Quella di Pier Scolari, che non smette un minuto di rispondere con cortesia ai giornalisti e di parlare con chiunque senza mai una parola fuori posto. Sono le quattro e mezza, il Circo Massimo è già strapieno, e tra gli ultimi strapazzi della calca arrivano sul palco anche Antonietta e Franco. «Abbracciamoli tutti insieme» scandisce Luciana Castellina dal microfono. L'applauso dei «cinquecentomila» è fortissimo e commuove davvero i due anziani genitori, da sedici giorni sotto le telecamere e i flash dei fotografi quasi senza interruzione. Lungo tutto il corteo la folla li ha applauditi e il foulard da partigiano di Franco è un conforto che Castellina ricorda in sua vece con orgoglio. «Sono un vecchio partigiano - è il messaggio di Franco - e per questo non me la prendo con il popolo iracheno ma gli chiedo di aiutarmi a liberare mia figlia». Qualcuno trova due sedie, Franco e Antonietta finalmente si siedono dopo aver attraversato a passo spedito mezza Roma. «Vedere tutta quella gente ci ha riempito il cuore», dice Franco alla fine nel suo intercalare piemontese. E quando cerca la moglie con gli occhi la trova al suo fianco che sorride: «Più di questo penso che non si poteva fare. Spero che questo messaggio arrivi ai rapitori». Castellina ringrazia tutti, cerca di non dimenticare nessuno ma sa che è una missione impossibile. Parla dal microfono con voce ferma, piena di fogli, gli occhiali in mano, chiama Paolo Serventi Longhi, segretario della Federazione nazionale della stampa a dare inizio al «comizio» che conclude il corteo prima del concerto. Serventi ricorda che Giuliana «è una di noi, una giornalista del manifesto, ma è anche della sua famiglia, di uno splendido Pier Scolari, di tutti voi». Migliaia di giornalisti, italiani e non solo, hanno firmato un appello impegnativo per la libertà di informazione e di chi la rende possibile. Senza giornalisti «arruolati» negli eserciti, per un lavoro che «restituisca la pace all'Iraq e ai suoi martoriati abitanti». Quando Castellina ringrazia i registi e gli operatori che per il manifesto stanno girando una cassetta sul corteo una voce dal pubblico grida: «Mandatela a Rutelli». Chi ascolta ride e anche le polemiche, per un giorno, scivolano via più facilmente del solito. Accanto a Serventi c'è Antonio Pelayo, presidente della stampa estera in Italia, saluta la folla ed è colpito da una così grande manifestazione di affetto. Esattamente come Bahnaz Massam e Farid Adly, che a nome della comunità irachena in Italia dicono in arabo e in italiano: «Cara Giuliana, noi iracheni ricordiamo il tuo impegno, per questo diciamo ai tuoi rapitori, nel nome dell'Iraq e della pace, liberatela». Ma tra i fiumi e le città della Mesopotomia ci sono soldati e truppe, anche del nostro paese. «Questa guerra è diversa dalle tante altre che la hanno preceduta - dice Gabriele Polo un po' a braccio un po' leggendo - Oggi dal paese più potente del mondo arriva un rovesciamento della nostra lunga ricerca, una negazione dei nostri principi di civiltà come la guerra preventiva». «Giuliana, Florence, Hussein, tutti gli iracheni e noi stessi - ricorda Polo - siamo vittime di questa logica. Per questo oggi, nel chiedere la liberazione degli ostaggi chiediamo anche la fine di questa guerra. Ed è solo dall'Europa che il suo rigetto può partire». Il dramma dei sequestri infatti non è certo solo italiano, a ricordarcelo ci sono anche il francese Antoine de Gaudemar di Libération e il tedesco Matthias Nass di Die Zeit. E nelle ultime ore sono stati sequestrati anche due giornalisti dell'Indonesia, il più grande paese islamico del mondo. Miranda Martino canta e legge una poesia di Pasolini. E mentre sui megaschermi scorrono le foto scattate da Giuliana alcune fiaccole compongono su un prato la scritta «Iraq libero». Gabriele Polo conclude tutto nel modo come tutto è cominciato, quel 4 febbraio: «Cara Giuliana, quando tornerai, quando varcherai di nuovo la porta della nostra `casa comune' di via Tomacelli, ci metteremo attorno a un tavolo e con un bicchiere di vino ascolteremo le tue storie, come si fa tra vecchi amici, come si può fare solo tra compagni, ciao Giuliana e a presto». da Il Manifesto 20.2.05 Matteo Bartocci-Roma-
-Un enorme, silenzioso fiume di folla- Cinquecentomila persone hanno risposto all'appello lanciato dal manifesto Un corteo grande, pacato, indistinto, fatto di uomini e donne, non di sigle, ha percorso il centro di Roma per chiedere la liberazione di Giuliana e il ritiro dei soldati dall'Iraq Chissà se qualcuno di loro - i banditi, i terroristi o chi diavolo sono gli oscuri uomini che da sedici giorni tengono sotto chiave la nostra Giuliana - ha visto su uno schermo tv, o ha sentito raccontare al telefono da amici fidati, quel che è successo ieri a Roma: noi crediamo di sì e vorremmo tanto sapere che cosa ne hanno pensato, che impressione ne hanno avuto, che conclusioni ne possono trarre. Nelle strade di Roma, a chieder loro di liberare Giuliana - e gli altri e le altre che con lei sono sotto sequestro - c'era ieri pomeriggio in corteo un numero di persone di gran lunga superiore a quello di tutti gli stranieri, militari e civili, che occupano l'Iraq in cambio di sostanziosi stipendi; c'era un grandissimo corteo di uomini e donne, romani ma anche venuti da ogni parte d'Italia, che vogliono la liberazione non solo degli ostaggi ma dell'Iraq stesso, come degli altri luoghi sottoposti alla barbarie della guerra - e lo chiedono con forza e determinazione. Ieri lo hanno chiesto senza gridare, senza inveire, senza minacciare: raramente si è vista, almeno in Italia, una manifestazione così grande sfilare per ore quasi in silenzio e quasi senza slogan sugli striscioni che non fossero, ripetuti in innumerevoli varianti, quelli d'avvio: «Liberate Giuliana», «Liberate la pace». L'ironico «Rapite Fede», visto su un cartello, non bastava certo a cambiare il tono. Anche Emilio avrà sorriso. Nessun vero attacco al governo e nemmeno a George Bush (se non si considera il «Not in our name» sullo striscione degli Americani in Italia) al di là dell'ovvia e universale sfida, fatta propria da tutti i partecipanti salvo che da qualche leader politico: «Via le truppe, basta con l'occupazione». Non è un caso che la capitale abbia accolto il corteo senza timori o chiusure (non una saracinesca chiusa, non un commento ostile o ironico, neanche tra chi guardava senza unirsi) ma al contrario con affetto e simpatia. Pochissime anche le eccezioni al mesto e dignitoso silenzio del corteo: nessuna contestazione, nessun fischio, solo la musica in alcuni tratti - rap dal soundsystem del Pdci (ebbene sì), ritmi e percussioni dietro l'Unione delle comunità islamiche e poi ancora con una parte dei Cobas e con qualche centro sociale, sempre con gruppi di ragazzini scatenati a danzare - e un po' di grida in altri, a partire dall'instancabile «Libe-rate Oca-lan» del gruppo dei curdi, che per qualche strana combinazione veniva nel corteo dopo la striscione del manifesto ma assai prima del grande striscione «Liberate Giuliana - Liberate la Pace». Uno striscione che avrebbe dovuto venire avanti a tutti a dare il segno politico alla marcia; e che invece veniva soltanto dopo un'enorme folla non inquadrata, praticamente priva di ogni insegna, che camminava silenziosamente e aumentava via via, raccogliendo la gran parte di coloro - tantissimi - che aspettavano il lento corteo stando a bordo strada. Modesta e insicura organizzazione, certo - niente a che vedere con le ordinate manifestazioni sindacali o comunque «militanti», messe in piedi da professionisti; ma in fondo è un motivo d'orgoglio per noi del manifesto rivendicare anche in questo la nostra diversità. No, il corteo di ieri, soprattutto nella sua prima metà (quella più dipendente dall'organizzazione, se così si può chiamare, messa in piedi dal nostro giornale) non era certo una sfilata di sigle ma un tranquillo e caotico insieme di decine e decine di migliaia di persone «sciolte», desiderose solo di testimoniare con la propria personale presenza la solidarietà con Giuliana e l'orrore per lo scatenamento di ferocia che la guerra ha prodotto in Iraq. Eppure di sigle ce n'erano tantissime, in teoria: cattolici e comunisti, italiani e stranieri, partiti e sindacati, associazioni e istituzioni - l'elenco di tutte quelle che hanno aderito è tanto lungo da non essere citabile. Solo che, in gran parte, i loro uomini e le loro donne si sono disciolti nel corteo in modo individuale o a gruppetti, spargendosi un po' ovunque e perdendo la loro identità di bandiera - sempre di più man mano che si proseguiva verso la conclusione. Anche gli occhi lucidi - e spesso le lacrime - che abbiamo visto su tanti volti alla fine, nell'enorme folla radunatasi alla rinfusa davanti al palco di Porta Capena dove si pronunciavano i discorsi e si proiettavano le immagini scattate da Giuliana tra i bambini iracheni feriti, erano il segno di una partecipazione diversa, assai più intensa e personale di quella che si vede in altre occasioni. Sul palco le cose - riprese in mano da Luciana Castellina con tempra d'acciaio, dopo il disordine del corteo - avevano di nuovo un loro assetto «normale», con gli oratori, le luci, le telecamere e infine la musica del concerto, tutti messi come si deve in un grande evento politico e anche mediatico. Sotto il palco, quegli occhi lucidi e quelle lacrime, in quel silenzio composto rotto solo dagli applausi a chi parlava, erano il segno che davvero Giuliana è sentita da tutti come «una di noi»: una che sta pagando, e molto caro, il prezzo di fare in prima persona quel che il «popolo della pace» vuole che venga fatto. Chissà se qualcosa di tutto questo è arrivato anche al suo orecchio, a darle almeno un po' di conforto: sappiamo che è difficile, ma noi speriamo lo stesso di sì. da Il Manifesto 20.2.05 Astrit Dakli-Roma-
-Giuliana siamo qui-. Corteo senza confini Sui marciapiedi, nelle piazze, ai balconi c'è un'altra manifestazione da raccontare. C'è il -core de Roma- La pace in borghese Ci sono credenti e non, militanti e persone, chi dentro e chi fuori dal corteo. Vengono da tutt'Italia e da tutti i quartieri di una città amica Quando alla partenza del corteo le nuvole coprono il sole e il cielo comincia a regalarci i primi goccioloni d'acqua, un manifestante non più ragazzo non si tiene: «Ci risiamo, come il 25 aprile». Il 25 aprile del '94, naturalmente, a Milano. Anche allora il manifesto era stato protagonista di un grande evento. Portò fortuna quel corteo sotto il diluvio, fu l'inizio della fine del Berlusconi 1. Altra città, altro scenario ma ci sono alcune cose in comune tra i due cortei - e speriamo anche la conclusione positiva, sapendo che questa volta in gioco c'è la vita di Giuliana e di tutti i rapiti e le rapite in Iraq. Ma mezzo milione di persone che invadono la città hanno un altro obiettivo, ancora più impegnativo, lo stesso di chi le ha chiamate a Roma, il manifesto, con le parole di Giuliana: la pace, il ritiro delle truppe d'occupazione. La fine della guerra e della violenza, fuori dall'Iraq e dalla storia. Come il 25 aprile del `94 ma senza pioggia, solo una spruzzatina, non c'è un corteo ma due o tre. C'è chi sfila con o senza bandiere, dietro uno striscione o dove capita e c'è chi lo aspetta ai lati delle strade e delle piazze. Qualcuno entra dove vuole e qualche altro lascia il corteo a metà, in tanti restano fuori e applaudono. Sono venuti in centinaia di migliaia per vedere e per esserci. Per mandare un bacio o battere le mani a Franco e Antonietta, i genitori di Giuliana, lui con il fazzoletto rosso da partigiano ossolano, una roccia, una piccola roccia di montagna e lei con chissà quali sentimenti dentro, l'occhio vigile, sembra incredula e un po' spaesata, mani a tenere lo striscione. Il fuori del corteo è più folto del dentro, da piazza Esedra e via Cavour, dai Fori imperiali a piazza Venezia e giù giù, fino al Circo Massimo. Persone non inquadrate, intere famiglie senza simboli ma certo non senza cuore o con meno cuore di chi cammina con l'Arci o con il manifesto, con la Cgil o con i Disobbedienti. Persone che hanno pianto davanti al video di Giuliana costretta a ripetere da prigioniera quel che ha sempre scritto e tornerà a scrivere da donna libera, da «testimone di pace». Qualcuno le lacrime non le ha finite e ne sparge ancora. C'è chi in piazza Venezia ha voglia di ridere e fa girotondi. Non è sacrilega la voglia di ridere perché è «speranza di vita», un investimento per il futuro. Si guardano e si capiscono, il compagno del Prenestino che sventola una bandiera del vecchio Pci («la tiro fuori sono nelle grandi occasioni») e la suora che applaude in via Cavour («domenicana, prego»). Un signore («vengo da Trento, me l'ha chiesto Giuliana con quel terribile messaggio. Non sono abituato ai cortei, lo guardo da fuori») si avvicina allo striscione del manifesto e mi stringe la mano: «Bravi, sono con voi. Ma dopo questa incredibile manifestazione, che vi inventate? Come si fa a resistere se non la liberano subito?». Difficile rispondere, che ci inventiamo? «Niente - suggerisce un ragazzo curioso, impegnato ad arrotolarsi una sigaretta - perché domani la liberano, me lo sento». Che Dio ti ascolti, avrebbe commentato la suora se l'avesse sentito ma non può sentirlo perché è fuori dal corteo ma dentro la manifestazione. Inshallah, avrebbero ripetuto i tanti musulmani - iracheni e palestinesi, kurdi e marocchini - presenti alla manifestazione, anche loro un po' dentro e un po' fuori dal corteo. Chi scrive avrebbe dovuto raccontare la presenza cattolica al corteo: difficile riconoscerli, come ci diciamo con don Luigi Ciotti, «sono tutti e tutte in borghese», i preti i frati e le suore, molti ai lati del corteo ad applaudire. Con lo striscione, invece, ci sono gli scout dell'Agesci, pantaloni corti e bandiera della pace. Oppure, cambiando religione ma forse con lo stesso Dio, la «Federazione delle chiese evangeliche» e gli «Ebrei contro l'occupazione», subito prima degli «Statunitensi contro la guerra/ Not in my name». Ci sono anche quelli dell'ormai famosa «Comunità di Sant'Egidio». In silenzio i serpentoni fluiscono nella strada e sui marciapiede, un silenzio rotto dagli applausi. Si battono le mani quando passa il vecchio Ingrao (vecchio è affettuoso, non anagrafico e tanto meno ha a che fare con lo spirito e la sua lieve combattività), uno si avvicina e gli dice: «So tutto de te e de Giorgio», nel senso di Amendola. Non possono capire gli studenti del Mamiani, lontani anni luce da questi grumi di storia del Novecento. Fluiscono le persone diverse e i sentimenti che le unificano. Così, è ovvio che il cartello scritto a mano più applaudito sia quello che recita così: «Giuliana siamo noi». Noi chi? Quelli dentro e quelli fuori. Un vecchio cronista (valgano le precisazioni fatte nel caso di Ingrao) che dovrebbe tornare a fare il cronista che è il mestiere più bello del mondo, perché aguzza l'ingegno e stimola la curiosità, mi suggerisce, anzi mi impone di scrivere: «Il manifesto chiama nei momenti difficili e l'Italia migliore risponde». Si chiama Sandro Curzi il nostro suggeritore, e si capisce da come insiste sui particolari, sul «carattere spontaneo» della partecipazione, sui «sentimenti», che questo pezzo vorrebbe scriverlo lui. Scriverebbe che in piazza è sceso er core de Roma. Questo insistere sulla spontaneità non dev'essere inteso come una sottovalutazione del lavoro straordinario fatto da amici e compagni per la sua riuscita. Ne citiamo solo alcuni e nessuno ce ne voglia perché il manifesto e Giuliana, Pier e Franco e Antonietta ringraziano tutti, mezzo milione di persone e un centinaio di sigle e partiti, sindacati e associazioni. Citiamo l'Arci, la Cgil, la Fiom e il mondo dei credenti. Aspettando Giuliana.da Il Manifesto20.2.05 Loris Campetti
-UNA DI NOI- Una giornalista, un'amica La mia voce si unisce a quella di migliaia di italiani che con la manifestazione di ieri chiedono la liberazione di Giuliana Sgrena e ribadiscono il proprio «no» alla guerra, alla violenza e alle torture che ogni conflitto porta con sé. Giuliana è una donna coraggiosa: lo ha dimostrato ancora una volta nel drammatico video che ha lasciato tutti senza parole, chiedendo di porre fine alle sofferenze del popolo iracheno prima ancora di lanciare un appello per la propria salvezza. Giuliana non si è mai omologata alle verità ufficiali, ma ha sempre fatto contro-informazione a costo di raccontare anche realtà scomode come le terribili torture nel carcere di Abu Ghraib. Giuliana è una giornalista, un'amica, ma prima di tutto è una donna che non si è mai dimenticata delle altre donne, raccontandone i tormenti e le speranze. Ora più che mai l'eco delle sue parole risuona fortissimo: questo governo non può non ascoltarle. Lilli Gruber Siamo fiduciosi Siamo due giornalisti del quotidiano La Sicilia di Catania. Vogliamo testimoniare il nostro affetto nei confronti di Giuliana Sgrena. Siamo fiduciosi, tornerà a lavorare al vostro fianco. Carmen Greco e Giovanni Finocchiaro Senza riserve Aderisco senza riserve all'appello per Giuliana Sgrena pubblicato a pagina 18 del manifesto mercoledì. Per farlo non ho neppure bisogno di prendere le distanze dalle sue idee, come invece fa l'appello («Anche avendo idee diverse da Giuliana, dobbiamo...»). Le responsabilità di chi in Italia ci ha portati all'attuale situazione, violando la Costituzione, sono chiare. E purtroppo sono chiare anche le responsabilità di troppi colleghi che hanno passato sotto silenzio (o addirittura salutato con gioia) tali violazioni. Alessandro Achilli, giornalista professionista e redattore di Musica Jazz Noi, amanti della libertà Noi cittadini baschi, amanti della libertà, vogliamo esprimere solidarietà per Giuliana Sgrena e chiediamo la sua immediata liberazione. Amaia Zubiria, cantante; Alfredo Tamayo Ayestaran, jesuita; Ernesto del Rio, cineasta; Margarita Barreda Lizarralde, procuradora de los tribunales; Arantxa de la Iglesia Mendoza, procuradora de los tribuanles; Inaki Jiion Gonzales, procurador de los tribunales; Felix Bernardo Rojo Ojeda, abogado; Begona Urizar Arancibia, procuradora de los tribuanales; Elena Cea Quincoces, funcionaria administracion de justicia; Carmen Hunitis Oses, funcionaria administracion de justicia; Begona Fernandez De Gamboa, procuradora de los Tribunales; Nekane San Miguel, jueza de la audiencia provincial de Bizkaia; Abrahan Fuentes Lavin, procurador de los tribunales; Asun Zuluaga Uriarte, librera; Belen Palacios Martinez, procuradora de los tribunales; Mercedes Arrese-Igor Lazcano, procuradora de los tribunales; Rosa San Miguel Adalid, procuradora de los tribunales; Isabel Apalatergui Arrese, procuradora de los tribunales; Maria Dolores Artaraz Giménez, habilitada de procurador Lottiamo per la pace E' un duro colpo per l'Italia e il mondo intero quello inflitto dal rapimento di Giuliana Sgrena. Alziamo la voce anche noi, con tutta la nostra forza e la nostra tenacia, per richiedere la liberazione di Giuliana, Florence e Hussein. Con questo atto criminale si infligge un duro colpo a due forti anime che ci sostengono nel cammino per la costruzione di percorsi giustizia e solidarietà nel mondo. L'anima della vera informazione, quella che non si vende ai militari, ma quella che scende sul campo, incontra la gente, le famiglie, entra nella storia delle persone e trasmette al mondo intero quelle tragedie. Quelle stesse tragedie che in molti vorrebbero cancellare per trasmettere, attraverso i media, solo l'immagine artificiale del successo di elezioni concesse. Ma anche l'altra anima, quella che si impegna nella costruzione di una pace vera è colpita da questo rapimento. Quella che rifiuta l'assioma che grazie alla guerra si possa costruire la pace. Anche noi, come Giuliana, crediamo fermamente che guerra e pace siano due entità estranee e che solo attraverso la nonviolenza si possa arrivare alla costruzione di una pace vera. E per questo ogni giorno ci battiamo. Assieme a le mille anime del movimento. Amici del manifesto siamo con voi, abbracciamo voi e la famiglia di Giuliana, e verremo a festeggiare assieme a voi il rientro di Giuliana in Italia! Mani tese Da Sarajevo Cari compagne e compagni del manifesto, non avendo potuto essere con voi alla manifestazione vi mando via e-mail la mia forte adesione per la liberazione di Giuliana, di tutti gli altri prigioneiri della guerra e per la liberazione e l'indipendenza dell'Iraq. Gianluca Paciucci da Sarajevo La passione di Giuliana In occasione della manifestazione, volevo farvi arrivare la nostra solidarietà e il nostro abbraccio affettuoso a Giuliana Sgrena, di cui conosciamo e apprezziamo da sempre la competenza, la passione e l'impegno a favore dei popoli del terzo mondo. Anna Maria Gentili a nome del Centro Amilcar Cabral del Comune di Bologna Vicinanza Anche la voce, i sentimenti e l'emozione di chi non ha potuto partecipare ed esser fisicamente alla manifestazione, ma è stato lì con l'anima! Cecilia Sono con voi Sono una pensionata con difficoltà motorie. Non sono potuta venire di persona alla manifestazione ma sono con voi e la famiglia per Giuliana. Maria Laretto, Grana (At) Per un mondo di pace Ancora una prova, ma questa volta è tremendamente seria e difficile. Ieri èstata una giornata bellissima, ne sono sicura, perché moltissimi erano per le strade per dire ancora una volta no alla guerra, per manifestare la propria solidarietà ai compagni del manifesto, per la liberazione di Giuliana, per dire basta all'odio e alla vendetta e per affermare un bisogno sempre più forte di un mondo di pace.Vi sono vicina con il cuore e con la mente, con affetto. Pompea Ruggia Quando tornerà Dopo aver pianto assieme a Giuliana, un pianto di dolore e un gemito che ci pare emesso nell'angoscia di non essere ascoltata, noi che la sentiamo vicina e vorremmo essere lì a darle calore, attendiamo di piangere di nuovo di felicità quando presto ci verrà restituita. Toni Peratoner e M.Grazia Visintainer Anche se non fisicamente Sono cubana e vivo Siracusa da sette anni; mi servo di questa e-mail per stare più vicina a voi, ai familiari di Giuliana e a tutti coloro che in un modo o in un altro pregano, parlano e a volte anche urlano il bisogno di pace e tolleranza nel mondo, poiché senza l'una non può esistere l'altra. La guerra non è ne sarà mai una soluzione. Anche se non fisicamente vi siamo stati vicini durante la manifestazione per il rilascio di Giuliana e la pace in Iraq e nel resto del mondo. Ciao, Aned I lavoratori per Giuliana Aderiamo col cuore alla manifestazione di ieri «Liberate la pace», anche se non abbiamo potuto partecipare personalmente, siamo vicini a Giuliana, agli altri ostaggi e a tutto il popolo iracheno. Le Rsu sindacali dei lavoratori del Comune di Novate Milanese (Mi) Colomba vai A Giuliana Sgrena va tutta la mia solidarietà, è grazie a lei, al suo impegno, professionalità e coraggio che anch'io, come tanti altri lettori del manifesto, abbiamo l'opportunità di leggere notizie del mondo e dal fronte in Iraq. Colomba biana, vai e riportacela. Grazie Giuliana Antonio S. Antonucciodalla prigione di Fossombrone Ci abboniamo Abbiamo sempre comprato il giornale, ma dopo il discorso pronunciato dal palco della manifestazione da Gabriele Polo ci abboniamo. Grazie per la passione e la lucidità politica e speriamo di rivederci presto per una festa di libertà. Daniela Bezzi e Clara Mantica Sono toccato Cari compagni e amici del manifesto, vi scrivo per affiancarmi anch'io a tutti coloro che hanno dato la propria adesione per chiedere la liberazione di Giuliana e Florence e di tutti i popoli che soffrono per la barbarie delle guerre. Mi sento molto toccato dal drammatico rapimento, anche perché seguo il vostro giornale ormai da più di dieci anni, dai tempi del liceo, e leggere il manifesto ha senz'altro contribuito parecchio nella formazione del mio senso critico di uomo e cittadino. Io e la mia compagna Marta abbiamo partecipato alla manifestazione col comitato Fermiamo la guerra di Firenze. Un abbraccio. Daniele Marzeddu, Bologna E' insopportabile Cari compagni, mi unisco a voi nel dolore per Giuliana e per tutte le persone che stanno soffrendo ora in Iraq e naturalmente in tutte le altre zone del mondo dove le guerre e le devastazioni continuano ora dopo ora nel silenzio più assoluto. Sono certo che l'unica strada percorribile è la pace. non certamente quella imposta con le armi! Ormai è scandaloso il fatto che Bush e i suoi cani al seguito debbano continuamente imporre la loro oppressione imperialista, a coloro che per tradizione o religione pensano e vivono in modo diverso dal loro. Da che mondo e mondo è il popolo stesso che determina il proprio potere nazionale con ogni mezzo possibile... la storia è colma di esempi, invece il caro Bush pretende ancora ti conquistare la terra. Forse nella sua infanzia troppi cartoons lo hanno rovinato.... o forse ha perso completamente il senno. Scusate per il mio sfogo ma è insopportabile questo situazione mondiale! Giorgio Orizio La miseria della guerra Mai tempi furono così oscuri dal dopoguerra. La democrazia è una conquista e non un'imposizione: qualunque imposizione è per sua natura dittatoriale. Democrazia in Iraq? Credete che in Italia siano tutti accecati dai fumi del neo-patriottismo? La scelta politica italiana non è, ripeto, non è quella altruistica dell'instillare pane, pace e democrazia nei poveri cuori iracheni ma di tut'altro tipo, di quel tipo che puzza di militarismo yankee, giacimenti di petrolio e multinazionali che lucrano sulla distruzione, la miseria e i piccoli, invisibili martiri di una guerra non voluta, sicuramente subita. I martiri anche tra i soldati che hanno capito tutto l'orrore che solo la guerra può portare. La guerra genera guerra, distruzione, abomini, intolleranza, disperazione specie nelle popolazioni civili, specie per vecchi, donne, bambini innocenti. Questo forse importa a chi manda i ragazzi a combattere? No. Le dinamiche, soprattutto per questa guerra, sono illiberali, antidemocratiche e avide di denaro e petrolio più che mai. Chi ne fa le spese? I reporter di tutto il mondo con sete di verità e giustizia (gli altri stanno al caldo), i medici senza frontiere, i volontari, gente che consapevolmente ha scelto di esporsi disarmata in prima persona per lottare per un diritto inalienabile: il diritto alla vita! Liberate Giuliana Sgrena. Distinti saluti. Brabara Simoncini A favore della pace Vogliamo che Giuliana sia liberata, per continuare la sua attività a favore della pace. Maurizio, Donatella, Alessia. Un'arma in meno Uomini che tenete Giuliana, se non la liberate avrete un'arma in meno per combattere l'occupazione militare dell' Iraq. Gianni Lixi, Cagliari La mia identità Avrei voluto rispondere a Gad Lerner sul tema dell'identità. Dopo l'appello di Giuliana Sgrena non posso invece che assecondare le mie emozioni. Una eco profonda ti si insinua dentro, e dentro il tuo essere uomo si fa strada, direbbe Kirkegaard, l'angoscia della scelta. Come cristiano, antinazionalista, non violento non posso che urlare la mia identità. Identità in costruzione, mai statica, nella carne sanguinante della storia e delle storie. Identità tra identità in dialogo. Bene Giuliana drammaticamente afferma quello che ha sempre affermato, quello per cui ha (abbiamo) sempre lottato. Si fa strada l'angoscia della scelta. La scelta è ascoltare Falluja, ascoltare la vergogna di questa occupazione sanguinosa, fuori da ogni lontano diritto della ragione. Si fa stra un grido che chiede «Né una divisa, né un centesimo» per la barbarie esportanta con le baionette da una civiltà ignorante e prepotente. Hanno ragione Romano Prodi e Pietro Ingrao: fuori l'Italia dall'Iraq, fuori la guerra dalla storia. Anche per (con) Giuliana Sgrena. Francesco Lauria Dalla parte dei deboli caro direttore, mi accodo con dovere solidaristico e necessario spirito di ottimismo a tutti coloro che vi danno coraggio in questi momenti ricompensando moralmente una minima parte di tutto il vostro impegno a sostegno delle ragioni del torto, dei deboli, dei senza voce ricordando che anche dentro di noi si può trovare qualcosa di vantatamente targato Giuliana. Giuliana libera Massimiliano Guerrieri (Le) Viva partecipazione Con stima e ammirazione per il lavoro della giornalista del manifesto Giuliana Sgrena, esprimiamo viva partecipazione al momento difficile che vive e ci auguriamo di poterlo superare presto con lei. Le compagne di Spaziodonna, Salerno da Il Manifesto 20.2.05
class=titolo>-Una di noi- Dalla fine di gennaio ero qui per testimoniare la situazione di questo popolo che muore ogni giorno. Migliaia di persone sono in prigione, bambini, vecchi, le donne sono violentate e la gente muore ovunque per strada. Non ha più niente da mangiare, non ha più elettricità, non ha acqua. Vi prego mettete fine all'occupazione. (G. S.) Sempre più vicini Da giorni, ogni giorno, abbiamo notizie sul rapimento di Giuliana Sgrena, e l'abbiamo vista nel filmato che tutte le televisioni satellitari stanno trasmettendo nel mondo arabo-islamico: le siamo tutti vicini, grazie a questo tipo di informazione possiamo anzi essere tutti vicini fra noi, che desideriamo la pace e che lavoriamo per il dialogo libero e il confronto pacifico. Le tecnologie satellitari ci portano sempre più vicini, siamo accanto a voi anche oggi nella manifestazione per la pace e per la liberazione di Giuliana, Florence e Hussein. Fatema Mernissi, doc. sociologia all'univ. di Rabat Mohammed V e scrittrice In questo rio mondo Caro Valentino, speravo che la drammatica vicenda della vostra e nostra Giuliana Sgrena avesse una soluzione in non molti giorni di tormento e che si potesse festeggiare la sua liberazione entro un lasso di tempo non lungo. Non è stato così, e ogni giorno che passa porta con sé una dose aggiuntiva di angoscia. Desidero esprimere a te e al manifesto la mia solidarietà e la mia partecipazione affettuosa e commossa. Nei giorni scorsi consideravo tra me e me che in questo «rio mondo» sempre più «i migliori» sono chiamati a pagare con il loro sacrificio il prezzo dei crimini e degli errori dei «peggiori». Questa è la sorte di Giuliana, e suscita in me un immenso dolore. Né ci conforta il fatto che ella è divenuta il simbolo dell'Italia più nobile, più generosa, più intelligente, più limpida. Esprimo con tutto il cuore l'augurio di poterla presto rivedere fra noi. Ti abbraccio. Antonio Maccanico. Un voto che divide Esprimiamo la piena e affettuosa solidarietà al collettivo del manifesto e alla compagna e amica Giuliana Sgrena, sequestrata a Baghdad. Le nostre forze, piccole e grandi, saranno a disposizione per tutte le iniziative che possano contribuire alla sua liberazione. Noi pensiamo che anche questo rapimento sia il segno che nessuna normalizzazione è possibile in Iraq fino a che resterà l'occupazione militare. La vergogna della guerra non è stata cancellata da un voto di cui nessuno - salvo coloro che lo hanno organizzato - può certificare la validità. Un voto che divide il paese invece di unirlo. La grande canea propagandistica - cui anche forze di sinistra hanno ceduto - non modifica la nostra convinzione che la democrazia non si esporta con la guerra e massacrando la popolazione civile. Giuliana Sgrena è una combattente per la libertà dell'informazione e noi siamo con lei in questo difficile momento. Aderiamo e partecipiamo alla manifestazione a Roma per la liberazione di Giuliana. Associazione Megachip Sono con voi idealmente Cari amici, so che avrete ormai ricevuto centinaia di mail di solidarietà per Giuliana Sgrena, ma desidero aggiungere anche la mia. Vorrei tanto partecipare alla manifestazione ma proprio non ci riesco. Vi prego di considerarmi insieme alle migliaia di persone che sono con voi idealmente e politicamente, che sono da sempre contrarie a questa sporca e inutile guerra, che pensano che un giornalismo libero e coraggioso come quello di Giuliana sia oggi più che mai indispensabile. Un abbraccio. Elena Grossi, uff. st. Bruno Mondadori Grande partecipazione Vorrei esprimere la mia solidarietà nei confronti di Giuliana Sgrena e mi dispiace di non essere in Italia e di non poter partecipare alla vostra manifestazione. Mi auguro che ci sia una grande partecipazione e che le trattative procedano velocemente. Luisa Materassi I luoghi della ricerca Vogliamo esprimere la nostra voce per la liberazione di Giuliana Sgrena. Colpisce molto che il video in cui Giuliana in modo disperato chiede aiuto sia stato messo in onda dai suoi rapitori proprio il giorno in cui il Parlamento italiano approvava a maggioranza il mantenimento della missione militare italiana in Iraq. In un momento in cui le immagini sono diventate vere e proprie armi di guerra, sembra quasi impossibile poter esprimere voci di dissenso. Invece è importante fare emergere queste voci proprio lì dove si formano idee e si elabora pensiero, nei luoghi dell'insegnamento e della ricerca, nell'università quale centro di pace e per la pace. Dall'Università di Bari e dal convegno che qui si sta svolgendo in questi giorni su Roland Barthes, chiediamo che venga messo in atto tutto ciò che possa favorire la libertà immediata di Giuliana Sgrena e ci pronunciamo per una pace vera, in Iraq, dove le truppe di ogni paese devono essere ritirate, e ovunque nel mondo dove l'orrore copre ciò che ci sforziamo ancora di chiamare ragione. Patrizia Calefato, università di Bari Da un amico Un abbraccio a tutta la redazione da parte mia per Giuliana. Io sono ancora un po' malfermo per passare di lì, ma porto la mia solidarietà. Un bacio. f. ma. Una beffa Oggi, oltre al dolore per una persona che stimo e che sta soffrendo, provo una forte rabbia, perché Giuliana sta pagando per errori non suoi, ma che anzi lei stessa ha sempre denunciato. Questo paese sulla guerra in Iraq ha sbagliato tutto sin dall'inizio e continua a farlo. Il rifinanziamento puntuale della missione sembra una beffa. Ritirare le truppe oggi non significherebbe cedere a un ricatto, ma fare qualcosa che si sarebbe dovuto fare già da molto tempo. Domenico Procacci e la Fandango I due messaggi di Sofri Caro Pier Scolari, sono Adriano Sofri. Naturalmente non sarò alla manifestazione di domani. Ma ti sono vicino, voglio bene a Giuliana e penso da tanti anni che sia molto brava. Farei qualunque cosa - dico sul serio, qualunque cosa - potesse servire. Se a te venisse in mente non hai che da dirlo. Intanto abbiti i miei auguri più caldi. Cara famiglia di Giuliana, desidero dirvi che vi sono vicino con tutto l'affetto e la speranza di cui sono capace. Adriano Sofri Nel vostro interesse E' un dovere di uomo, come presidente dell'Associazione L'istruzione costruisce la Bosnia che si occupa di assistenza umanitaria ai bambini vittime della guerra in Bosnia 1992-1995, di invitare coloro che senza giustificazione tengono prigioniera la giornalista de il manifesto Giuliana Sgrena a non torturarla e di lasciarla libera. Il mestiere di giornalista è molto duro, responsabile e nobile e la signora Giuliana che ha lavorato professionalmente non ha intenzioni nemiche nei confronti del popolo iracheno anzi al contrario. E' vostro dovere umano di responsabilità davanti a dio di restituire Giuliana alla sua famiglia è nell'interesse vostro e del vostro paese che il mondo abbia una immagine positiva di voi. Gen. Jovan Divjak, vice comandante dell'esercito dell'Armja di Sarajevo durante l'assedio, in pensione Una lezione da ricordare Caro manifesto, non so quanto la mia solidarietà abbia un peso e un valore oggi come oggi, ma sento di dovervi dire che sono vicina a voi e soprattutto a Giuliana. La prima pagina di giovedì mi ha commosso profondamente, è la prima volta che comprando in edicola un quotidiano scoppio a piangere. Non penso che in questo pianto ci sia della pena ma piuttosto un senso profondo di compassione. Sento che mai come oggi dobbiamo sentirci l'uno vicino all'altro, siamo tutti una cosa sola, e Giuliana con il suo appello lo ha dimostrato, ci ha trasmesso la fiducia nel genere umano, il rispetto tra i popoli, e il senso profondo per la sua vita e per la vita degli altri. Una lezione che non dimenticherò mai. Con affetto e profonda fiducia auguro a voi tutti di trovare la forza e la lucidità per portare avanti le parole di Giuliana, per riuscire a farci comprendere profondamente questa situazione angosciosa e terribile per noi tutti. Nella maggior parte dei casi è la visione d'insieme che ci manca, ed è questa la vostra missione restituircela il più possibile veritiera e inalterata. Con stima e affetto Camilla Mazzitelli Contro l'ingiustizia Noi migranti lavoratori della Lear Corporation di Grugliasco (Torino), ci uniamo alle preoccupazioni dei familiari di Giuliana Sgrena. Noi lavoratori migranti ci sentiamo feriti come tutti quelli che si battono per la giustizia e per la pace. Noi lavoratori migranti facciamo appello a tutte le comunità e alle istituzioni per giungere alla liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Il nostro appello e la nostra trepidazione fisica e per la liberazione va a una giornalista, Giuliana Sgrena, che sappiamo aver fatto del suo lavoro uno strumento indispensabile di informazione, documentazione, testimonianza per chi si batte contro la guerra e l'ingiustizia. Lavoratori migranti della LearGrugliasco (Torino) In onda dalla Svizzera E' con una particolare emozione che assistiamo in questi giorni al dramma che sta vivendo Giuliana Sgrena, una collega della quale abbiamo imparato ad apprezzare le qualità professionali attraverso i suoi interventi nelle nostre trasmissioni. Oggi ci sentiamo particolarmente vicini ai parenti e ai colleghi di Giuliana per le ore di angosciosa attesa di una soluzione che vogliamo credere positiva del dramma della collega rapita. Con questo vogliamo esprimervi la nostra più totale solidarietà. I giornalisti dell'Informazione della Radio Svizzera di lingua italiana: Inaccettabili La vita e le sofferenze anche di una sola persona non sono accettabili quando provocate da una sete insaziabile di potere e ricchezza, mascherata da ipocrite affermazioni umanitarie. Chi la tiene in ostaggio? Chi le toglie la libertà di vivere, di raccontare? Speriamo che Giuliana salva torni presto e che possa riprendere a raccontare la vita. Anche noi in piazza a Roma per l'Associazione per la pace Irene di Pescia (Pistoia). Laura Papini Causa influenza Sono affranta: oggi non posso essere a Roma : questa bastarda influenza mi ha beccato nel momento meno opportuno. Sarò con voi con tutto il mio cuore, e spero che qualche televisione trasmetta la manifestazione in diretta,non solo sul satellite perchè io non posso proprio permettermelo! Un grande abbraccio a Giuliana e a tutti voi. Paola Lori Persona di pace Giuliana è certamente «una di noi», ma anche se fosse «una di loro» la vorremmo ugualmente libera. Come vorrebbe Giuliana persona di pace. Massimo Carboni Per avere meno paura In attesa del tuo ritorno, stanotte accenderò una candela affinché tu, come me, possa avere meno paura. Carla Giorgio Quante sofferenze? Aderiamo alla manifestazione nazionale di oggi, per la liberazione di Giuliana Sgrena; una donna che con i suoi occhi, le sue parole e la sua capacità di raccontare, ancora una volta, nonostante le condizioni inaccettabili di prigionia, ci ha insegnato il significato della dignità, della forza della passione, e del coraggio delle idee. Giuliana è un eroe del nostro tempo, una delle tante artigiane della pace che faticosamente hanno cercato (e continuano a ricercare) di incollare i cocci di un pianeta attraversato da ingiustizie tremende e segnato da una furia autodistruttiva sempre più folle e cieca. Quante altre sofferenze - di bambini menomati da moderne armi di distruzione di massa, di donne disperate per la perdita dei propri cari, di uomini privati dall'essere cittadini e di lavoratori - dovremo assistere prima di risvegliarci da questo sonno della ragione ? Benché il nostro non è che un piccolo contributo, vogliamo esprimere tutta la nostra vicinanza ed affetto per non lasciare sola Giuliana in questa sfida cosi difficile. Stefano Fancelli, presidente nazionalee Arturo Scotto respons. naz. movimentiSinistra giovanile Non siete soli Cari e care, vi comunico che il social forum degli Appuli e il comitato Attac di Grumo Appula aderiscono ovviamente alla manifestazione con la partecipazione di circa dieci nostri compagni e amici. Non siete soli; non siamo rassegnati. Abbiamo bisogno di stare assieme. Gaetano Colantuono, Gravina Prova di umanità Cari compagni, ho apprezzato moltissimo la vostra limpida posizione in questo difficile frangente: è in momenti come questi che si vede quanto valgono persone e ideali e voi avete dato una prova straordinaria di umanità e di coerenza. Tutta la mia solidarietà e la mia gratitudine a Giuliana, che rischia la sua vita per darci la possibilità di conoscere e di capire. Un caro saluto. Marco di Branco Una malvagità Sono un sopravvissuto in tre campi di sterminio: Dachau, Flossemburg e Leitmeritz. Al drammatico video di Giuliana Sgrena in lacrime, confesso che non ho saputo trattenere il pianto (sono un emotivo), di 85 anni già compiuti. Sono stato circa 300 giorni in quell'inferno. Mi sono trovato con venti nazioni di deportati, dove ti guardavano con disprezzo perché la colpa era di essere italiano. Nel giorno terribile in cui Giuliana Sgrena piange e invoca a mani giunte aiutatemi, in serata il senato approva il rifinanziamento fino a giugno di «Antica Babilonia»: una vera malvagità! Spero vivamente in un buon esito per Giuliana Sgrena. Oreste Moretti, Treviso Dall'alto dei miei 13 mesi Perché io possa continuare (a 13 mesi, cominciare) a credere nelle persone, perché io possa vivere in un mondo di pace, perché chi ti ama ti possa riabbracciare, perché tutti i bimbi abbiano l'occasione di diventare uomini e donne...torna Alice Bachetti con Massimo e Paola Dai campi da sci Carissimo manifesto, è da qualche tempo che vi sono fedele. Vi scrivo questa lettera dai campionati del mondo di sci a Bormio, dove lavoro momentaneamente, ma questo non mi distrae da ciò che sta accadendo alla nostra giornalista Giuliana, forse più che una giornalista è un'amica. Un'amica pronta a dire la verità anche quando essa è cruda, amara e molte volte difficile da accettare, ma anche amica di un popolo che soffre, riuscendo a cogliere non solo la parte politica, ma il lato sentimentale di questa gente che deve affrontare un momento spietato. Sono ottimista perché Giuliana è riuscita a guardare nel profondo, non si è fermata alla facile apparenza dei fatti, ha conquistato gli animi profondi della gente e lo farà anche con coloro che l'hanno portata via! Con la più grande solidarietà alla sua famiglia e alla redazione del manifesto. Forza Giuliana! Jennifer Forte, Bormio (Mi) Un segno visibile Vi siamo vicini e una luce alle nostre finestre accompagnerà la manifestazione per Gliuliana, come segno visibile della nostra presenza e della speranza di tutti. Angela Rigoli e famiiglia-Padova da Il Manifesto 19.2.05
-In quel video una denuncia della guerra- Nel giorno più drammatico dal rapimento di Giuliana, Prodi evita polemiche dirette: -Quel che mi ha colpito di più nelle sue parole è la testimonianza sulla situazione dei bambini in Iraq. E' importante che sabato a Roma ci ritroviamo in tanti, ma dovrà essere una manifestazione di voci soffuse- Nel giorno più drammatico dal rapimento di Giuliana Sgrena, Romano Prodi è fermamente deciso a evitare polemiche politiche sia con la destra che con i dissidenti della Federazione. Il candidato dell'Unione vuole soprattutto esprimere la sua piena solidarietà con la giornalista sequestrata, e prima di accettare un'intervista con il manifesto specifica che per una volta non accetterà domande specifiche sul ritiro delle truppe italiane in Iraq. Non in questa occasione, anche se proprio nelle stesse ore il senato vota il rifinanziamento della missione «Antica Babilonia». La sua posizione è nota, e comunque trapela dalle dichiarazioni rilasciate prima di aprire i lavori del «Cantiere» che dovrà mettere a punto il programma del centrosinistra. Quando, dopo aver confermato «il dolore e la stima per Guliana Sgrena», aggiunge che «la sua avversione alla guerra e la sua dedizione sono conosciute», è chiaro che Prodi esprime anche un parere personale. Se il professore cerca di mettere da parte le polemiche aperte non è per ipocrisia, ma perché ritiene che in questo momento sarebbero dannose per la liberazione della prigioniera. Pensa invece che si debba realizzare il massimo di unità possibile tra le diverse fazioni politiche. Dunque chiede a entrambi i poli e a tutti i partiti, di maggioranza e d'opposizione, «uno sforzo congiunto che faccia superare posizioni e barriere e che ci faccia progredire verso l'obiettivo comune di liberare Giuliana Sgrena». Per il resto si limita a un sintetico: «Richiamo solo il coerente atteggiamento che ho sempre avuto di fronte a questa guerra. Ma oggi l'unica cosa che posso dire è che dobbiamo chiedere una volontà compatta per fare tutto ciò che sarà possibile fare per poter salvare Giuliana Sgrena». Poi aggiunge: «Non ho l'autorità e nemmeno i mezzi e la competenza per un intervento diretto, ma sono a disposizione per tutto quello che può essere fatto. Presidente, cosa ha provato guardando il video di Giuliana Sgrena? Mi è sembrata così spaurita. Mi ha dato un'enorme impressione di fragilità, paura e angoscia. Ma quello che mi ha colpito di più è stato l'appello sui bambini iracheni. In quel video Giuliana fa un discorso sull'intera situazione della società irachena oggi. Quale discorso? Anni e anni di guerra hanno portato a una immensa tragedia, alla sofferenza di un intero popolo. Io credo che l'apertura di questo problema sia un fatto che ci accomuna tutti, che non divide ma unisce l'intero paese. Le pare che questo problema, che è poi quello fondamentale e più urgente, emerga davvero nel dibattito politico sull'Iraq? Il dibattito sull'Iraq è come tutti i dibattiti, purtroppo. Si concentra sul gioco politico e dimentica un popolo che soffre. Giuliana Sgrena nel video invita invece a tener conto proprio di questa realtà drammatica. Nel video pare che alcune frasi le siano suggerite... Certo, è probabile che questo aspetto le sia stato fatto presente dai sequestratori. Ma non c'è solo questo. E' una situazione che lei aveva già vissuto direttamente a lungo e denunciato. Io non la conosco personalmente ma tutti quelli che la conoscono, e sono tantissimi, le attribuiscono una particolare sensibilità su questi temi. Il suo non è solo un giornalismo politico, ma di grande passione umanitaria. Lei crede che il nostro paese, direttamente impegnato in Iraq, sia sufficientemente attento a questo aspetto umanitario? Lei conosce quello che è il nostro giudizio, direi oggettivo, sulla situazione dell'Italia in Iraq. Pur con limiti enormi, il comportamento delle nostre truppe è certamente il più umano possibile. Ma appunto: nei limiti enormi imposti da quel tipo di missione. Condivide l'ottimismo dei servizi segreti e dello stesso premier? Non ho fonti speciali. Ma anche a me, nella confusione di queste ore, sono arrivati alcuni messaggi di ottimismo da parte del governo. Quanta importanza può avere, per la liberazione di Giuliana, la manifestazione nazionale di sabato prossimo a Roma? Io spero che prima di sabato Giuliana Sgrena sia liberata, e che la manifestazione possa essere di ringraziamento e di sollievo. Ma secosì non fosse è importante che ci sia tanta gente, e che tutti mettiamo in primo piano esattamente gli aspetti di cui stiamo parlando adesso, quelli umanitari. Se posso usare questa formula, direi che deve essere una manifestazione di voci soffuse. Perché chiede una manifestazione non rumorosa e non «militante»? Perché non conosciamo nel dettaglio il contesto politico del sequestro. Dunque dobbiamo evitare qualsiasi gesto che abbia anche la minima possibilità di danneggiare la prigioniera. Ecco: io credo che esprimere una soldiarietà forte con il popolo iracheno e con le sue sofferenze non possa in alcun modo danneggiarla. Lei ci sarà sabato prossimo? Certamente sì. Presidente, lei, in questa occasine, preferisce evitare polemiche politiche dirette. Tuttavia in queste stesse ore il senato ha votato sul decreto di rifinanziamento della missione in Iraq e l'Unione, nonostante le divisioni di martedì all'interno della Federazione, si è schierata in modo compatto. Arrivati alla fine di questa vicenda, lei è soddisfatto di come è andata? Direi che alla fine la Federazione si è comportata come una federazione. Nella fase della formazione delle decisioni sono state espresse opinioni diverse, ma poi, una volta presa la decisione, è stata rispettata. Vuol dire che non poteva andare meglio di così? E' chiaro che sarebbe stato preferibile che ci fosse stata una maggiore concordia sin dall'inizio. Ciononostante tutto si è svolto in modo molto corretto. Non mi sembra che ci siano dubbi sulla sua soddisfazione dopo l'incontro con il presidente francese Chirac... Certamente. La frase che il presidente della Francia mi ha detto e che mi ha espressamente chiesto di riferire a nome del suo paese, della Germania e della Spagna è stata: «Non ci sarà una sola uniforme francese, tedesca o spagnola in Iraq». E' la stessa posizione dell'Unione... Esattamente. da Il Manifesto 17-2-05 Andrea Colombo
Iraq, truppe britanniche omicide Inchiesta documentata del quotidiano britannico: ordinata dalle autorità l'esumazione dei corpi di sei persone uccise nel sud iracheno Per l'uccisione di civili iracheni, nuove accuse contro i militari. Rivelazioni dell'Independent Nuove accuse alle truppe britanniche per l'uccisione di civili iracheni. Lo rivela il quotidiano britannico The Independent che, con una lunga e documentata inchiesta, racconta come le autorità abbiano ordinato l'esumazione dei corpi di almeno sei persone che sarebbero state uccise dai militari britannici nelle zone del sud Iraq, dove sono dislocate. L'Independent ha ricostruito sul posto le storie di questi uomini, tutti civili, e le circostanze della loro morte. Secondo il quotidiano due casi sono già al vaglio dell'autorità militare: Ghanim Gatteh al-Roaimi, ucciso mentre si trovava davanti alla sua abitazione dopo aver partecipato al matrimonio di un vicino, e Waleed Fa'ai Muzban, ucciso ad un checkpoint. La nuova denuncia giunge mentre in Germania si sta svolgendo il processo ad altri militari britannici accusati di aver torturato prigionieri civili. L'esercito ha riconosciuto che alcuni omicidi sono stati provocati da «errori», anche se nella maggioranza dei casi continua a negare ogni coinvolgimento. Per la morte a causa delle percosse del diciottenne Nadhem Abdullah al-Saqer, sette parà sono stati accusati di omicidio. Nel caso dell'insegnante Mohammed Abdul Ra'idh Salem, ucciso mentre scendeva le scale della casa di un amico perchè aveva sentito dei rumori, l'esercito ha ammesso di essere stato «ingannato». Presumibilmente dai militari stessi, che avrebbero cercato di nascondere la verità. «E' riprovevole - hanno detto i vertici militari - che questo incidente abbia provocato la morte di un uomo». La famiglia di Salem ha ricevuto un indennizzo di 825 sterline, mentre altre hanno ricevuto in media 550 sterline. Ma i familiari delle vittime denunciano anche che le indagini molto presto arrivano ad un punto morto e finiscono lì. In Iraq, a Bassora, dove le truppe britanniche sono dislocate dall'inizio della guerra, l'Indipendent ha incontrato la famiglia al-Roiami. Secondo il racconto del padre, il giovane Ghanem il 2 gennaio 2004 era appena tornato a casa dopo aver partecipato ad un matrimonio dove, com'è tradizione, gli ospiti avevano sparato qualche colpo di fucile in aria. Suo figlio è stato colpito alla schiena, mentre si trovava davanti alla porta di casa da militari inglesi arrivati su un'imbarcazione. Inutile la corsa all'ospedale, dove i medici hanno potuto soltanto dichiarare la morte di Ghanem. La madre del giovane «è uscita di senno». Il padre afferma che i militari britannici hanno portato via la porta della casa della famiglia al-Roaimi, crivellata di colpi. Quaranta giorni dopo i militari sono tornati e hanno riesumato il corpo del giovane che è stato portato a Najaf per dei test. Quindi è stato nuovamente sepolto e da allora, racconta il padre, «non abbiamo più avuto notizie dell'inchiesta». L'altro caso al vaglio delle autorità militari è quello di Waleed Fa'ai Muzban, quarantaquattro anni. Il 24 agosto 2003 verso le sette di sera l'uomo stava portando un pulmino a casa di suo fratello a Bassora, quando ad un checkpoint è stato ucciso dalle truppe britanniche. Il fratello di Muzban racconta all'Independent che un soldato ha gridato a Waleed di fermarsi, ma l'uomo non ha sentito a causa del forte vento. I militari hanno aperto subito il fuoco colpendo Waleed al petto e sul fianco, uccidendolo. La famiglia ha ricevuto un primo e unico risarcimento di 550 sterline. In seguito è arrivata la lettera dell'esercito britannico con le scuse alla famiglia di Waleed, per quello che definisce «un tragico incidente». Gli altri casi rivelati dal quotidiano britannico sono quello del proprietario di un negozio di cd, Jawad Kardham Bahir, ucciso sul tetto della sua casa dopo che dei bambini avevano fatto scoppiare dei petardi. E quello di Hassan Izbali, un commerciante che, durante una manifestazione di protesta contro gli occupanti aveva deciso di chiudere il negozio e di tornarsene a casa. Non ha fatto in tempo: è stato ucciso da due proiettili sparati da militari britannici.da Il Manifesto 17.2.05 Orsola Casagrande
Iraq, appello della stampa Un appello partito, in modo del tutto spontaneo, dai giornalisti e dagli intellettuali iracheni. Rilanciato dai media locali, quelli che segue la gente che vive in Iraq, martoriata da una guerra senza fine, dentro cui è finita anche Giuliana Sgrena, rapita dopo aver raccolto le testimonianze dei profughi di Falluja accampati a Baghdad. E oggi, quello stesso appello, a cui hanno aderito anche due partiti che hanno partecipato alla tornata elettorale, sarà di nuovo pubblicato sulle pagine dei principali quotidiani iracheni. E non solo: a rilanciarlo sarà anche la tv satellitare Al-Diar, molto seguita nelle città irachene. In effetti l'appello ha raccolto le firme delle principali testate irachene e delle organizzazioni che rappresentano la vitalità culturale di quel paese. A firmarlo sono stati infatti il Sindacato dei giornalisti di Bassora, le Agenzie di stampa operanti in Iraq, l'Istituto di formazione del governatorato di Bassora, i Canali satellitari Faihaaa, Diyar, Fourat, Annakheel e giornali di peso come Al Mannarah, Al Haqiqah, Shatt Al Arab, Arrai Al Aam. E ancora: la Lega degli scrittori iracheni, L'unione dei poeti popolari e scrittori della letteratura popolare, l'Associazione degli artisti e l'Unione dei musicisti. E poi: il Partito comunsita iracheno e il Partito nazionale democratico. Le firme sono, in tutto, venticinque. Una vera mobilitazione, una pioggia di adesioni da parte della parte più impegnata del paese, che reputa il rapimento di Giuliana una questione molto seria, per cui vale la pena alzare la voce: «I circoli culturali e politici, i media e le organizzazioni della società civile di Bassora - si legge nell'appello - condannano il crimine della cattura della giornalista Giuliana Sgrena. Chi ha compiuto questo crimine ha solo un motivo fondamentale che si riassume nell'infangare l'immagine degli iracheni e presentarli al mondo come persone senza valori umani, civili e di fede». «Ci appelliamo ai sequestratori perché rilascino immediatamente la giornalista italiana - conclude l'appello - che è venuta in Iraq per motivi professionali e per fare informazione indipendente». Oggi il quotidiano Al Mannarah - il giornale più letto di Bassora e il terzo a livello nazionale - pubblicherà l'appello corredato da una foto di Giuliana, come ha informato il caporedattore Taleb Abdel Aziz. Lo stesso farà Al-Akhbar. La notizia è stata rilanciata in Italia da AnsaMed, la cui redazione segue con attenzione tutte le iniziative della società civile irachena in favore di Giuliana. Una società civile che, come si vede, sta usando tutti i suoi mezzi per assicurare che Giuliana possa tronare al più presto a fare il suo lavoro. Una mobilitazione che assomiglia da vicino - nonostante contesti tanto diversi - a quella che sta crescendo in Italia. Le similitudini tra due sponde, quelle che Giuliana ha sempre amato indagare.da Il Manifesto 15-2-05 Cinzia Gubbini
I giornalisti: liberatela -Non avrebbe voluto essere un simbolo, e invece lo è diventata. Non avrebbe voluto mai più vedere una guerra, e invece la guerra le è piombata addosso. Giuliana Sgrena, "inviata di pace" per scelta e per cultura mostra, con la qualità del suo impegno, come è possibile capire e interpretare, raccontare con onestà ma al tempo stesso lottare con convinzione, attraverso la parola scritta, contro un insopportabile orrore. Per questo salvare Giuliana, salvare la collega di Libération, Florence Aubenas, scomparsa a Bagdad deve riguardare tutti. Non è questo il momento delle divisioni e delle polemiche. Anche avendo idee diverse da Giuliana, dobbiamo tutti partecipare alla mobilitazione per salvarla. Rifiutiamo la logica della paura, dell'intimidazione, della censura, dell'autocensura, della propaganda. I giornalisti "embedded", arruolati, raccontano inevitabilmente solo una parte della verità. Giuliana non lo è, e ha rischiato. Giuliana è una giornalista attenta e consapevole ed è una donna coraggiosa. Come tante colleghe e tanti colleghi. Giuliana ci manda un messaggio: l'informazione resti in Iraq, per raccontare e capire. Ne vale la pena, i cittadini vogliono conoscere. La libertà di fare informazione dalle zone di crisi, di guerra, sarebbe negata se venisse approvata anche dalla Camera, dopo il Senato, la riforma del Codice militare di pace, legge che prevede sanzioni penali e anche il carcere per i giornalisti che fanno informazione sulle missioni cosiddette "di pace" rivelando notizie non approvate dai comandi militari. Sono queste le buone ragioni per le quali è importante esserci tutti, il 19 a Roma, alla manifestazione indetta dal manifesto-. Inviate la vostra adesione a: info@autonomiaesolidarieta.it e adesioni@mow.it
-Le firme per Giuliana - Paola Acquati, Vincenzo Alaia, Massimo Alberizzi, Fabio Albertelli, Francesco Alberti, Donatella Alfonso, Virginia Alimenti, Valeria Aloisio, Francesca Altieri, Renato Ambiel, Bruno Ambrosi, Pier Luigi Amorini, Salvatore Amura, Raffaella Angelino, Alberto Anile, Pietro Andrea Annicelli, Giuseppe Antonelli, Alessandro Antonelli, Checchino Antonini, Roberto Antonini, Dany Aperio Bella, Gianfrancesco Apollonio, Cristina Argento, Claudio Armini, Giorgio Aurici, Umberto Avallone, Ella Baffoni, Silvia Baglioni, Giulia Baldi, Toni Baldi, Mario Balsamo, Paola Balzarro, Roberta Balzotti, Nicola Bama, Maurizio Bandecchi, Emmanuela Banfo, Paola Barbetti, Riccardo Barenghi, Marianna Bartoccelli, Teresa Bartoli, Sandro Bartoli, Lisa Bartoli, Romano Bartoloni, Annabella Bassani, Raffaella Battaglini, Francesco Battistini, Alessandro Bazzani, Bruna Bellonzi,Michelangelo Benvenuto, Daniela Benzoni, Biancamaria Berlinguer, Laura Berti, Nino Bertoloni Meli, Guido Besana, Enzo Biagi, Andrea Bianchi, Fabio Bianchi, Raffaella Bianchi, Fabio Bicchielli, Stefano Bigazzi, Daniela Binello, Francesco Birocchi, Nazzareno Bisogni, Stefano Bizzotto, Tiziana Boari, Alberto Bobbio, Giorgio Bocca, Alessandra Bocci, Francesco Bonazzi, Silvano Bonini, Diego Bonsangue, Laura Borla, Eva Bosco, Dolores Bozzetti, Marco Brando, Flavio Brighenti, Antonio Brindisi, Alessandro Bruno, Iolanda Bufalini, Camilla Buonomini, Paolo Butturini, Luis Cabasés, Marco Calabria, Marco Calamai, Rita Calicchia, Andrea Calori, Davide Camarrone, Michela Camozzi, Roberto Campagnano, Stefanella Campana, Vincenzo M. Campo, Fernando Cancedda, Luca Caneschi, Piero Cannizzaro, Francesco Cantalupo, Renato Cantore, Federigo Capecchi, Fabio Capecelatro, Francesca Capelli, Antonello Capone, Fabrizio Caporale, Loredana Capotondi, Patrizia Capua, Mauro Carafa, Barbara Carazzolo, Rocco Carbone, Maria Carbone, Laura Carcano, Stefano Cardinali, Marcella Cardini, Rino Cardone, Emanuele Carioti, Giacomo Carioti, Gianluca Carmosino, Tiziano Carradori, Giampaolo Carretti, Mario Carta, Riccardo Caruso, Fabrizio Casari, Pasquale Cascella, Calogero Cascio, Michele Cassano, Paolo Cassola, Elisabetta Castellani, Marco Castoldi, Barbara Cataldi, Giuseppe Cattaneo, Francesco Causarano, Felice Cavallaro, Giampiero Cazzato, Rita Centofanti, Giuseppe Ceretti, Gianni Cernoia, Gianni Cerqueti, Giovanni Cesareo, Giuseppe Cesaro, Patrizia Cevoli, Isabella Cherubini, Giulietto Chiesa, Stefania Chinzari, Paolo Ciampi, Marco Cicala, Paolo Cingolani, Enrico Cinotti, Dario Cioffi, Mariuccia Ciotta, Andrea Clerici, Angela Coarelli, Loredana Colace, Vincenzo Coli, Francisca Colli, Giusy Colmo, Furio Colombo, Susanna Colombo, Guido Columba, Sandro Compagnone, Nella Condorelli, Massimo A. Conte, Gemma Contin, Massimo Cornacchiari, Costantino Coros, Barbara Corrao, Marco Corrias, Teresa Corsaro, Marina Cosi, Loredana Costanza, Barbara Cremoncini, Fiammetta Cucurnia, Beatrice Curci, Paolo Curreli, Alessandro Curzi, Candida Curzi, Nino Cutro, Maria Assunta D'Alessio, Valentina D'Amico, Roberta D'Angelo, Cynthia D'Ulizia, Daniela Daniele, Enrico Deaglio, Filippo De Caro, Franco De Felice, Antonio De Florio, Graziano De Franco, Piero De Gennaro, Antonio De Leonardis, Vania De Luca, Anna De Luca, Vania De Luca, Giampiero De Luise, Vichy De Marchi, Rocco De Rosa, Gianni De Rosas, Angelo De Santis, Maria De Vincenzis, Ugo Degl'Innocenti, Doriana Deiana, Giovanni Del Giaccio, Vincenzo Del Giudice, Sirio Del Grande, Santo Della Volpe, Franco Deramo, Sandro Devecchi, Mario Di Caro, Cesare Di Gesaro, Roberto Di Giovan, Cesare Di Gesaro, Roberto Di Nunzio, Severino Di Marco, Rita Di Giovacchino, Massimo Di Forti, Luciana Di Mauro, Paolo Di Mizio, Maria Di Fani, Sara Di Nella, Rocco Di Blasi, Roberto Di Nunzio, Iride Di Palma, Alfredo Di Giovampaolo, Laura Di Russo, Giacomo Di Iasio, Nicola Di Bonito, Stefano Di Michele, Michel Diard, Irma Dioli, Onofrio Dispensa, Albiero Domenico, Massimo Donelli, Simona Ducci, Giovanni Dursi, Edoardo Erba, Elisabetta Esposito, Anna Maria Esposito, Fabrizio Falconi, Paolo Fallai, Maria Pia Farinella, Giovanni Fasanella, Felice Fedeli, Alessandro Federigi, Margherita Ferrandino, Margherita Ferrandino, Stefano Ferrante, Giorgio Ferraresi, Livio Ferrari, Edoardo Ferrario, Nicola Ferraro, Enrico Ferri, Roberta Ferri, Arcangelo Ferri, Barbara Fiammeri, Mario Finamore, Anna Fiore, Cinzia Fiori, Cristina Foglia, Toni Fontana, Paolo Forcolin, Walter Fortini, Andrea Foschi, Giulia Fossà, Vincenzo Foti, Massimiliano Frascino, Flavia Fratello, Stefano Fratini, Sergio Frau, Mercedes Frias, Teodoro Fulgione, Flavio Fusi, Aldo Gagliardi, Rossana Galli, Luigi Gallucci, Silvia Garambois, Marco Gardenghi, Grazia Gaspari, Elisabeth Gasser, Enrico Gaviano, Marco Gelmini, Emilio Gelosi, Giovanni Gennaro, Silvio B. Geria, Nino Germano, Luciano Ghelfi, Massimo Ghiara, Giancarlo Ghirra, Irene Giacobbe, Giovanni Giacomini, Lorenzo Gigli, Emanuela Giordana, Francesco Giorgino, Alberto Giovagnoni, Marco Giovannelli, Simona Giovannozzi, Gian Paolo Girelli, Andrea Giubilo, Gioia Giudici, Rachele Gonnelli, Lucia Goracci, Flavio Gori, Luciana Grandi, Nathalie Grange, Andrea Grechi, Alberto Greco, Cinzia Grenci, Silvana Grippi, Sarah Grugnetti, Lorenzo Guadagnucci, Alessandro Guarasci, Laura Guardini, Andrea Guermandi, Cristina Guerra, Sebastiano Gulisiano, Ottorino Gurgo, Andrea Ialongo, Laura Incardona, Ignazio Ingrao, Fabio Isman, Anna Jannello, Domenico Jervolino, Stefano Jesurum, Eric Jozsef, Francesca Lagorio, Riccardo Lambertini, Riccardo Lambertini, Germana Lang, Massimiliano Lanzi, Andrea Lanzillo, Dario Laruffa, Antonietta Lauria, Pierpatrizia Lava, Nevio Lavagnoli, Raniero La Valle, Mario Lavia, Roberto Laviola, Rita Lena, Fabrizio Lentini, Stefano Lenza, Giorgio Maria Leone, Andrea Leone, Fabio Licari, Laura Lisci, Francesco Lo Piccolo, Massimo Loche, Domenico Logozzo, Alessandra Lombardi, Simonetta Lombardo, Gisella Lombardo, Natalia Lombardo, Sandro Lomonaco, Laura Longo, Alessandra Longo, Raffaele Lorusso, Daria Lucca, Cristiano Lucchi, Emilia Luciano, Luciano Luongo, Federica Lupparelli, Francesco Luti, Giancarlo Macaluso, Vincenzo Maddaloni, Marco Madinelli, Simona Maggiorelli, Alberto Magnaghi, Carlotta Magnaini, Ivano Maiorella, Marco Malossi, Laura Mambelli, Laura Mandolesi Ferrini, Enzo Mangini, Giuseppina Manin, Piero Mannironi, Dario Luigi Maria, Marco Marincic, Elisa Marincola, Stefano Marinone, Chiara Maroso, Mauro Marras, Emma Martelletti, Luciano Martelli, Francesco Martini, Linda Marzocchini, Fabrizio Masciangioli, Marzia Mascini, Marta Matteini, Laura Matteucci, Angela Mauro, Luana Mazza, Alessandro Mazzerioli, Loris Mazzetti, Massimo Melillo, Stefano Mencherini, Stefano Menichini, Raffaella Menichini, Maurizio Menicucci, Peppino Mennella, Silvia Milani, Adalberto Minacci, Antonio Maria Mira, Luca Mirone, Carlo Mirra, Liana Mistretta, Barbara Modesti, Liana Molinari, Maria Grazia Molinari, Vincenzo Mollica, Gloria Monaco, Gianni Montesano, Mimmo Morabito, Anna Morelli, Roberto Morrione, Stefano Morselli, Beppe Muraro, Rita Musa, Carlo Muscatello, Carla Musetti, Maurizio Musolino, Rosa Musto, Dina Nascetti, Roberto Natale, Wilda Nervi, Maurizio Nicita, Alfio Nicotra, Raffaele Niri, Francesca Niutta, Fabrizio Noli, Maso Notarianni, Alfredo Noto, Maria Novella, Diego Novelli, Gian Mario Nucci, Giuseppe Nuciari, Giovanni Occhiello, Luigi Oliveto, Claudia Origlia, Massimo Orlandi, Eduardo Orlando, Alfredo Orlando, Giuseppe Orlando, Rocco Ornaghi, Marisa Ostolani, Marina Ottavi, Antonio Padellaro, Saverio Paffumi, Maurizio Paglialunga, Vittoria Pagliuca, Lucio Palazzo, Alighiero Palazzo, Maria Serena Palieri, Giovanna Palladini, Andrea Palombi, Vanna Palumbo, Roberto Palumbo, Lorenza Pampaloni, Evaristo Pancaldi, Giancarlo Pantanetti, Paolo Paolini, Danilo Paolini, Mariangela Paone, Rossana Papini, Pancho Pardi, Sergio Parini, Ada Parisi, Gabriele Pasini, Matilde Passa, Marco Pastonesi, Licia Pastore, Walter Patalocco, Giuseppina Paterniti, Francesco Paternò, Patrizio Patrizi, Fausto Pellegrini, Mimmo Pennone, Guglielmo Pepe, Francesco Pepe, Enzo Perone, Pino Petrella, Salvatore Piazzo, Anna Piersanti, Stefano Pileri, Pier Giorgio Pinna, Seren a Claudia Pioli, Gabriella Piroli, Vasco Pirri Ardizzone, Oreste Pivetta, Anna Pizzo, Massimo Poggiani, Gabriele Polo, Giovanna Poma, Walter Porcedda, Andrea Porcu, Gabriele Porro, Piera Possenti, Vittorio Pozzati, Daniela Preziosi, Franca Protti, Sandro Provvisionato, Pamela Pucci, Luigi Quaranta, Riccardo Quintili, Sergio Rafaniello, Beppe Ramina, Gabriella Ramoni, Massimo Razzi, Francesco Rea, Andrea Reale, Nello Rega, Giorgio Renzetti, Antonio Renzetti, Tiziana Ricca, Alessia Rimmaudo, Susanna Ripamonti, Emanuela Risari, Antonio Riva, Fabrizio Rizzi, Alberto Romagnoli, Marco Romani, Cinzia Romano, Serenella Ronda, Enrico Rondoni, Luigi Ronsisvalle, Giovanni Rossi, Claudia Rossi, Dario Rossi, Giovanna Rossiello, Paola Rossigni, Umberto Rosso, Caterina Rotunno, Caterina Ruggeri, Antonio Ruggieri, Michele Ruggiero, Sandro Ruotolo, Giovanni Russo, Andrea Rustichelli, Saura Saccenti, Sabina Sacchi, Rita Sacconi, Mariù Safier, Orlando Saggion, Donatella Salina, Lucio Salis, Delia Salmieri, Angelo Salvatori, Maurizio Sansone, Piero Sansonetti, Renzo Santelli, Deborah Santini, Michele Santoro, Assunta Sarlo, Sergio Sartori, Giovanni Sarubbi, David Sassoli, Antonio Satta, Anna Savelli, Sandra Scallemi, Massimo Scarafoni, Paola Scaramozzino, Piero Scaramucci, Danila Scavo, Brunella Schisa, Paolo Scopelliti, Enrico Scotton, Antonio Scuderi, Claudio Sebastiani, Lina Senserini, Paola Sentinella Testa, Angelo Sepielli, Paolo Serventi Longhi, Andrea Sicari, Franco Siddi, Massimo Signoretti, Alessandro Signorini, Valentina Silimbani, Boris Simoneta, Aldo Simoni, Bianca Simoni, Giantarquinio Sini, Nicoletta Sipos, Walter Skerk, Massimiliano Smeriglio, Donatella Smoljko, Ale Sordi, Angela Sozzi, Simone Spadaro, Fausto Spegni, Anna Spiga, Donatella Stasio, Nicole Dominique Steiner, Giampietro Stocco, Renata Storaci, Irene Stracuzzi, Valentina Strada, Pietro Stramba -, Fernando Strambaci, Marta Strinati, Elisabetta Stufara, Pierluigi Sullo, Celestino Tabasso, Luciano Tancredi, Nadia Tarantini, Cinzia Tarsitani, Gianni Tassi, Andrea Tazzini, Patrizia Tellini, Claudia Tempesta, Enrico Teperino, Silvia Terribili, Enrico Testa, Roberto Testa, Andrea Tognotti, Gaia Tortora, Giovanni Tortorolo,Stefano Trasatti, Antonella Trentin, Elisio Trevisan, Monica Triglia, Cesarina Trillini, Alessia Tripodi, Luca Trogni, Paolo Trombin, Renzo Trotta, Roberto Turno, Vanna Ugolini, Barbara Ulisse, Viviana Valente, Giuseppe Valenti, Carlo Valentini, Lucia Valerio, Wanda Valli, Flavio Vanetti, Gabriele Vannini, Enrico Varriale, Giacomo Ventolone, Amedeo Vergani, Pietro Veronese, Gianluca Vido, Moreno Vignolini, Stefano Villa, Maurizio Vinci, Lucia Visca, Giovanna Vitale, Giancarlo Vitali Ambrogio, Paolo Volpato, Arianna Voto, Carlo Vulpio, Raul Wittenberg, Mario Zanichelli, Paola Zanuttini, Agostino Zappia, Marcello Zinola, Cinzia Zoffoli, Enrico Zoi, Antonio Zollo, Corrado Zunino, . 16-2-05
class=testo>Le parole di Giuliana -Sono in Iraq dalla fine di gennaio, per testimoniare la situazione di questo popolo, che muore ogni giorno, migliaia di persone sono in prigione, bambini, vecchi, le donne sono violentate e la gente muore ovunque, per strada, non ha più niente da mangiare, non ha più elettricità, non ha acqua-. "Vi prego mettete fine all'occupazione, lo chiedo al governo italiano, lo chiedo al popolo italiano perché faccia pressione sul governo. Pier aiutami, per piacere, fai vedere le foto dei bambini colpiti dalle cluster bomb, chiedo alla mia famiglia di aiutarmi, chiedo a tutti, a tutti quelli che hanno lottato con me contro la guerra, contro l'occupazione, vi prego, aiutatemi". "Questo popolo non deve più soffrire, così, ritiratevi dall'Iraq, nessuno deve più venire in Iraq, perché tutti gli stranieri, tutti gli italiani qui sono considerati nemici, per favore fate qualcosa per me". "Pier, aiutami tu, sei sempre stato con me in tutte le mie battaglie, ti prego aiutami a chiedere il ritiro delle truppe, fai vedere tutte le foto che ho fatto, questo popolo non vuole occupazione". "Aiutami, aiutatemi, la mia vita dipende da voi, fate pressioni sul governo perché ritiri le truppe. Conto su di voi, potete aiutarmi. Bisogna mettere fine all'occupazione, la situazione qui è intollerabile, i bambini muoiono, la gente muore di fame per strada, le donne vengono violentate, bisogna ritirare le truppe". "Pier aiutami, fai vedere le foto che ho fatto dei bambini colpiti dalle cluster bombs, fai vedere quel che ho fatto per le donne. Nessuno dovrebbe venire in Iraq in questo momento, neanche i giornalisti, nessuno". Queste sono le parole pronunciate da Giuliana nel video e che sta rimbalzando già in tutte le reti. Sono le sue parole, sono le mie parole. Chiedo che siano le parole di tutti coloro che parteciperanno alla manifestazione di sabato a Roma. Chiedo che siano le parole di tutti coloro a cui sta a cuore la liberazione di Giuliana, di Florence e di tutti gli ostaggi. Chiedo che siano le parole di chi crede che senza libertà non può esserci giustizia e senza autodeterminazione non può esserci libertà. Chiedo che queste parole vengano riprodotte in centinaia di migliaia di copie e diffuse ovunque perché chiunque le possa conoscere. E chiedo che vengano inviate al presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e al presidente Ciampi, e al parlamento italiano perché rispondano alle affermazioni di Giuliana e dicano se a loro giudizio sono false o se, invece, sono la teribile ma esatta descrizione di quello che è successo e sta tuttora succedendo in Iraq. Non mi importa se le ha pronunciate perché è stata costretta a farlo, lo so che Giuliana non parla così. Eppure, vorrei che ciascuno di noi ne assumesse lo spirito e le condividesse, per condividere con esse il groviglio di sentimenti e emozioni che vive Giuliana. Solo la libertà di Giuliana può restituire la libertà a noi tutti. Fino ad allora, nessuno sarà più libero.da Carta 16.02.05 Anna Pizzo
Dignità Una doccia gelida, un colpo d'arma da taglio. L'emozione e il dolore per aver rivisto Giuliana in quella scena d'inattesa e tremenda concretezza appannano i riflessi e la lucidità. Ci vorrà tempo e freddezza per tentare un'analisi del cambiamento di scenario che segna la comparsa di quelle immagini. Qualcuno dice subito che Giuliana è stata costretta a pronunciare le parole che ha usato. Noi che la conosciamo bene, per aver condiviso con lei anni e anni di piccoli spazi e grandi emozioni, ne dubitiamo o pensiamo che questo possa essere vero solo in parte. Certo, Giuliana è prigioniera, è stata privata della libertà, la parola e la condizione che probabilmente ama più di ogni altra. Eppure, chiunque abbia letto anche soltanto in questi giorni un suo pezzo, sa esattamente cosa pensa Giuliana dell'occupazione e della presenza delle truppe italiane in Iraq. Niente di diverso da quel che dice in quell'orrendo video. Trattiene le lacrime, Giuliana, come tante volte, per ragioni diverse e più futili, le abbiamo visto fare. E chiede aiuto disperatamente a Pier e a tutti noi. Ma non pronuncia una sola parola che lei stessa non possa condividere, indipendentemente dalle mostruose circostanze in cui una gelida telecamera la riprende. L'emozione gioca scherzi tremendi, così nei primi momenti in cui guardavamo il video abbiamo tumultuosamente ricordato di non aver visto immagini della prigionia delle Simone, e poi abbiamo mentalmente rivisto le suppliche dell'ingegnere inglese sequestrato nell'appello straziante a Tony Blair. Comunque vada a finire questa orrenda vicenda, siamo felici che Giuliana parli ancora e soprattutto a noi e non ai responsabili indiretti della sua prigionia. Giuliana chiede aiuto all'uomo che ama e a chi ha lottato con lei in questi anni per la democrazia e la pace. E' un gesto di grande dignità. Non sappiamo, non possiamo sapere se qualcuno abbia cercato di obbligarla a rivolgersi ad altri, ai potenti che comandano l'esercito italiano e gli altri eserciti occupanti. Riteniamo, tuttavia, che sia piuttosto probabile e che Giuliana non si sia piegata a farlo. Che non abbia accettato, nemmeno da prigioniera, di sospendere la sua storia, il senso del suo lavoro e di tutta la sua vita. Giuliana conosce la paura e conosce la violenza. Nei giorni scorsi, Pier ha raccontato più volte del suo precedente rapimento iracheno, noi conosciamo bene, per averli "messi in pagina", come si dice nei giornali, i suoi racconti dall'Algeria e da molti altri luoghi tormentati del pianeta. Luoghi devastati dalla paura e dalla violenza, luoghi in cui Giuliana ha cercato il coraggio e la dignità delle persone e, in particolare, delle donne. A Pier, ai genitori e al fratello di Giuliana, ai compagni del manifesto e ai milioni di persone che sono appese all'angoscia delle interminabili ore di attesa, vogliamo dire che il terrore e l'orrore non sono riusciti a vincere le idee e la dignità di Giuliana Sgrena. In fondo, in quel video terribile, Giuliana ci chiede di "fare pressione" per il ritiro delle truppe italiane e la fine della guerra e dell'occupazione in Iraq. Come sempre. Che questo possa servire a salvarle la vita, viene dopo. Ci chiede quel che sa di poterci chiedere. Non la ringrazieremo mai abbastanza.da Carta 16-2-05 M. Calabria
size=4>Inferno Falluja Il racconto di chi ha visto Reporter freelance Dahr Jamail è un giornalista americano con un blog molto seguito. Ha trovato un medico testimone dell'assedio americano Niente prigionieri I marine sparavano su tutto e su tutti. Anche su chi si arrendeva e sui malati in camera operatoria. Ora i profughi hanno paura DAHR JAMAIL Queste sono le storie che continueranno a emergere dalle macerie di Falluja per anni. Anzi, per generazioni. Parlando a condizione di mantenere l'anonimato, il dottore è seduto insieme a me in una stanza d'albergo ad Amman, dove ora si è rifugiato. Aveva parlato di ciò che ha visto a Falluja nel Regno Unito ed ora è minacciato dai militari statunitensi, qualora tornasse in Iraq. «Ho cominciato a parlare di quello che era successo a Falluja durante entrambi gli assedi affinché queste cose si sappiano, e gli americani hanno fatto irruzione a casa mia per tre volte» dice, parlando così in fretta che riesco a malapena a stargli dietro. Avendo lavorato a Falluja, possiede prove video e fotografiche di tutto ciò che mi racconta. «Sono entrato nella città con un convoglio sanitario e umanitario britannico alla fine di dicembre, e sono rimasto fino alla fine di gennaio, ma ero già stato a Falluja per lavorare con la gente e vedere quali fossero i loro bisogni, perciò ero lì dall'inizio di dicembre». Quando gli chiedo di spiegare cosa ha visto quando è entrato a Falluja a dicembre, mi risponde che era come se la città fosse stata colpita da uno tsunami. «Falluja è circondata da campi profughi dove le persone vivono in tende e vecchie automobili», spiega. «Mi sono tornati in mente i campi profughi palestinesi. Ho visto bambini tossire per il freddo, e non ci sono medicine. Quasi tutti hanno lasciato le loro case senza niente, senza soldi. Come possono vivere dipendendo solo dagli aiuti umanitari?». In un campo profughi nell'area nord di Falluja c'erano 1200 studenti che vivevano in sette tende. «Una storia riguarda una ragazza di sedici anni», racconta, riferendosi a una delle testimonianze che ha filmato recentemente. «Lei è rimasta per tre giorni in casa con i corpi dei suoi familiari che erano stati uccisi. Quando i soldati sono arrivati, si trovava in casa con suo padre, sua madre, il fratello di 12 anni e due sorelle. Ha visto i soldati entrare e sparare a sua madre e a suo padre direttamente, senza dire niente». La ragazza è riuscita a nascondersi dietro il frigorifero con il fratello e ha assistito a questi crimini di guerra. «Loro hanno percosso le due sorelle della ragazza, poi hanno sparato loro in testa», dice. «Dopo questo fatto suo fratello, in preda a uno scatto d'ira, è corso verso i soldati urlandogli qualcosa, così quelli hanno ucciso anche lui». «Dopo che i soldati se ne sono andati lei è rimasta nascosta. È rimasta con le sue sorelle perché sanguinavano, erano ancora vive. Aveva troppa paura di chiedere aiuto perché temeva che i soldati tornassero e uccidessero anche lei. È rimasta lì tre giorni, senza acqua né cibo. Alla fine uno dei cecchini americani l'ha vista e l'ha portata all'ospedale», aggiunge prima di ricordami ancora una volta che tutta la testimonianza della ragazza è documentata su pellicola. Mi racconta brevemente un'altra storia che ha documentato, di una madre che era in casa durante l'assedio. «Il quinto giorno d'assedio la casa è stata bombardata e il tetto è caduto sul figlio tranciandogli le gambe» dice usando le mani per mimare la scena. «Per ore la donna non è potuta uscire perché avevano annunciato che avrebbero sparato a chiunque fosse andato in strada. Perciò non ha potuto fare altro che fasciargli le gambe e guardarlo morire davanti ai suoi occhi». Fa una pausa per tirare il fiato, poi continua. «Uno dei miei colleghi, il dottor Saleh Alsawi, ha parlato di loro con grande rabbia. Si trovava all'ospedale principale quando loro hanno fatto irruzione, all'inizio dell'assedio. Sono entrati nella sala del teatro dove stavano lavorando su un paziente... lui era lì perché è un anestesista. Sono entrati con gli scarponi addosso, hanno malmenato i dottori e li hanno portati via, lasciando il paziente a morire sul tavolo operatorio». Questa storia è già stata riferita dai media arabi. Il medico mi parla del bombardamento della clinica Hay Nazal durante la prima settimana di assedio. «Questa conteneva tutti gli aiuti stranieri e le apparecchiature sanitarie di cui disponevamo. Tutti i comandanti Usa lo sapevano, perché glielo avevamo detto in modo che non la bombardassero. Ma nella prima settimana d'assedio l'anno bombardata due volte». Poi aggiunge: «Naturalmente hanno preso di mira tutte le nostre ambulanze e i dottori. Lo sanno tutti». Il dottore mi dice che lui e alcuni altri medici stanno cercando di citare in giudizio l'esercito americano per il seguente episodio, per il quale egli ha la testimonianza su nastro. È una storia che mi è stata raccontata da molti profughi anche a Baghdad... alla fine dello scorso novembre mentre l'assedio era ancora in corso. «Durante la seconda settimana di assedio sono entrati e hanno annunciato che tutte le famiglie dovevano lasciare le loro case e recarsi all'incrocio della strada portando una bandiera bianca. Gli hanno dato 72 ore per andarsene e poi sarebbero stati considerati nemici» spiega. «Abbiamo documentato questa storia con un video: una famiglia di 12 persone, tra cui un parente e il suo figlio più grande di 7 anni. Avendo ricevuto queste istruzioni, sono andati via con tutto il cibo e i soldi che potevano riuscire a portare, e le bandiere bianche. Quando sono arrivati al punto di raccolta dove le famiglie si stavano affollando, hanno sentito qualcuno gridare `ora!' in inglese, e dappertutto sono cominciati a piovere colpi di arma da fuoco». Il giovane che ha raccontato questo episodio, ha visto i cecchini sparare a suo padre e a sua madre: sua madre alla testa e suo padre al cuore. Sono state colpite anche le sue due zie, poi suo fratello è stato colpito al collo. L'uomo ha detto che quando si è alzato dal terreno per chiedere aiuto, gli hanno sparato a un fianco. «Dopo alcune ore ha alzato il braccio per chiedere aiuto e gli hanno sparato al braccio» continua il dottore, «dopo un po' ha alzato la mano e gli hanno sparato alla mano». Un ragazzino di sei anni si è sollevato sopra i corpi dei suoi genitori; piangeva, e hanno sparato anche a lui. «Sparavano a chiunque si alzasse» aggiunge il dottore, che mi ha detto di avere fotografie dei morti e delle ferite da arma da fuoco dei sopravvissuti. «Dopo che è sceso il buio, l'uomo che ha parlato con me con suo figlio, sua cognata e sua sorella è riuscito a strisciare via. Hanno raggiunto un edificio e ci sono rimasti otto giorni. Avevano un bicchiere d'acqua e l'anno dato al bambino. Hanno messo olio da cucina sulle ferite che naturalmente si erano infettate, e per mangiare hanno trovato delle radici e dei datteri». Qui il dottore si ferma. Si guarda intorno, mentre fuori passano le macchine sulle strade bagnate... l'acqua sibila sotto le gomme. Ha lasciato Falluja alla fine di gennaio, perciò gli chiedo com'era la situazione quando se n'è andato, recentemente. «Forse è tornato il 25% delle persone, ma non ci sono ancora medici. Ora l'odio a Falluja contro ogni americano è incredibile, e non li si può biasimare. L'umiliazione ai check-point non fa che rendere la gente ancora più furiosa» mi spiega. «Sono stato lì, e ho visto che chiunque volti la testa viene minacciato e malmenato dai soldati americani e iracheni... un uomo lo ha fatto, e quando il soldato iracheno ha tentato di umiliarlo, l'uomo ha preso il fucile di un soldato che si trovava lì vicino e ha ucciso due soldati iracheni. Poi naturalmente gli hanno sparato». Il dottore mi dice che l'esercito americano che sta girando dei film di propaganda sulla situazione. «Il 2 gennaio al check-point nella zona nord di Falluja davano 200 dollari a famiglia per tornare in città in modo che potessero filmarli, quando in realtà in quel momento nessuno stava tornando» dice. Questo mi ricorda della storia che mi ha raccontato un mio collega su quello che ha visto a gennaio. In quel periodo la troupe della Cnn è stata scortata dai militari a filmare i netturbini che erano stati assunti come figuranti, e i soldati che davano le caramelle ai bambini. «Tu devi capire - conclude il dottore - dopo tutto questo odio è diventato difficile per gli iracheni, me compreso, distinguere tra il governo americano e il popolo americano».da Il Manifesto 16.2.05 Traduzione Marina Impallomeni
UNA DI NOI Le voci libere Mi associo all'ansia dei colleghi del manifesto per la sorte di Giuliana Sgrena. Conosco Giuliana, ho avuto modo di apprezzarne la profonda conoscenza del mondo arabo, il suo lavoro giornalistico di alto livello, la sua sincera amicizia verso i popoli arabi e islamici. La sua liberazione è importante anche per ribadire come il modo migliore di aiutare gli iracheni sia quello di consentire a voci coraggiose come quella di Giuliana di lavorare liberamente. Kenneth Brown, dirett. Méditerrannées, Parigi Con filosofia Forza Giuliana. Bruno Accarino Con la voglia di capire Sperando che per quella data Giuliana Sgrena sia di nuovo libera in Italia, aderisco alla manifestazione, mosso dalla stima che mi lega a una giornalista che ha costruito le sue (rare) qualità professionali con intelligenza e tenacia, e sempre con la voglia di capire e la capacità di coinvolgersi che sono proprie dei veri testimoni della realtà. Nando dalla Chiesa Una battaglia di verità Caro manifesto, sabato in piazza per Giuliana e contro la guerra ci sarà tutta la nostra redazione. Ci saremo per stringere intorno a Giuliana a Florence e a tutti i giornalisti non embedded un cordone umano e politico di solidarietà. Ci saremo per denunciare come in Iraq ad essere colpiti fino ad ora siano stati solo i giornalisti scomodi. E' una coincidenza che non ci piace e non ci convince. Anche questa è una battaglia di verità che dobbiamo vincere. Un abbraccio. La redazione di Radio Città Aperta (Roma) Una risoluzione consiliare Esprimiamo la nostra ferma condanna del rapimento della giornalista Giuliana Sgrena e la piena solidarietà ai familiari, agli amici e ai colleghi e ci uniamo agli innumerevoli appelli per l'immediata liberazione di Giuliana, donna di pace e giornalista valente, da sempre impegnata a favore delle popolazioni del Medioriente e in particolare della popolazione irachena. Chiediamo al governo italiano di proseguire e sviluppare ogni contatto e dialogo per il suo rilascio e alla giunta regionale di sostenere ogni iniziativa di sensibilizzazione utile a questo scopo. Consiglio regionaleEmilia-Romagna Onomastico Domani si celebra S. Giuliana e nell'occasione ci sentiamo ancora più vicini col pensiero e col cuore alla vostra inviata Giuliana Sgrena. Condividiamo con voi la speranza che al più presto venga rilasciata e si ponga fine a questi momenti di drammatica attesa. Solidali saluti da tutto lo staff.Viola Carando, per Riccione Teatro. Ritiro per la pace Il 19 ci saremo perché pensiamo che Giuliana sia una donna libera e indipendente. Perché è una giornalista che ha sempre raccontato la vita delle donne nelle società islamiche fuori da facili posizioni ideologiche e vogliamo che possa continuare a farlo con passione e determinazione nonostante il dilagare dell'informazione embedded. Perché lei, insieme a noi, ha sempre detto no alla guerra in Iraq e direbbe oggi che senza il ritiro delle truppe di occupazione non ci sarà pace per le donne e gli uomini iracheni. A/matrix, www.amatrix.it Targato Giuliana Caro manifesto, mi accodo con dovere solidaristico e necessario spirito di ottimismo a tutti coloro che vi danno coraggio in questi momenti ricompensando moralmente una minima parte di tutto il vostro impegno a sostegno delle ragioni del torto, dei deboli, dei senza voce ricordando che anche dentro di noi si può trovare qualcosa di vantatamente targato Giuliana. Giuliana libera! Massimiliano Guerrieri (Le) Un atto di resistenza Care/i compagne/i del manifesto, siamo in Argentina in vacanza dal primo di febbraio e abbiamo saputo del rapimento di Giuliana, perché quasi tutti i giorni vi leggiamo on-line! Siamo veramente addolorati ma anche con tanta, tanta speranza perché l'immagine che esce di Giuliana in tutto il mondo è quella di pacifista e di giornalista vicina al popolo iracheno. Siamo contentissimi che lì ci sia un grande movimento per lei, per ciò che ci riguarda noi stiamo parlando con tanti di lei e raccontando ciò che fa con grande impegno. Siamo sempre più convinti che abbonarsi e comprare quotidianamente il manifesto è un atto di resistenza bellissimo! Vi abbracciamo forte e speriamo di avere presto la notizia della sua liberazione! Ciao. da Il Manifesto 16.2.05 Livia e Paolo
Prodi: -Né un soldato, né una divisa- Il leader dell'Unione incontra Chirac e ribadisce il no del centrosinistra alla missione italiana in Iraq. Nonostante il pressing della destra che, con Fini, attacca a testa a bassa: «Prodi e Fassino dicono no all'Onu». Oggi il voto nell'aula di palazzo Madama. Romano Prodi insiste. Da Parigi, dopo l'incontro con Chirac, conferma il no del centrosinistra al rifinanziamento della missione Antica Babilonia. «Ho già detto molte volte- ripete - che se non c'è un mutamento da parte del governo non può esserci alcun mutamento da parte delle Forze dell'Unione». E ribadisce in cosa dovrebbe consistere la sterzata del governo che indurrebbe se non l'Unione almeno la Fed a tornare sulla propria scelta: «Ripensare la missione e assumere un'iniziativa in sede Ue ai fini della convocazione di una riunione straordinaria del consiglio di sicurezza dell'Onu per la definizione di una strategia tesa al consolidamento della democrazia in Iraq». Solo così, specifica «si può muovere un discorso politico. Altrimenti non vedo perché cambiare atteggiamento su una guerra che nessuno ha voluto». E' una linea ferma, rafforzata e confermata dal pieno accordo raggiunto in materia di Iraq con il presidente della repubblica francese. E' lo stesso Prodi a riassumerla in poche e secche frasi, senza alcun giro di parole: «Sull'atteggiamento post-elettorale la posizione è chiara: non un soldato e non una divisa né di Francia, Germania e Spagna né della Nato, in Iraq». Non si tratta affatto, prosegue il professore, di un rifiuto opposto dai paesi non belligeranti alla richiesta di Kofi Annan di «lavorare insieme» per ricostruire l'Iraq devastato dalla guerra. Tutti i paesi citati, e con loro l'opposizione italiana, garantiscono anzi «piena disponibilità». Solo che deve tradursi in supporto alla «formazione di funzionari civili e di polizia». Però «fuori dall'Iraq, per evitare che qualsiasi uniforme sia considerata come forza d'occupazione». Non è un caso se Prodi sottolinea con tanta puntigliosità la risposta positiva alla lettera di Annan. Il leader dell'opposizione italiana sa perfettamente che è proprio a partire da una lettura faziosa di quella lettera che il governo di Roma muove la sua offensiva per accusare l'opposizione di «irresponsabilità». Ieri è tornato a farsi sentire il presidente della camera Casini, con un pacato invito a « realizzare in parlamento l'unità più ampia possibile». Ma soprattutto, dopo gli appelli altisonanti ma privi di sostanza suoi e di Follini che chiedevano all'opposizione almeno di astenersi, ieri è tornato alla carica il ministro degli esteri, e stavolta con toni assai più bruschi e ultimativi. «I riformisti del centrosinistra - ha affermato ieri - siano onesti con se stessi. Chiedere ora il ritiro dall'Iraq significa far cadere nel vuoto l'appello di Annan alla comunità internazionale. Prodi e Fassino non dicono no al nostro governo, ma all'Onu». E' un'accusa pesante per una coalizione che ha fatto del richiamo alle Nazioni unite la sua bandiera, e Prodi non fatica a immaginare con quale martellante potenza questa accusa verrà ripresa, rilanciata, amplificata dai media. Dunque chiarisce subito le cose. «Non bisogna confondere le carte - contrattacca - dando alla lettera di Annan un significato opposto a quello che ha». A suo parere, spiega, la disponibilità a garantire la formazione delle infrastrutture sia civili che poliziesche irachene «costituisce una risposta completa e anticipata alla dichiarazione di Annan». E sull'argomento, sottolinea col pennarello rosso, «c'è stata una consonanza piena con Chirac». La determinazione di Prodi è probabilmente anche un modo per ostacolare in anticipo l'offensiva di quanti nella Fed vorrebbero rimettere in forse la decisione presa. Nella sua Margherita come nello Sdi sono parecchi e pronti a uscire allo scoperto, ma ce ne sono anche nelle file diessine, sia pur più cauti e decisi a mantenere l'unità del centrosinistra al primo posto. La richiesta di lasciare l'ultima parola sul voto all'assemblea dei parlamentari di oggi non punta, probabilmente, a un impossibile rovesciamento delle posizioni già assunte, bensì a far emergere la presenza all'interno della Fed di un fronda robusta e strutturata, in grado di incidere se non su questo voto su quelli futuri. A quest'area, come a Fini e Follini, il professore contrappone la carta vincente di un asse europeo attestato sulle sue stesse posizioni drastiche. Allo stesso tempo incassa il voto di oggi sull'Iraq come ulteriore spinta a quel metodo democratico che impugna sin dal suo ritorno in Italia. «La Federazione - dice - è una cosa seria: il fatto che si decida insieme ha un'importanza enorme, e quando non si è tutti d'accordo lo si fa a maggioranza». Nessuna preoccupazione dunque per l'assemblea di oggi: «Sono tranquillo e non mi scaldo più di tanto, altrimenti sarei a Roma. Una cosa del genere fa bene alla democrazia interna». Tutto bene, anzi benissimo. Però la decisione dei cosiddetti «atlantisti» di arrivare alla conta non può restare senza conseguenze. E dopo essersi profuso in elogi per la democratica «prassi parlamentare coerente con il nostro patto federativo», il professore affonda la lama: «Questa procedura decisionale, mentre favorisce un libero confronto tra i singoli parlamentari dell'Ulivo, li impegna a conformarsi alla decisione di maggioranza». Se Marini e Dini vogliono far risaltare l'esistenza di una linea diversa, quasi opposta, alla sua nulla di male. Purché sappiano che così facendo sacrificano la possibilità di un voto in dissenso che, dopo l'assemblea di oggi, diventerebbe ben più traumatico.da Il Manifesto 15.2.05 Andrea Colombo -Roma-
-UNA DI NOI- color=#000000 size=2>I sogni di Giuliana Carissimi, sono tanti, troppi, questi giorni di attesa. Preghiamo perché Giuliana sia liberata al più presto e perché questa prova terribile non fiacchi la sua resistenza e non distrugga i suoi sogni. Siamo vicine a tutti voi con affetto e gratitudine. Arrivederci al 19. Le suore domenicane (Unione S. Tommaso) di due comunità presenti a Firenze e Livorno Con buone nuove Anche io mi sento vicino a Giuliana Sgrena e a voi tutti. A presto, con buone notizie. Giuseppe Previti Flesca. Ha visitato il nostro paese Spettabile manifesto, esprimiamo il nostro sdegno per la triste notizia del sequestro di Giuliana Sgrena, che ha avuto occasione di visitare, lo scorso anno, lo Yemen durante la Conferenza sulla democrazia e i diritti umani. Desideriamo comunicare la nostra piena solidarietà a codesto giornale e unire la nostra voce al coro unanime di richieste accorate per l'immediata liberazione della giornalista italiana. Nel rinnovare il nostro auspicio in un esito favorevole della vicenda, presentiamo i nostri cordiali saluti a tutta la redazione. Ambasciata repubblica dello Yemen, Roma Anche in nome di Giuliani Genova ha già organizzato un sit-in lunedì scorso, ora si sta organizzando per il 19. Il Comitato Piazza Carlo Giuliani sarà sicuramente presente! Haidi Giuliani Ce la metteremo tutta Carissimi, ce la metteremo tutta per la riuscita della manifestazione del 19 febbraio. Lo faremo parlando di Giuliana e dell'Iraq, senza bavagli né certezze, con curiosità e passione. Proprio come hanno sempre fatto Giuliana e il manifesto. Un abbraccio a tutti voi e... a sabato. Radio popolare, Milano Secondo modo «L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio». (Da Le città invisibili di Italo Calvino). Noi che cerchiamo quotidianamente di far vivere il secondo modo, saremo a Roma il 19 febbraio per Giuliana, per Florance, per Hussein, per il martoriato popolo iracheno. Associazione culturale Italo Calvino e della Pluriversità dell'Immigrazione di Bologna Le verità scomode Saremo anche noi in piazza il 19 febbraio a fianco di Giuliana e della pace. Vogliamo esprimere vicinanza e solidarietà a tutti gli uomini e le donne che credono nella pace. Apprezziamo da sempre il lavoro che Giuliana fa con tanta passione e competenza raccontando verità a volte scomode. Un sincero augurio e un ringraziamento affettuoso ai compagni del manifesto. Grazie. Carlo Nannetti, sindaco di Lastra a Signa (Fi) Comunicazione per Giuliana Desideriamo esprimere a Giuliana Sgrena e a tutta la redazione del manifesto la nostra solidarietà, la nostra apprensione ma anche la nostra speranza di poter presto leggere di nuovo i suoi articoli. In nome del diritto e del dovere di conoscere e raccontare, d'informarsi e far circolare liberamente l'informazione, auspichiamo e richiediamo il massimo impegno istituzionale e individuale per liberare Giuliana Sgrena. Dipartimento discipline della comunicazione università di Bologna Non lo merita Anch'io sarò con voi il 19 a Roma. La nostra collega ed amica non merita di essere presa in ostaggio in Iraq ma portata sul palmo della mano, come ha detto il portavoce del Consiglio degli Ulema musulmani di Baghdad. Per tutto questo sarà sempre più netto l'isolamento politico e umano di chi ha osato prendere in ostaggio Giuliana. Il mio augurio è quello di poter festeggiare sabato a Roma con Giuliana. Un abbraccio. Farid Adly, direttore dell'agenzia Anbamed . da Il Manifesto 15.2.05
Anche Scalfaro in piazza per Giuliana Anche l'ex presidente della repubblica sarà alla manifestazione del 19 febbraio a Roma. Le adesioni sono ormai migliaia. La scaletta completa degli interventi e del concerto Pubblicarle tutte è ormai impossibile, tenere il conto diventa sempre più difficile. Sono ormai migliaia i messaggi di solidarietà al manifesto per il sequestro di Giuliana Sgrena, più di cinquecento le organizzazioni, reti, ong, associazioni e movimenti che a ieri hanno confermato la loro partecipazione al corteo di sabato prossimo a Roma. Altre centinaia di persone lo hanno fatto a titolo individuale, mentre dei seicento e passa giornalisti che hanno firmato l'appello per la nostra giornalista la grande maggioranza saranno in piazza e sfileranno con un loro striscione. Sono decine anche gli enti locali, comuni e province soprattutto, che ci hanno fatto sapere che ci saranno, così come molti amministratori, mentre altri hanno approvato ordini del giorno o esposto le gigantografie di Giuliana e Florence come due anni fa avevano fatto con le bandiere arcobaleno. Incassato il sì dell'Unione attraverso le parole di Romano Prodi e dopo l'appello del papa, la mobilitazione coinvolge, oltre che la sinistra del centrosinistra, anche una fetta consistente dei Ds e la Sinistra giovanile, così come una gran parte del mondo cattolico, dai più radicali di Pax Christi agli scout dell'Agesci. Tra le adesioni arrivate ieri in redazione, spicca quella dell'ex Presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Dopo il comunicato ufficiale della segreteria nazionale della Cgil, è arrivato anche il sì, a titolo individuale, di Guglielmo Epifani. E poi ancora dei Girotondi romani e di Nando dalla Chiesa, di Aprile e degli Statunitensi contro la guerra, della Fgci e dei Giovani verdi, del verde Mauro Bulgarelli e del Pmli, del Partito umanista e del Coordinamento contro la guerra dell'Istituto superiore di sanità, fino all'Associazione padri negati e all'Associazione mariti casalinghi. Non ci sarà solo la grande informazione ma anche piccole testate libere. Come la redazione telematica di A/matrix e i giornalisti «non embedded» di Radio città aperta. Grande la mobilitazione anche nel mondo sindacale. Dopo il sì delle segreterie confederali di Cgil, Cisl e Uil, a cascata arrivano le adesioni dalle singole realtà, dalle Rsu del comune di Verbania a Cgil, Cisl e Uil del centro Enel Galileo Ferraris di Napoli. Tra i sindacati di base, dopo i Cobas ieri è stata la volta della Cub, che motiva la scelta di stare in piazza, per la liberazione degli ostaggi e il ritiro delle truppe dall'Iraq, con il fatto che «Giuliana Sgrena fa parte di quel settore dell'informazione che rifiutando la logica della paura e dell'intimidazione, rifiuta anche la censura e l'autocensura evitando di raccontare solo una parte della verità. E' probabilmente questo suo coraggio la causa prima di uno strano rapimento, che ci ricorda da vicino quello di Baldoni e delle cooperanti italiane». E' praticamente definita anche la scaletta della giornata. Il corteo partirà alle 14 da piazza della Repubblica e percorrerà via Cavour, via dei Fori imperiali, piazza Venezia, via del Teatro Marcello, via Petroselli, piazza della Bocca della verità, via dei Cerchi, via di San Gregorio, fino a piazza di Porta Capena al Circo Massimo, dove sarà allestito il palco, sul quale ci saranno le gigantografie di Giuliana, Florence e Hussein, nonché un grande striscione «Liberiamo la pace» più due piccoli del manifesto. Ad attendere i manifestanti all'arrivo ci sarà un sound system di musica irachena curato dal nostro Marco Boccitto. Seguiranno, attorno alle 17, gli interventi del direttore del manifesto Gabriele Polo, di Giovanni di Lorenzo, direttore di Die Zeit (il settimanale tedesco a cui Giuliana collabora) e di Serge July, direttore di Liberation, il quotidiano di Florence Aubenas. Dalle 18 alle 21,30 sarà musica. Nove gli artisti e i gruppi che si alterneranno sul palco. Apriranno Ricky Gianco e Maurizio Camardi con due brani dal cd «Danni collaterali» (edizioni il manifesto), seguiranno nell'ordine l'indiano Rashmi Bhat, il marocchino Noureddine e i maghrebini del Jamal Ouassini ensemble, l'iraniano Mohsen Kasirrosafar, e poi ancora Tetes de Bois (vincitori lo scorso anno del Premio Tenco), Assalti frontali e Folkabbestia. Chiuderà la serata Caparezza. da Il Manifesto 16.2.05 Angelo Mastrandrea-Roma
LASCIATELA IN PACE pubb. del 14-2-05 Il voto e il caos Quello del papa è il primo messaggio dopo il suo ricovero. Forse il più «formale». Ma è un messaggio di pace destinato ad essere di più lungo ascolto di ogni altra voce «laica». Troppo poco infatti si è sottolineato che la forte e dura opposizione a questa guerra da parte del mondo pacifista e della chiesa cattolica è stato un evento storico. E' infatti servito a far comprendere, nonostante la guerra di George W. Bush, che non si è trattato di un conflitto di religione e di civiltà e che, stavolta, l'occidente era diviso proprio sulla legittimità della guerra. La prova della spaccatura intestina erano, e sono, le Nazioni unite che, per l'occasione, non si sono limitate ad essere il teatrino delle tragicomiche rappresentazioni statunitensi che chiedevano la guerra ad ogni costo. L'Onu ha resistito all'unica potenza rimasta. E resiste. Non altrimenti vanno lette le dichiarazioni di Kofi Annan sulla possibilità che la sicurezza in Iraq possa essere affidata ai caschi blu. «E' difficile sostituire la forza a guida americana con una missione di peacekeeping dell'Onu», ha detto, l'eventualità porrebbe «un vero problema», ha sottolineato «al momento c'è una presenza molto forte. Se fosse seguita da una forza debole e mal equipaggiata sarebbe un problema», concludendo però che «naturalmente se nella sua saggezza il Consiglio di sicurezza scegliesse questa strada, dovremmo prenderla in considerazione». Insomma «Vorrei, ma non possiamo», manda a dire Kofi Annnan dalle rovine delle Nazioni unite, devastate dall'unilateralismo americano. E' quel che basta perché qui, in Italia, la sinistra risponda compatta per il no al rifinanziamento della missione di guerra dell'Italia. Mandando così un messaggio chiaro sulla necessità che l'Onu si riappropri di quella «grande saggezza» di cui parla Kofi Annan, per una iniziativa che, coinvolgendo l'Europa che è stata contro la guerra, metta fine al conflitto preparando il ritiro delle truppe d'occupazione, per aiutare il processo democratico e la pace nel martoriato Iraq. E' non solo necessario. E' decisivo in queste ore nelle quali vengono annunciati i risultati delle elezioni irachene. Diciamolo subito: incredibili risultati. Dopo dieci giorni sappiamo dai dati ufficiali che i partecipanti al voto sono stati il 58% e che hanno votato in poco più di 8milioni, che la lista sciita favorita dal leader Al Sistani ha avuto il 47,6% pur avendo votato in più di 4 milioni, che i kurdi hanno il 25,7% e che conquistano il «mare» di petrolio della contesa Kirkuk, e che il premier Allawi ha avuto uno schiaffo, la sua lista ha ottenuto 13%, quasi niente ma basta per continuare a mestare nel torbido. Che, infine, nella provincia di Al Anbar, il triangolo sunnita dove si combatte, ha votato solo il 2% degli aventi diritto. Non è la svolta che raccontano. E' la formalizzazione del caos. Perché sono esattamente le percentuali precotte annunciate dal governo già prima del voto. Con in più un dato che aggraverà la crisi: gli sciiti, pur avendo vinto, non avrebbero la maggioranza dei 275 seggi dell'assemblea nazionale, fallendo così l'obiettivo storico di controllare in chiave islamica la commissione costituzionale. Già gli sciiti contestano i risultati, già i sunniti ricordano che sono pronti a partecipare alle elezioni di dicembre sulla base dell'infondatezza di queste. Il solco tra le etnie e le confessioni religiose appare, dopo i risultati, ancora più profondo. Non dimenticando che anche chi ha votato vuole che le truppe americane si ritirino. Perché abbiamo avuto le immagini della voglia di contare degli iracheni, ma nessuna informazione sul boicottaggio. E ora arrivano i «risultati» senza alcun controllo indipendente, senza cioè sapere come le schede siano state raccolte, custodite, come siano stati contati e assegnati i voti. Tutto era ed è nelle mani di una commissione elettorale che a priori ha escluso i partiti contrari al governo, tutto era ed è sotto la supervisione dei comandi militari statunitensi. Non è possibile la democrazia in condizioni di guerra e sotto occupazione. da Il Manifesto 14-2-05 Tommaso Di Francesco
Il papa: -Liberate Giuliana- Alla preghiera dell'Angelus il pontefice lancia il suo appello per la liberazione della nostra inviata «e di tutti i sequestrati in Iraq»: «Continuo a pregare per la pace in Medio oriente». Giorni fa l'impegno del nunzio apostolico a Baghdad, Fernando Filoni: «Abbiamo attivato tutti i nostri contatti. Risposte positive» «Mentre continuo a pregare per la pace in Medio oriente, rivolgo il mio accorato appello per la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena e di tutti i sequestrati in Iraq». La preghiera del papa per la liberazione di Giuliana è tutta in queste due frasi, lette dopo la preghiera dell'Angelus dall'arcivescovo Leandro Sandri, sostituto della segreteria di stato. Il significato simbolico è decisamente importante. Soprattutto perché in Iraq le parole del capo della chiesa cattolica sono da sempre ben viste, anche per il suo impegno contro la guerra. L'appello del papa segue di qualche giorno le parole del nunzio apostolico a Baghdad, Fernando Filoni, che in una intervista a il manifesto aveva spiegato che la chiesa ha attivato i suoi contatti nella capitale irachena da diversi giorni. «Abbiamo fatto tutti i passi possibili - aveva detto il nunzio - Ci hanno effettivamente detto: stiamo lavorando, riteniamo che la persona sia degna di essere liberata». Le parole generiche nascondono il ruolo di spessore che la chiesa ha in Iraq e nel mondo arabo che fino ad oggi ha pesato nella soluzione di molti rapimenti. Dal punto di vista simbolico la ragione è evidente. La chiesa esiste nel mondo arabo da ben prima di qualunque guerra di occupazione e dall'11 settembre ad oggi ha messo il rapporto con quella parte del pianeta al centro delle sue priorità. «Il pericolo dello scontro di civiltà - spiegano in Vaticano - è in cima alle priorità della chiesa, sia all'interno del mondo occidentale esposto ad una laicizzazione eccessiva e dove gli integralismi rischiano di avere buon gioco, sia nel mondo arabo, dove rischia di affermarsi una visione fondamentalista che limiti il confronto». Nell'universo separato di piazza San Pietro contano anche altri particolari: ad esempio il fatto che questo appello sia arrivato prima della settimana di esercizi spirituali e di silenzio che annuncia la Quaresima. Da oggi, infatti, il Vaticano sarà chiuso ad ogni udienza e affronterà una fase di preghiere e discussioni. «Che l'appello sia arrivato proprio in questo momento è ancora più importante», aggiungono. Non è la prima volta che Giovanni Paolo II chiede esplicitamente la liberazione degli ostaggi catturati in Iraq. L'ultima volta l'ha fatto per l'arcivescovo di Mossul, monsignor Basile Georges Camussa, rapito il 17 gennaio e liberato 24 ore dopo. Ma anche per tutti gli altri ostaggi italiani dal Vaticano è sempre arrivata una attenzione particolare. La prima volta è stato lo scorso 29 aprile. Le famiglie di Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Maurizio Agliana avevano organizzato un corteo diretto in Vaticano, una manifestazione a metà tra la processione e il corteo pacifista. Il papa fece arrivare alle famiglie un messaggio scritto. «In nome dell'unico Dio, che tutti ci giudicherà, rinnova ai rapitori la sua pressante supplica di voler ridare prontamente le persone rapite alle loro famiglie» aveva spiegato alle famiglie riunite nella piazza monsignor Giovanni Lajolo. Nei giorni della paura per Simona Torretta e Simona Pari di Un ponte per..., rapite insieme a due volontari iracheni e liberate venti giorni dopo, il nuovo intervento del papa, con un testo letto pubblicamente l'8 settembre scorso. «Le due giovani volontarie italiane sequestrate ieri a Baghdad siano trattate con rispetto e restituite presto incolumi all'affetto dei loro cari» diceva la preghiera, letta da un collaboratore durante l'udienza del mercoledì. Le due ragazze furono liberate venti giorni dopo. L'ultimo discorso generale, prima del rapimento del vescovo di Mossul, il 2 ottobre: «Nessuna rivendicazione può sfociare in un mercato sulle vite umane e il cammino della violenza è una strada senza uscita».da Il Manifesto 14-2-05 Sara Menafra
UNA DI NOI -lettere- Una ragione di più Anche io vivo con un'angoscia terribile il rapimento di Giuliana. Giuliana Sgrena è, come è stato detto da tanti, proprio una di noi. Non c'è momento delle mobilitazioni per lapace che non mi ricordi il viso di Giuliana. A Comiso, Gerusalemme, Tindouf, Roma ovunque il movimento pacifista percorre strade difficili lei è sempre stata, lei c'è. E' una giornalista-pacifista che non si accontenta di dare le notizie, mestiere di per sé già difficile se fatto con la coscienza aperta, corretta e sensibile come è nel suo caso, ma cerca di capire indagando i contesti sociali, la vita vera delle persone la dove c'è il conflitto, e non quello di facciata, ma dentro le pieghe nascoste spesso volutamente, raccontando e testimoniando la realtà di chi nelle guerre, nei contesti di conflitto è vittima anche quando è scomoda per la «versione ufficiale» delle cose.Per quanto possibile le sono vicina, esprimo la mia solidarietà ai suoi cari e agli amici del manifesto,sapendo che seppure difficilissimo, lei riuscirà a trovare il linguaggio, il modo per comunicare e dialogare perfino con chi l'ha rapita. Questo non è facile nei luoghi che Giuliana è abituata a percorrere perché luoghi di guerra e conflitto dove la parola, il dialogo non hanno cittadinanza. Dall'Iraq e non solo la follia della guerra continua a segnarci a rimandarci ogni giorno notizie di morte e distruzione testimoniando una realtà ben diversa da quella che il mondo dell'informazione «arruolata» ci propone.Anche noi chiediamo che venga liberata e subito evitando ulteriori sofferenze. Abbiamo tutti una ragione in più per impegnarci a costruire la forte mobilitazione per la fine della guerra lanciata a Porto Alegre per il 19 marzo. Raffaella Chiodo per Sdebitarsi Forum solidale Il 19 noi a Roma ci saremo per la pace e per Giuliana Sgrena, con amicizia e solidarietà fraterna. Fabriano Social Forum Un mondo più giusto Solidali con la redazione, per Giuliana e per un mondo più giusto,sabato saremo in piazza con voi. Sara Fortuna, Fabrizia Giuliani, Monica Pasquino Sostegno europeo A nome dei 41 eurodeputati del Gruppo della Sinistra unitaria Europea Sinistra verde Nordica (Gue/(NGl) del Parlamento Europeo che esprimo il mio sostegno all'importante iniziativa nazionale del 19 febbraio per chiedere la liberazione di Giuliana Sgrena, Florence Aubenas e Hussein Hanoun. Giuliana e Florence sono due giornaliste conosciute in Europa per il loro infaticabile lavoro di «reporter» da un paese sotto occupazione, l'Iraq, che deve trovare pienamente il suo cammino verso la democrazia. Ricordo con particolare simpatia l'incontro con Giuliana Sgrena, a Strasburgo dove il nostro gruppo la invitò al Parlamento Europeo per parlarci di un'altra guerra, quella dell'Afghanistan, prima di partire ancora una volta per l'Iraq. Francis Wurtz, presidente gruppo Gue/Ngl Fermiamo la follia Il 19 febbraio saremo insieme a voi per chiedere la liberazione di Florence, Giuliana e Hussein, uomini e donne di pace.Uomini e donne, che come noi, credono che la mediazionee la trattativa siano gli strumenti indispensabili per provare a raggiungere la pace, ripudiando radicalmente ogni forma di guerra, quindi ogni menzogna, poichè la guerra non è altro che questo. Fermiamo la follia imperialista di Bush e del nostro governo. Basta essere ostaggi della guerra permanente, del terrore, della barbarie.Chiediamo inoltre sia fatta chiarezza sulla morte di Enzo Baldoni e che la famiglia possa recuperarne la salma e darne degna sepoltura. Paolo Violi, GayRoma.it - movimento dei forum sociali Come il vento Cara Giuliana, in un momento simile, forse, solo dei versi possono lenire la tua sofferenza e colmare la nostra attesa. Ripenso a quelli di Attila Jozsef, il poeta ungherese che se fosse vissuto abbastanza per conoscerti, non escludo che potesse ispirarsi alla tua vita e al tuo modo di lavorare, quando scrive: «Non essere come il vento anche se un altro trarrà profitto dalla tua fatica, tu devi lavorare puntualmente, come la stella che attraversa il cielo. Solo così vale la pena». Noi, trafficanti di parole e commercianti di idee, noi, giornalisti-scrittori-intellettuali più o meno impegnati e politicamente (s)corretti, oggi facciamo i conti con il tuo esempio. Tu che vivi per scrivere e scrivi per vivere, sei come sospesa su una linea d'ombra, «ostaggio» di un destino bidimensionale. Da una parte la libertà tua, del popolo iracheno e la tua scrittura di pace per la pace; dall'altra, la detenzione, mi auguro sopportabile, per te, per decine di europei nelle prigioni irachene e per centinaia di iracheni nelle carceri a stelle e strisce. Cara Giuliana, se scrivere non puoi in questi giorni, consolati. Non fartene un cruccio se non ascolti da giorni la voce del tuo compagno; se rinunciare devi a quella sfilza di domande dal cuore «hai mangiato, dormi abbastanza, quanto ritorni?» della tua famiglia; rimandare i confronti più o meno pacati con i tuoi compagni di lavoro. Resisti. Non mollare. Le tue parole, le tue idee, le tue azioni viaggiano libere per migliaia di chilometri dentro migliaia di coscienze. E sono arrivate anche in Occidente. Forse, la tua testimonianza di ieri, di oggi e di domani, abbatterà il muro d'ipocrisia su questa ed altre guerre dichiarate ma mai ammesse alla voce orrore e ingiustizie. Domani, ne sono sicuro, ci sveglieremo e tu, con altri mille e poi mille ingiusti detenuti iracheni, curdi, somali, europei, sarete liberi. Liberi di vivere, pensare, manifestare, scrivere, amare, lottare, indignarsi... Solo così vale la pena, cara Giuliana. «Anche se un altro trarrà profitto dalla tua fatica, tu devi lavorare puntualmente, come la stella che attraversa il cielo». Massimiliano Melilli Una dedica Cari compagni, da quando è stata rapita la compagna Giuliana Sgrena, io che sono detenuto da circa vent'anni mi sento più carcerato in tutti i sensi. Gli dedico ottimisticamente queste frasi (da «Fidelio»).... «Sollievo avran le vostre pene, in bando or vada crudeltà. A scioglier vengo rie catene godete alfin la libertà». Raffaele Italder, Marino di Tronto (Ap) Vi abbraccio e sostengo Caro Valentino e carissimi compagni d'un tempo e nuovo, in attesa che Giuliana ritorni si fa come ai vecchi tempi, vi mando una sottoscrizione perché il giornale possa continuare ad esserci. Vi abbraccio tutti con affetto. Piergiovanni Anchisi, Omegna (Vb) Più che una speranza La manifestazione indetta dal manifesto per il 19 febbraio è un appuntamento determinante per tutti coloro che hanno a cuore la salvezza della vita di Giuliana Sgrena, e soprattutto per chi si è schierato contro la guerra e l'occupazione militare di cui Giuliana riportava coraggiosamente le tragedie e la devastazione che il popolo iracheno subisce. L'adesione alla manifestazione è inoltre il segno di partecipazione e di speranza solidale che vogliamo comunicare ai compagni del manifesto a sostegno della liberazione della compagna Giuliana, e della giornalista francese di Liberation Florence Auberans. Associazione comunista Il pianeta futuro Senza filtri Non conosco Giuliana. Ricordo però i suoi servizi dall'Iraq sul manifesto. Mi piacevano perché non avevano filtri. E la guerra ne usciva come è sempre stata: distruzioni, dolore e morte. Hanno sequestrato chi ama la pace. E, per la pace, si espone in prima persona. Come fanno altri giornalisti.Per vero non tutti. In questi giorni leggo sul manifesto servizi che lasciano capire come quando si sta dentro una guerra,qualsiasi guerra, tutto diventa terribilmente più precario. Non solo la vita. Per questo si teme fortemente per Giuliana e qualsiasi sotto sequestro. Il 19 c'è una manifestazione a Roma (riappendendo le bandiere per la pace) contro la guerra e per la liberazione di Giuliana insieme a un'altra giornalista francese e il suo interprete che di tutto si possono incolpare meno di essere per questa guerra; per qualsiasi guerra. In questi giorni i giornali e le televisioni parlano, dopo 60 anni, della distruzione di Dresda. Si vedono e si leggono cose tremende. Giuliana e Florence Aubenas si stavano occupando di quanto successo in Iraq a Falluja.Forse un'altra Dresda. Se da un lato il giornale di Giuliana, il manifesto, continua giornalmente a tenere desta l'attenzione contro questo sequestro, fedele alla sua linea contro la guerra, vedo che stampa, televisione nazionale e Governo via via si inabissano nel silenzio. Quasi a rimarcare che non si può fare più di tanto per la vita di una giornalista che non è in linea con un governo che è entrato in questa guerra. Posizione, questa del Governo, che in certo modo ha una sua logica, meno se leggiamo l'articolo 11della nostra Costituzione per cui «l'Italia ripudia la guerra ... come mezzo di risoluzione delle controversieinternazionali». Al punto da poter dire che è Giuliana a stare con gli italiani e non chi condivide e fa questa guerra. Spaventa come questa guerra via via sta entrando nelle nostre teste. Al punto da domandarsi che sono diventate le nostre teste, le nostre coscienze. Dresda, Falluja, l'ex Jugoslavia, le guerre in Africa. Come le disuguaglianze e povertà crescenti, la perdita di senso civile e la svendita e privatizzazione dei servizi pubblici che abbiamo in casa. E la crescente nostra impotenza a dire no! Luigi Meconi, Altidona Libera Qualunque possa essere lo scopo che si vuole raggiungere con il sequestro di Giuliana Sgrena, per me e per quelli che la pensano come me, non può che essere un obiettivo insensato ed assurdo. La sua liberazione non può che rendere il mondo migliore.Vale per tutti. Anche per i rapitori. Francesco De Feo La calata dei valdostani Il Coordinamento per la Pace della Valle d'Aosta aderisce alla proposta lanciata dal manifesto di organizzare una manifestazione nazionale, il 19 febbraio a Roma, per la pace e la liberazione di Giuliana Sgrena. Il Coordinamento invita, quindi, i tanti cittadini valdostani che hanno aderito alle iniziative a sostegno della Pace a partecipare a questa manifestazione. Coord. per la Pace della Valle d'Aosta Mi ritorni in mente Frugando nella mia memoria ho ritrovato un momento, un po' di tempo fa, in cui ho incontrato Giuliana in redazione per portarle alcune foto. Credo fossero le foto di una occasione in cui Manuel Vazquez Montalban venne a incontrare la redazione (... davvero un bel po' di tempo fa). La gentilezza di Giuliana e la sua espressione di quel momento mi sono spesso tornate in mente quando altre volte sono arrivato in redazione per portarvi le mie foto, ed ogni volta che ho letto un suo reportage sul giornale. Ora, ricordando questo breve incontro, vi voglio dire che vi sono vicino e che anch'io ho bisogno di sentire e sapere che siamo tutti stretti insieme perché perme, come per tutti, è sempre più difficile accettare ancora questi eventi. Aspetto Giuliana con voi. Prestissimo. Gaetano De Filippo Cattive abitudini Sono un'appassionata lettrice del vostro giornale, del vostro modo di fare informazione, addolorata come tutti per il rapimento di Giuliana Sgrena. Leggendo il manifesto, ho imparato a conoscerla e apprezzarla, ormai fa parte un po' del mio modo di essere, come del resto tutti voi! Sarò con voi sabato 19, come in altre circostanze, per tornare in piazza per chiamare la pace, di nuovo finalmente, malgrado la triste circostanza! Sono sicura che Giuliana sarà con noi quel giorno, a raccontarci ancora una volta quella verità che si nasconde dietro la falsa informazione a cui,per fortuna, c'è chi non vuole abituarsi. Elvira Supino Indipendenza Ci saremo anche noi alla manifestazione del 19 per Giuliana e per la pace per un giornalismo indipendente che racconti,come fa Giuliana e come fate voi cari colleghi del manifesto, anche le ragioni degli altri. Per porre fine alla guerra infinita. Sandro Ruotolo e Michele Santoro Saremo in tanti Cari compagni,Giuliana sarà presto libera e finalmente tornerà a scrivere la verità su una guerra assurda come tutte le guerre, quelle preventive,infinite o umanitarie. Saremo in tanti a Roma per dire no alla guerra ed un si forte alla pace ed alla autodeterminazione dei popoli. Francesco Giordano Perversioni belliche Aderiamo alla manifestazione per Giuliana, convinte che - come lei stessa ha scritto - il sequestro dei giornalisti sia uno degli «effetti perversi» della guerra in Iraq. Le giornaliste e le scrittrici di Controparola Il 19 in piazza Un abbraccio a tutto il collettivo del manifesto per il rapimento di Giuliana Sgrena, spero succeda quello che dice Vauro nella vignetta di oggi, perché abbiamo bisogno di vignette contro Berlusconi. Ci vediamo il 19. Simone Donat Cattin Un amico sincero Loris Romagnoli ci ha lasciato. Presidente dell'Arci di Cesena, dirigente nazionale competente e appassionato, è stato per tanti di noi innanzitutto un amico sincero. Tutta l'Arci si stringe con affetto a Marzia e Francesco, alle compagne e compagni di Cesena. Ciao Loris, non ti dimenticheremo.da Il Manifesto 14-2-05
MESSAGGIO SPECIALE pubb. del 13-2-05 -I frutti velenosi della guerra in Iraq- Guglielmo Epifani spiega le ragioni dell'adesione della Cgil alla manifestazione di sabato. Per il segretario generale del maggior sindacato italiano, c'è un nesso tra l'opposizione alla scelta militare e l'impegno per la liberazione di Giuliana Non è un atto formale l'adesione immediata della Cgil alla manifestazione di sabato prossimo per la liberazione di Giuliana, Florence, Hussein, tutti i rapiti e il popolo iracheno. Dal momento in cui si è diffusa la voce del rapimento della nostra inviata a Baghdad, i segnali da corso d'Italia non si sono fatti attendere. Già nella manifestazione promossa al Campidoglio dal sindaco di Roma Walter Veltroni, il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani aveva portato la sua solidarietà. Cgil non vuol dire soltanto il suo segretario e il gruppo dirigente nazionale. Cgil vuol dire categorie, come ad esempio la Fiom, i cui segretari sono subito venuti in redazione per dirci: siamo con voi, come possiamo aiutarvi? Cgil vuol dire decine di Camere del lavoro che hanno svolto un ruolo determinante nell'organizzazione di cortei, presìdi, sit-in, fiaccolate. E già da ieri, chi intende partecipare alla manifestazione - speriamo la festa per l'avvenuta liberazione di Giuliana - di Roma, è alla Camera del lavoro della sua città che telefona, per sapere se sono già stati organizzati pullman o treni. Guglielmo Epifani ha contribuito, anche personalmente, a non farci sentire soli in questo momento drammatico per la redazione del manifesto. Per questo gli abbiamo chiesto di spiegare ai lettori come questo momento viene vissuto nella sua organizzazione. La Cgil sabato sarà a Roma con noi, per la pace e per la liberazione dei prigionieri in Iraq. Con quali contenuti e motivazioni? E' presto detto: la solidarietà, che ci fa stare vicini a Giuliana, al manifesto e a chi svolge in Iraq il lavoro prezioso quanto pericoloso di raccontare la verità, parlando con la popolazione civile. La seconda ragione è che in questi momenti bisogna fare, tenere sveglia l'attenzione e viva la coscienza di tutti. Non si può restare fermi, dobbiamo mettere in campo tutto quel che possiamo. Anche per questo è necessario che tutte le componenti della società che in questi giorni trepidano per la sorte di Giuliana e gli altri rapiti restino unite e unite manifestino sabato prossimo. E' importante e positivo che l'intero sindacalismo confederale abbia aderito; sia pure con modalità diverse, anche la Cisl e la Uil saranno con noi sabato, e questo per la Cgil è un motivo di soddisfazione. Guai a restringere il fronte, e noi vogliamo contribuire ad allargarlo. Battersi per la liberazione di tutti i giornalisti e le altre persone rapite non vuol anche dire battersi per la pace e contro la guerra in Iraq che non accenna a diminuire di intensità? La situazione a Baghdad e in tutto l'Iraq è ben lungi dall'essere normalizzata. Lo dice la cronaca che resta tragica, senza nascondere il valore democratico delle elezioni che in qualche modo, e a prescindere dalla percentuale dei votanti, si sono tenute qualche giorno fa. Persino gli osservatori meno sospettabili di essere di parte ammettono che quel paese non è pacificato. Con un'aggravante: prima il terrorismo in Iraq non c'era, oggi c'è. C'è il terrorismo e c'è una forte resistenza. In questa situazione difficile si muovono anche bande di irregolari, magari interessate all'utilizzo dei rapimenti per estorcere soldi, al punto di colpire a caso. Forse perché è più facile colpire un giornalista che opera sul campo, interroga la società civile e racconta come le persone vivono tra bombe e autobombe... Certo, i giornalisti embedded corrono meno rischi dei giornalisti liberi. Ma in tutte le guerre chi fa informazione libera è nel mirino. Le conseguenze di questa guerra e di quel che i nostri governanti chiamano dopoguerra confermano l'opposizione della Cgil alla soluzione militare, oppure oggi prevalgono altre considerazioni? Ogni giorno di più è ribadita la fondatezza della nostra posizione: la guerra era una scelta sbagliata e l'Iraq che essa ha svelato conferma ciò che anche due anni fa era evidente: con forme di pressione interne ed esterne si sarebbe potuto far cadere il dittatore senza provocare migliaia di morti e tutti i disastri conseguenti alla guerra e all'occupazione. Eppure, la politica estera del governo Berlusconi non è cambiata di una virgola. Il profilo del nostro paese è curioso. Da una parte si fa esattamente tutto quello che Bush decide e pretende venga fatto, dall'altra resta viva la tradizionale apertura dell'Italia verso i paesi arabi. Berlusconi tende a nascondere la subalternità agli Usa per rivendersi l'altra immagine, ma a nessuno sfugge che l'Italia in questa emergenza non ha certo svolto il ruolo della Germania, della Francia e, in un secondo momento, della Spagna. Eppure, questi paesi dovrebbero essere i nostri primi interlocutori. Dunque, ha fatto bene l'opposizione ad annunciare il voto contrario al rifinanziamento della missione? Ha fatto una scelta semplicemente coerente e ovvia. Anche se un problema esiste e chiama in causa il ruolo delle Nazioni uniti: non si può lasciare l'Iraq nel vuoto. Siamo molto contenti dell'adesione della Cgil alla manifestazione di sabato. E per onestà, devo dirti che ci aspettiamo che non si tratti di un atto formale: siete o non siete, anche da un punto di vista organizzativo il più importante sindacato italiano? Per sabato garantiamo una forte presenza dell'organizzazione e abbiamo dato indicazione alle strutture di impegnarsi in una forte mobilitazione, perché l'appuntamento di sabato - che anche noi speriamo si trasformi in una festa per l'avvenuta liberazione di Giuliana - è un fatto importante per la nostra democrazia.da Il Manifesto 13-2-05 Loris Campetti -Roma-
UNA DI NOI -lettere- Il paese continua ad essere ostaggio di rastrellamenti. Continuano a mancare i beni essenziali: elettricità, acqua, telefoni. E, in un paese che galleggia sul petrolio, la benzina è razionata. Il 75% della popolazione è rimasta senza lavoro. (G.S.) Realizzare un dialogo Cari amici, la nostra comunità sta seguendo con trepidazione la vicenda del sequestro di Giuliana Sgrena. Ogni giorno Giuliana entra, talvolta inconsapevolmente, nell'invocazione dei credenti che chiedono all'Altissimo che allevi le pene degli oppressi, degli innocenti, di tutti coloro che sono mustadaifun,indeboliti sulla terra. E tra coloro che sono più coscienti non manca la preghiera affinché sia trattata nel migliore dei modi e liberata quanto prima. La vicenda di Giuliana (come pure quella che coinvolse Simona Pari e Simona Torretta) c'interroga a partire da una positività. Se siamo riusciti, in un'assoluta emergenza, a realizzare dialogo e azione comune, a maggior ragione dovremmo riuscire a realizzare reti permanenti di comunicazione e iniziativa politica e culturale a favore di centinaia di milioni di uomini e donne e bambini di questo pianeta che ogni giorno sono privati dei loro diritti fondamentali, nella loro dignità umana. Per proseguire in questo cammino saremo con voi nella manifestazionedel 19 febbraio a Roma, nella speranza che sia per festeggiare il ritorno di Giuliana. Hamza Piccardo, segr.naz.le direttivo Ucoil Insieme Venerdì scorso noi Donne in Nero abbiamo lanciato, pensando a Giuliana, un sit in contemporaneo in tante città d'Italia e del mondo. Abbiamo fatto in fretta quello che pensavamo fosse giusto fare, a modo nostro, come alcuni già sanno, esponendoci in strada, vestite di nero con le manine scritte nellelingue di ogni paese, con tanta speranza. Un'amica mi ha detto: «Sono tanto giù di morale ma ora sto meglio quì insieme, tra noi». Si, insieme. Doriana Goracci, Donne in Nero Tuscia Ci sarò Aderisco alla manifestazione del 19 febbraio a Roma e aggiungo la mia solidarietà verso Giuliana Sgrena. Citto Maselli Buoni auspici Il 19 febbraio è anche il giorno del nostro compleanno: è un giorno che ha sempre portato fortuna a noi e a quelli che amiamo.Con ancora più convinzione, dunque, aderiamo alla manifestazione, con l'auspicio che si trasformi in una grande festa, che la moltitudine desiderante possa stringere e cullare Giuliana fra le sue molteplici braccia. Annamaria Rivera, Università di Bari e per l'Associazione Mediterranea e Gianfranco Laccone, ACU (Associazione consumatori e utenti) Salto di qualità Nonostante i Cobas della scuola siano impegnati il 19 e 20 febbraio a Firenze nella loro assemblea nazionale statutaria, la confederazione Cobas sarà in piazza a Roma il 19 per richiedere insieme a tutte/i voi la liberazione di Giuliana Sgrena e Florence Aubenas, il ritiro delle truppe d'occupazione, la fine del conflitto in Iraq, la restituzione dell'Iraq agli iracheni. La incessante e coraggiosa attività di Giuliana a favore della pace e del popolo iracheno ha suscitato un unanime coro mondiale a favore del suo immediato rilascio e altrettanto unanime solidarietà in Iraq e nell'intero mondo arabo. Inoltre la limpida e coerente linea seguita nella vicenda dal collettivo del manifesto sta dimostrando che è possibile aprire un dialogo serio e costante con le forze più coscienti della resistenza irachena all'occupazione. In tal quadro se il movimento internazionale contro la guerra ha il dovere, anche rispondendo adeguatamente all'appello uscito dal Fsm di Porto Alegre, di intensificare la mobilitazione verso la giornata mondiale del 19 marzo e il raggiungimento dell'obiettivo del ritiro delle truppe, le forze più avvedute della resistenza irachena dovrebbero altrettanto sforzarsi di compiere un salto di qualità nel tentativo di saldare un fronte internazionale di solidarietà e sostegno alla loro lotta, evitando che tra le fila della resistenza irachena vengano indiscriminatamente considerati nemici, e come tali trattati, tutti gli «occidentali» o i cittadini di paesi le cui truppe partecipano all'occupazione dell'Iraq. Confederazione Cobas No a tutte le guerre Cari amici de il manifesto, aderisco alla manifestazione del 19 febbraio per la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Vi abbraccio affettuosamente con l'augurio che Giuliana il 19 possa essere con noi a ribadire la nostra contrarietà a tutte le guerre. Fiorello Cortiana Pensionati per Giuliana Esprimiamo solidarietà a tutta la redazione del manifesto e, nell'ambito dell'impostazione più generale già enunciata dalla Uil, come Uil Pensionati aderiamo a tutte le iniziative che saranno intraprese per la liberazione di Giuliana Sgrena, e di Florence Aubenas e Hussein Hanoun, a partire dalla manifestazione del 19 febbraio a Roma. Silvano Miniati, segretario generale Uil Pensionati Il 19 con voi Sarò con voi il 19 in piazza per Giuliana Sgrena libera, per la pace e per il ritiro delle truppe. Luigi Nieri, assessore alle Periferie del Comune di Roma Battiti di pace Cari compagni del manifesto mi permetto di scrivervi in redazione per dirvi che, nel mio piccolo, sarò con voi sabato 19 a Roma. Con voi, con Giuliana, con Florence e con tutte le donne ostaggio, loro malgrado, non solo di guerre sanguinose, ma di ogni sorta di violenze quotidiane. Sarà una grande festa, e sarà colorata. Come un cuore di donna, e come la pace. Adele La voce nel silenzio Oltre ad aderire alla manifestazione per la pace e la liberazione di Giuliana, vorrei aggiungere la mia lettera alle innumerevoli altre che vi arrivano in questi giorni. E' importante che quando Giuliana tornerà trovi un mare di lettere che le possano testimoniare l'affetto e la solidarietà dei suoi lettori ed amici. Penso a lettori come me che l'apprezzano e la ringraziano per quello che ci ha insegnato e ci ha fatto capire dalla Somalia all'Iraq, dando voce a chi voce non ha, in particolare le donne. E ad amici come me che non l'hanno mai conosciuta, ma che leggendola se la sono sentita sempre vicina per umanità e valori ideali. Marco Della Pina Tutti in piazza Solidarietà per Giuliana Sgrena, saremo anche alla manifestazione del 19. Tavolo per la pace Esserci Ci sarò certamente alla grande manifestazione di sabato 19, c'ero in Campidoglio il 5 scorso, e la sera del 10 alla Casa internazionale delle donne. Questo è il modo di testimoniare per Giuliana che mi riesce più naturale: esserci, una nel gran numero, e dire con gli altri la stessa speranza di riaverla prestissimo tra noi, e insieme lo stesso fermissimo ripudio della guerra, suo e di noi tutti. Carla Ravaioli Io sono sicura Ci sarò anche io in piazza il 19 febbraio con voi per Giuliana e per la pace.E mi auguro - anzi sono sicura - che saranno tanti e tante, anche da Napoli e dalla Campania, per chiedere la libertà e il ritorno di Giuliana, e insieme la fine della guerra e di ogni violenza in Iraq. Adriana Buffardi Volti senza nome «La pace con la guerra, ecco il risultato. Col fiato sospeso pensiamo a Giuliana e anche alle decine di volti senza nome che ogni giorno muoiono in Iraq senza sapere il perché...» Têtes de Bois Un'ottima occasione Esprimiamo la nostra solidarietà alla redazione del manifesto per il rapimento di Giuliana Sgrena in Iraq, raccogliamo senz'altro il suo appello ed invitiamo tutti a partecipare alla manifestazione nazionale che si terrà a Roma il 19 gennaio prossimo per la pace e la liberazione di Giuliana e della giornalista francese Florance Aubernais. In attesa del loro, speriamo imminente, ritorno a casa, pensiamo che questa manifestazione rappresenti un'occasione concreta per rinnovare il nostro impegno per la pace e contro tutte le guerre. Agostino Mantovani, presidente Volontari nel mondo - FOCSIV Sorrisi e striscioni Vogliamo essere vicini a tutti voi e a Giuliana, in questo momento difficile e angoscioso. State voi tutti, e Giuliana in prima persona, testimoniando come la guerra , ciascuna guerra, sia soltanto violenza , sopraffazione e dolore.Non esistono guerre giuste o, peggio ancora, guerre umanitarie. Esistono,solo e sempre, persone, uomini, donne e bambini, che soffrono a causa dei progetti di potenza di pochi.La nostra fatica quotidiana attiene alla ricerca ed alla produzione di petrolio, e sappiamo che intorno a questa risorsa si muovono interessi colossali e strategie di conquista. Abbiamo lavorato in ogni parte del mondo, nei deserti e nei paesi lontani da tutto, e la sofferenza delle moltitudini del mondo fa parte della nostra esperienza quotidiana e collettiva.Aderiamo alla manifestazione del 19 febbraio e saremo con voi, con lasperanza di vedere il sorriso di Giuliana sotto lo striscione del manifesto. Siamo vicini, vi siamo vicini e stringiamo tutti con un abbraccioforte. Delegati ed iscritti Cgil, Filcea, Eni Divisione E&P, San Donato Milanese Rai solidale Cari colleghi, desideriamo esprimere la nostra solidarietà a Giuliana Sgrena e aderire alla giornata di mobilitazione per la pace prevista per il 19 febbraio prossimo. Il Comitato di Redazione Rai Tgr Bari, Enza Caccavo, Leonardo Casalino, Costantino Foschini Lavoro indispensabile Nel momento in cui abbiamo appreso del rapimento di Giuliana, il nostro pensiero è tornato immediatamente a quanto siamo state contente di ospitarla per la presentazione del suo libro Alla scuola dei taleban. Volevamo condividere così il suo impegno quotidiano nel raccontare quello che succede laddove ci sia una guerra, violazione di diritti, ingiustizia.Il lavoro di Giuliana sembra a noi indispensabile. Vogliamo sperare di rivederla presto al suo posto, quello di un impegno civile alto, svolto con grande professionalità e sensibilità, con occhi e cuore di donna. La Libreria delle donne - Firenze Umana follia «I guardiani delle barbarie sono persone che portano sopra le loro spalle delicate l'enorme peso di raccontare storie ...».Queste sono le suggestive parole di Paco Ignacio Taibo II che ho letto nel «nostro» giornale il manifesto. Dico nostro perché lo sento anche un po' mio. Sono abbonata da qualche anno e felice di esserlo. Giuliana sarà liberata, sono sicura e io prego per questo ma, mi domando, quando ci libereremo della follia umana, dell'insensatezza della guerra e dell'arroganza dei potenti ?!! Vi sono molto vicina Miranda Martino Una coop per la pace Aderiamo alla manifestazione nazionaleliberiamo la pace. Vogliamo inoltre esprimere la nostra solidarietà agli amici del manifesto e alla famiglia di Giuliana Sgrena. La cooperativa effetto terra di Lissone Senza se e senza ma Saremo in piazza il 19 per riportare a casa Giuliana e Florence, per fermarela guerra in Iraq senza se e senza ma, con tutte le donne e gli uomini che non si rassegnano alle politiche del meno peggio. Per una pace giusta che può partire solo dal ritiro di tutte le truppe occupanti. Marcia Mondiale delle Donne contro le violenze e la povertà Obiettori in piazza Cari amici,aderiamo alla manifestazione del 19 febbraio per chiedere la liberazione di Giuliana Sgrena. Saluti di pace Massimo Paolicelli, presidente Associazione Obiettori Nonviolentii Vittime e carnefici L'Unione degli Studenti raccoglie e fa proprio l'appello del manifesto per una mobilitazione nazionale contro la guerra e a favore della liberazione di Giuliana, vittima, anche lei, di un'assurda e drammatica vicenda che è stata voluta da pochi potenti e osteggiata dalla maggioranza della popolazione mondiale. L'Unione degli Studenti Ai lettori A causa della foliazione straordinaria di questi giorni, saltano nel numero odierno tutte le rubriche. Ce ne scusiamo con i lettori.da Il Manifesto 13-2-05
-Gli americani, vero nemico di noi reporter- pubb.del 12-2-05 Dahr Jamail è un giornalista indipendente, tiene un web-log e continua a lavorare in Iraq. «Falluja è la Dresda dei nostri giorni», ci dice. -Ma i militari americani non vogliono testimoni- L'ultimo «dispaccio» sul suo weblog è titolato «Vita sotto le bombe a Baghdad» ed è del 3 febbraio. Tra i titoli precedenti: «Elezioni ingannevoli in un giorno insanguinato», «Alcuni vedono speranza, altri guerra civile», e avanti così: articoli pubblicati da agenzie e giornali in tutto il mondo, o annotazioni quasi quotidiane di un giornalista in Iraq. L'autore è Dahr Jamail, giornalista indipendente di Anchorage, Alaska (Usa). Jamail è uno giovane, in Iraq è andato per la prima volta nel novembre del 2003: «Dopo un mese ho cominciato il blog, all'inizio erano solo e-mail per gli amici. Poi ho cominciato a fare corrispondenze, radio, articoli», mi spiega. Ormai il suo web-log (www.dahrjamailiraq.com) è una delle migliori fonti d'informazione sull'Iraq. Dahr Jamail era a Roma ieri, al Tribunale mondiale sull'Iraq che sta analizzando la politica dell'informazione - o disinformazione - nella guerra irachena (ne riferiamo in questa pagina). Durante la sua testimonianza ha mostrato immagini impressionanti girate a Falluja dal medico Hamudi Jasim e dalla documentarista Rana Mustafa: immagini di battaglia, i soldati americani che esultano con un wow quando fanno centro e poi le persone centrate, una donna che esce di casa urlando e chiede aiuto per il figlio colpito. Immagini di sfollati - come quelli con cui era andata a parlare Giuliana Sgrena - che hanno perso tutto e parlano di familiari uccisi, due bambine sui 6 anni che raccontano l'irruzione dei soldati nella loro casa... Gli autori del video non sono riusciti a venire a Roma. Jamail sì. Ne approfittiamo per parlare di come si lavora in un posto dove, lui sostiene, «i militari americani non ci lasciano lavorare. Non vogliono che raccontiamo cosa succede». Come riesce a lavorare in Iraq? Il mio lavoro è il contrario di quello che fanno i corporate journalists, i giornalisti dei grandi media. Io lavoro da solo, vado in giro solo con il mio interprete e la sua auto. Vesto come gli iracheni, mi sono tagliato i capelli corti come loro, non parlo inglese in pubblico. Sto molto attento a ridurre al minimo il tempo in cui sto in strada. Un anno fa era più facile, non c'erano rapimenti e la violenza era minore. Potevi andare per la strada e parlare più facilmente con le persone. Ora è più pericoloso, ci sono i rapimenti, e senti che la rabbia degli iracheni è diretta contro tutti gli occidentali... Anche così però, se vai là e vuoi fare davvero un lavoro da giornalista devi parlare con le persone. E quindi devi correre il rischio. Io riesco ancora a lavorare. Ho un ottimo interprete, lavoriamo insieme da un anno e lui è capace di convincere le persone a parlarmi, che scriverò davvero quello che mi dicono. Ma le cose peggiorano in fretta. Prendere foto, ad esempio: attiri subito l'attenzione, sospetti, diventa pericoloso. Ogni volta che torno in Iraq trovo un altro paese. Perché nel giro di un anno le cose sono peggiorate in modo così drastico? Sono successe due cose. Gli iracheni erano molto aperti nel parlare con i giornalisti: poi hanno visto che quelli riportavano solo la versione militare della storia - là seguono i media occidentali. Così hanno cominciato a sentirsi traditi. E poi la violenza quotidiana contro le persone comuni è aumentata: gente uccisa in auto perché si è avvicinata troppo a una pattuglia, episodi così. Ogni giorno. Senza parlare di Falluja, una violenza schiacciante. Gli iracheni distinguevano tra il governo e i cittadini americani: ma ora, dopo tanta violenza, gli è sempre più difficile fare la distinzione. Troppo forte è il risentimento. E i media occidentali parlano così poco delle vittime civili. Poi c'è Falluja. Falluja è la Dresda dei nostri giorni. Non esagero. Hai visto le immagini... Durante il primo assedio, nell'aprile del 2004, sei andato a Falluja con un'ambulanza. Quando è che diventato troppo pericoloso? Ci sono andato l'ultima volta in maggio 2004. Non ci sono tornato durante l'assedio (novembre 2004, ndr) perché i bombardamenti aerei erano massicci. Ora potrei andarci, ho abbastanza contatti. Ora il pericolo non viene dalla resistenza irachena ma da parte dei militari americani che controllano la città. Ne hanno fatto un campo di concentramento. Per andarci bisogna passare un chek point obbligato, controllato dai soldati americani: e non lasciano passare giornalisti. Per passare devi fingerti un operatore umanitario. Non vogliono giornalisti. E il motivo sta nelle immagini che ho mostrato, ciò che hanno fatto là. Durante ogni guerra i militari hanno cercato di controllare l'informazione. Certo. Ma hanno imparato la lezione del Vietnam: allora a far cambiare opinione agli americani sono state le foto, i video, gli articoli: i giornalisti giravano e tutti hanno saputo cosa succedeva laggiù. Non vogliono che questo si ripeta. Non vogliono mostrare neppure le bare, i feriti. Non portano più i giornalisti in elicottero, come in Vietnam, a vedere cosa fanno. Per questo non sono mai andato embedded: se ci vai puoi solo scrivere storie di soldati eroici e coraggiosi. Il governo iracheno è solo un fantoccio, si attiene alle istruzioni degli americani. All'inizio di dicembre, quando è stato chiaro che nell'assedio di Falluja erano state uccise almeno 2.000 persone, Allawi è uscito a dire che nessuno di loro era un civile: e questo è ciò che gli americani vogliono che si scriva. Hanno bandito Al Jazeera perché raccontava i fatti. Bombardano, uccidono giornalisti, li minacciano, li chiamano «terroristi» se non mostrano solo la versione militare dei fatti. Guarda: l'Iraq oggi è il posto più pericoloso per un giornalista, c'è il rischio di rapimento, come è successo alla vostra compagna. Personalmente però mi sento più minacciato dal governo e dai militari americani. I rapimenti sono un messaggio. Non mi stupirebbe scoprire che la Cia sta dietro certi sequestri, sono molto bravi a far sembrare una cosa per l'altra - o a far sembrare che i morti civili sono vittima di criminali: ho certe testimonianze. Teorie di complotto? Da quello che ho visto in Iraq, le «teorie di complotto» di solito si rivelano realtà. Non vogliono testimoni.da Il Manifesto 12-2-05 Marina Forti
UNA DI NOI -lettere- Al-Arabiya e al-Jazeera, l'altra tv satellitare del Golfo, hanno respinto le accuse loro rivolte dal vicesegretario alla difesa americano Paul Wolfowitz di incoraggiare la violenza contro gli Usa. (G. S.) «Liberate la pace», la locandina con la foto della nostra compagna Giuliana Sgrena, può essere utilizzata nelle iniziative, esposta nei posti di lavoro, nelle scuole, all'università nei luoghi pubblici ecc. Potete richiederla al seguente indirizzo e-mail: href="mailto:manpromo@ilmanifesto.it">manpromo@ilmanifesto.it. Ve la invieremo in formato jpeg o pdf. I lavoratori argentini A nome del Movimiento de Fábricas Recuperadas por los Trabajadores (Mnfrt) esprimo tutta la mia solidarietà a Giuliana Sgrena, che ha sempre denunciato la sofferenza del popolo iracheno, e al manifesto, che sempre ha dato voce a coloro che non ne hanno. Luis Caro, presidente Mnfrt (Argentina) Speriamo in una festa Cari amici del manifesto, i soci di Coop saranno in piazza con voi il 19 febbraio per Giuliana e Florence. Se, come speriamo, saranno libere, la consideriamo una grande festa da celebrare con loro per la pace, i diritti umani e la solidarietà con il popolo iracheno che è andato a votare contro il terrore e la guerra. Se ancora saranno sequestrate, consideriamo la manifestazione come un'occasione per essere vicino a loro, alla loro famiglie e a voi tutti nel riaffermare che il rispetto della vita umana è un valore universale e il terrorismo non è resistenza. Aldo Soldi, il presidente di Coop Ci vediamo sabato Sabato 19 febbraio ci sarò, naturalmente. Paolo Flores D'arcais Aderisco Aderisco alla manifestazione del 19 febbraio per la liberazione di Giuliana Sgrena. Lilli Gruber Presenza della stampa Ue Parteciperò alla manifestazione del 19 febbraio. Jean Marie Cavada, presidente intergruppo stampa comunicazione e libertà presso l'Unione europea Moltiplichiamo gli sforzi Questo messaggio non è solo l'adesione di Carta alla manifestazione di sabato 19 febbraio. E' un appello, che si assomma a quelli che il manifesto, sta lanciando ogni giorno, e a moltissimi altri. Ognuno può fare qualcosa perché Giuliana Sgrena, Florence Aubenas e il suo interprete, Hussein, vengano restituiti sani e salvi alle loro famiglie, ai loro compagni, al loro prezioso lavoro. Carta si rivolge ai suoi lettori e abbonati, ai suoi soci, ai cantieri sociali e ai nuovi municipi, a chiunque è in grado di raggiungere. A salvare le due Simone, mesi fa, fu certo la trattativa, che richiede riservatezza, ma furono anche le mobilitazioni, le marce, il clima di partecipazione che che si era creato in Italia e non solo. Oggi dobbiamo moltiplicare gli sforzi. E far sì che la manifestazione per la pace proposta dal manifesto riesca grande, e plurale, come i memorabili cortei del 2003 e del 2004, E' possibile. Basta che i milioni che appesero le bandiere arcobaleno ai loro balconi sentano che dalla sorte di Giuliana dipende quella della verità su quel che accade in Iraq, ovvero la possibilità di conquistare la pace, dopo tanto sangue. Il collettivo di Carta Cantieri sociali Salud y libertad Aderiamo alla grande manifestazione e mobilitazione per la liberazione di Giuliana Sgrena e per la pace. Il 19 febbraio, giornata dedicata a Giuliana e alla pace, all'interno delle prigioni italiane, i cittadini reclusi si faranno sentire con digiuni, sbattimento dei piatti sulle sbarre della propria cella e altre iniziative che ognuno riterrà opportuno fare. Salud y libertad. Evelino Loi, presidente nazionaledetenuti non violenti, Bari Sardo (Nu) La piazza virtuale La nostra «piazza» è la rete e cercheremo in tutti i modi di pubblicizzare l'appuntamento del 19 febbraio per la liberazione di Giuliana, contro la guerra e contro i tentennamenti indecenti rispetto alla barbarie della guerra infinita globale americana. Comunismo o Impero. Materiali Resistenti Collage per Giuliana Fuori dalla porta della sede di Stelle Cadenti un collage di foto e poster di Giuliana. La strada pricipale del paese è segnata da questa presenza, un giovane si ferma ed entra sorridendo, non conosce l'associazione, ma ha visto il poster e deve dirmi che ho fatto bene, è un bell'omaggio, bisogna mantenere l'attenzione, vogliamo che torni. E siccome vogliamo che torni, sentire la sua analisi anche su questo fatto, e vogliamo che torni Florance Aubenas e Husseini, vogliamo che finisca lo scenario di violenza e di guerra che ha creato le condizioni perché questi assurdi rapimenti fossero possibili, aderiamo alla manifestazione del 19, saremo in piazza, con voi, con Giuliana, con Florance, con tutti e tutte coloro che questa guerra non la vogliono. Nicoletta Crocella per Stelle Cadenti Forza Giuliana Vi ringrazio per lo sforzo che fate, nonostante questi giorni d'angoscia tutte le mattine trovo il nostro quotidiano nelle edicole. Sono sicuro che Giuliana tornerà presto a scrivere la verità su questo popolo martoriato da questa guerra. Forza Giuliana. Beppe Rovati Bagnolo M. (Bs) L'impegno per la pace Raccogliamo l'invito del manifesto a partecipare alla manifestazione nazionale per la pace, contro la guerra e per la liberazione di Giuliana Sgrena e di Florance Aubernas che si terrà a Roma il 19 febbraio prossimo, nella speranza e con l'augurio di poter percorrere le strade di Roma con Giuliana al nostro fianco. Siamo certi che questa sarà, ancora una volta, l'occasione per rinnovare il nostro impegno in difesa della pace e la nostra solidarietà a quanti, ogni giorno, sono colpiti nella propria vita, nel lavoro e negli affetti, dalla tragicità e dall'assurdità della guerra e del terrorismo. Sergio Marellipresidente assocciazione Ong italiane Non mi stancherò Grazie signora Giuliana e torni presto! A raccontare e difendere i bambini e le mamme più sfortunati. Vogliamo crescere in un mondo migliore, di pace, giustizia, cibo, acqua, aria pulita, una casa e una famiglia per tutti! Prometto che sabato non mi stancherò di camminare, perché i «grandi», seguano il suo esempio e diventino tutti più buoni e consapevoli! Un abbraccio forte. Diego Pablito (7 anni), Milano Grazie per quello che fate Ci sarò. Grazie per tutto quello che state facendo. Ludovica Valori Contro l'occupazione La «Rete del nuovo municipio» (Rnm) risponde all'appello promosso dal manifesto per una manifestazione a Roma il 19 Febbraio per chiedere la liberazione di Giuliana Sgrena, una delle poche voci libere che in questi mesi terribili ha saputo raccontarci il volto nascosto della guerra e delle sue conseguenze sulla popolazione irachena. Invitiamo tutti gli amministratori, ricercatori e esponenti della società civile che fanno parte della rete a mobilitarsi in occasione di questo appuntamento, così come abbiamo fatto negli ultimi anni nelle piazze di tutta Italia, per affermare la nostra opposizione all'occupazione dell'Iraq e alla spirale di distruzione e morte che questa ha innescato. Prime firme di adesioni della Rnm: Alberto Magnaghi, presidente; Salvatore Amura, coordinatore nazionale; Mercedes Frias, vice presidente; Massimiliano Smeriglio, vice presidente; Pierluigi Sullo, portavoce; Giorgio Ferraresi e Andrea Calori, Politecnico di Milano; Irma Dioli, assessora alla Provincia di Milano; Vittorio Pozzati, consigliere prov. Milano Per liberare la pace Con piena adesione, grande affetto e riconoscenza per Giuliana Sgrena, che vari anni fa ci ha anche dato una mano con un'associazione di donne algerine in difficoltà, Terra Nuova ci sarà alla manifestazione del 19 febbraio: la vogliamo libera - come deve essere liberata la pace - di nuovo tra noi, per continuare il suo lavoro così importante per tutte/i noi. Con amicizia per tutte/i le/i compagne/i del manifesto. Caterina Imbastari, Speriamo in una festa Aderisco partecipando, all'appello per la manifestazione del 19 febbraio a Roma, spesso nei mei ricordi, tornano le emozioni, i ricordi dei viaggi fatti a Baghdad, con la speranza che si potesse fermare la guerra, i ricordi dei tanti uomini donne e bambini che avevano negli occhi il terrore della guerra imminente, l'ennesima per questo popolo martoriato da secoli, il ricordo dei primi missili che esplodevano in quei giorni intorno alle città e sui primi obbiettivi strategici. Avanguardia di massacri annunciati e fortemente voluti dai depositari della libertà. Sperando come tutti, che la manifestazione del 19 febbraio, si trasformi nella festa per l'avvenuta liberazione di Giuliana. Io ci sarò. Pino Petraccia, musicista-presidenteassociazione Baobab, Pescara Un'informazione libera Aderiamo con convinzione alla mobilitazione per la la liberazione di Giuliana Sgrena, straordinaria giornalista e una delle voci autenticamente indipendenti nell'informazione. La presenza di Giuliana in Iraq ha sempre rappresentato per noi la garanzia di un'informazione libera e oggettiva. Esprimiamo la massima solidarietà al manifesto, al compagno e ai familiari di Giuliana e confermiamo la nostra partecipazione alla manifestazione del 19 febbraio prossimo. Raffaele K. Salinaripresidente di Terre des hommes Italia Per Giuliana e Florence Giuliana e Florence. Avvolti su noi stessi, piegati come giunchi sotto la piena, mentre cambiano la nostra vita in casa, per strada, nei posti di lavoro. Ci impongono di non respirare. Ci hanno abituato a non lamentarci. E noi stiamo ormai inani, concentrati a guardarci l'ombelico, in solitudine. Chiusi gli occhi su un mondo sempre più modificato. Inquinato dallo sfruttamento produttivo, in guerre «per la democrazia» per esportare «libere elezioni». Distratti sugli sconvolgimenti naturali, sulle sorti dei popoli. Su quello iracheno ieri ed oggi. Prima Saddam ora le bombe, le autobomba, gli eserciti occupanti, i terroristi. Morti su morti, civili, colpevoli solo di essere nati in Mesopotamia. Qualcuno ha voluto darci la vista, ha voluto guardare, raccontare per noi, ha tentato di prestarci le parole. Hanno voluto e vogliono tacitarle! A Roma per Giuliana e Florence, per la pace! Amerigo. lettere@ Testimonianze Cari amici e compagni del manifesto, nel riconfermarvi una volta di più l'affetto, il sostegno e la vicinanza in questi giorni di trepidazione per la vostra e nostra insostituibile Giuliana, vi confermo l'adesione dell'associazione e della rivista Testimonianze alla giornata del 19: per una pluralità di sensibilità e di voci che si manifestino e si facciano sentire per la liberazione di Giuliana, per la libertà di stampa e di informazione, per la tutela degli inviati e dei giornalisti indipendenti che operano nei «punti caldi» del nostro tormentato pianeta. Contro la guerra e contro il terrorismo. Molti saluti. Severino Saccardi Di nuovo tra noi In ansia con voi per Giuliana e in attesa del suo ritorno. L'impegno per la liberazione di Giuliana, di Florence, di Hussein e degli altri ostaggi si intreccia strettamente con quello contro la guerra (per la liberazione di un intero popolo dagli orrori dell'occupazione, delle stragi, delle torture; per far uscire definitivamente dalla storia la logica delle armi e della violenza). Ci vediamo a Roma il 19 febbraio per manifestare tale impegno e per festeggiare - lo speriamo tutti vivamente - Giuliana di nuovo tra noi. Moreno Biagioni Libera presto Noi di Micropolis (mensile umbro di politica e cultura) e di Segno critico (centro di documentazione e ricerche), compagni antichi del manifesto e di Giuliana Sgrena il 19 a Roma ci saremo. Per abbracciarla libera. Micropolis e Segno critico Il movimento in campo E' importante che il 19 per la liberarzione di Giuliana torni in campo il grande movimento per la pace, per affermare insieme la richiesta di liberare tutti gli ostaggi e il ritiro dall'Iraq delle truppe di occupazione. Luigi Ferrajoli e Danilo Zolo Voci libere Aderiamo alla manifestazione di sabato 19 per la liberazione di Giuliana, Florence e Hussein, voci libere. Enrico Deaglio e la redazione di Diario Una guerra illegale Aderiamo alla manifestazione per la liberazione di Giuliana, saremo presenti per ribadire quanto sia illegale questa guerra e per difendere la libera informazione. Grazie e a presto. Le ragazze e i ragazzi dell'associazione «Io sto con Falcone» onlus Consiglio insolito Questa mattina il consiglio comunale ha avuto inizio in modo inusuale poiché il sindaco ha voluto esortare i consiglieri a delle riflessioni circa il rapimento dell'italiana Giuliana Sgrena a Baghdad. Il consenso all'iniziativa è stato unanime e si è tramutato in un fragoroso applauso che, senza distinzioni di partito, ha coinvolto indistintamente tutti i consiglieri. Nel testo, letto durante il consiglio, ho fatto una proposta: «...sabato 19, in ogni comune italiano, si organizzeranno eventi di sostegno. Io mi auguro fortemente che in quella data si possa festeggiare il rientro a casa di Giuliana ma mi piacerebbe che, se così non fosse, ognuno di noi accendesse, in segno di solidarietà, così come il santo padre più volte ha invitato a fare anche nel passato, una candela a una finestra per illuminare il difficile percorso di chi è lontano dalla patria, dalla famiglia, dai propri affetti. Anche dietro le finestra di Palazzo di Città ci saranno le candele, ma io mi auguro di non accenderle». Rossana Di Bello, sindaco di Taranto NOTIZIE DI GUERRA Oggi a Venezia, a Palazzo Labia, si terrà una giornata di incontro e discussione tra i principali protagonisti dell'informazione internazionale, tra cui giornalisti di Al Jazeera, Al Arabiya, Afp, Cnn e Bbc, organizzata da Rai News 24/RaiMed e Copeam (Conferenza Permanente Audiovisivo Mediterraneo), in collaborazione con la Sede Regionale Rai del Veneto e la Provincia di Venezia. Tema dell'incontro: «Notizie di Guerra - Guerra di Notizie», in riferimento al conflitto iracheno.da Il |