Sanità, stop alla spirale gratuita nei 35 consultori baresi e Day hospital con la Ru 486 in Lazio
 











Dalla Regione Lazio arriva un provvedimento di civiltà e rispetto per le donne che ricorrono all’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica.
Nicola Zingaretti ha infatti firmato una importante delibera il 25 marzo con cui si stabilisce che il trattamento farmacologico potrà avvenire anche in day-hospital, evitando così quella forzata ospedalizzazione di tre giorni voluta dal governo Berlusconi.
Un cambio di rotta notevolissimo questo della Regione Lazio, se si pensa alla guerra alla 194 mai dismessa da reazionari e clericali, che in perfetto coniugio, da sempre vedono nella Ru 486 una irrefrenabile deriva abortista.
Da noi, il ricorso all’aborto farmacologico è stato ammesso con un ritardo stupefacente.
Il via libera è arrivato infatti a dicembre del 2009, quando da ormai più di venti anni la Ru 486 era usata da milioni di donne in Spagna, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Austria, Danimarca, Grecia, Finlandia, Germania, Svezia,
Stati Uniti, Cina, Tunisia...
Un cammino tutto in salita quello per la legalizzazione della Ru 486
Cominciato nel novembre 1989 per impulso della socialista Elena Marinucci, allora sottosegretario alla Sanità, il tentativo che restò isolato.
Addirittura la richiesta di acquisto della Ru 486 restò inevasa finanche dalla industria produttrice, che ebbe paura di sfidare il Vaticano “in casa propria”.
La casa farmaceutica, la Roussel Uclaf, era appena uscita stremata dalla guerra che il Vaticano gli aveva intentata in Francia, dove la pillola abortiva era stata scoperta nel 1982, e legalizzata nel 1988. Gli integralisti cattolici che erano arrivati a minacciare di morte medici e pazienti, pretendevano che la Ru 486 venisse ritirata per intervento statale.
Ma la patria della laicité non si lasciò intimorire, mentre in Italia...
Memorabili le secche parole di Claude Evin, ministro della sanità, che ordinò di non interrompere l’impiego di «quella medicina, la cui proprietà
morale è delle donne».
In Italia, al contrario, la Chiesa aveva ottenuto da Craxi il rinnovo del Concordato e andava alla riconquista di quanto laicizzazione e secolarizzazione le avevano sottratto in quel grande processo di emancipazione e autodeterminazione degli anni Settanta.
Nel 2005 però...
Finito nel nulla il tentativo coraggioso e isolato di Elena Marinucci, di Ru 486 non si parlò più per molto tempo, fino a quando, la presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso, nel 2005 ne sostenne la sperimentazione all’ospedale Sant’Anna di Torino con queste parole: «la scelta della pillola abortiva rientra fra le opzioni previste da una legge dello Stato, la 194. Una soluzione dal punto di vista medico che permette alle donne di soffrire di meno».
Ma gli ideologi della sofferenza hanno messo in piedi tutta la loro malizia contro la RU486 che è stata così oggetto di boicottaggi di ogni sorta per impedirne l’accredito tra i farmaci leciti.
L’Aifa e lo slalom per
resistere alle pressioni clericali
L’ Agenzia italiana del farmaco (Aifa), è dovuta passare varie volte sotto le forche caudine dei vari Storace, Gasparri, Binetti, Roccella, Buttiglione, Rotondi , Sacconi...
Una pletora di chierichetti agli ordini della curia vaticana che alla fine ha però dovuto cedere il passo di fronte al via libera dell’Aifa, arrivato a fine luglio 2009; e riconfermato il 3 dicembre 2009 a seguito di ulteriori pressioni governative.
Il ricovero coatto, una vergogna cancellata dalla giunta Zingaretti
Ma guizzi di zelo clericale sono continuati con la trovata del ricovero coatto.
Ovviamente per la salute delle donne giuravano Gasparri e Sacconi. In realtà per impedire alle donne di esercitare il diritto ad uscire dall’ospedale dopo la somministrazione della Ru 486!
Nella Regione Lazio adesso questa vergogna è stata cassata dalla delibera del 25/3/2014 che assicura ogni assistenza alla donna seguendo tre precisi passaggi: accesso e
preospedalizzazione, controllo degli esami e somministrazione del farmaco, controlli clinici. Infine la semplice visita ambulatoriale entro 21 giorni dalla prima somministrazione del farmaco.
Insomma realtà effettuale e buon senso hanno prevalso sulle posizioni ideologiche tese a boicottare l’aborto farmaceutico.
Nel caso di complicazioni e in accordo con la paziente, si potrà – come avviene per ogni altro ricovero – prolungare i termini della degenza ospedaliera.
«La scelta della Regione – precisa la nota della Regione Lazio – si basa su evidenze scientifiche internazionali, ricerche, tra cui quella del Collegio inglese di ostetricia, pareri dell’Oms e sui dati dell’ultima relazione annuale (28 febbraio 2013) del ministero della Salute che sottolinea come il 76% della donne che accede in ospedale per l’interruzione di gravidanza mediante Ru 486 rifiuta il ricovero obbligatorio di tre giorni»; «la pillola Ru 486 rappresenta una soluzione meno invasiva rispetto all’intervento
chirurgico, per questo motivo è stato opportuno operare un cambiamento della normativa in atto nel Lazio e che spesso creava non pochi ostacoli alle donne che intendono interrompere la gravidanza. Questa delibera, attesa da molto tempo, semplifica infatti le procedure per chi intende interrompere la gravidanza. È un atto di profondo rispetto per le donne, già adottato in altre regioni, come l’Emilia Romagna e l’Umbria».
Consultori centrali per il diritto all’autodeterminazione
Ma la nuova giunta ha chiuso l’era reazionaria di quella precedente, preoccupandosi di rinverdire il legame con i consultori, che precisa Zingaretti vanno valorizzati «con lo scopo di rilanciare e di restituire il giusto ruolo e la dignità che meritano questi servizi, nel campo della prevenzione, dell’assistenza e del diritto alla salute. In questo modo la Regione ha intrapreso un percorso di grande civiltà che tutela il diritto alla salute e il diritto di scelta della donna».
E con questo anche la
politica di smantellamento dei Consultori che nella giunta Polverini aveva iniziato la Tarzia è finalmente spazzata via (cfr. Maria Mantello, Consultori in croce, MicroMega, 6 sett. 2010). Maria Mantello
Sanità, stop alla spirale gratuita nei 35 consultori baresi
Stop all’inserimento gratuito delle spirali intrauterine nei 35 consultori baresi. Da oggi, salvo rare eccezioni, il contraccettivo si potrà ottenere solo a pagamento. Un nuovo duro colpo alla maternità consapevole difesa dalla legge 194. Nella terra degli obiettori di coscienza, dove in alcuni casi viene impedita la prescrizione della pillola del giorno dopo, da qualche giorno è diventato più difficile ottenere anche un altro contraccettivo, meno diffuso ma efficace, come la Iud (dall’inglese Itra uterine device). La questione riguarda l’intera Asl di Bari e i suoi 35 consultori diventati, d’un tratto, insicuri, lontani dagli ospedali e privi delle strumentazioni necessarie per praticare quello che dai
medici viene definito un piccolo intervento ambulatoriale. Le donne baresi dovranno rivolgersi ai quattro centri di pianificazione familiare (gli ospedali San Paolo, Triggiano, Monopoli e Putignano). Solo qui sarà possibile inserire la spirale. Ma se nel consultorio era gratis, ora la prestazione potrà costare fino a 120 euro.
Bocche cucite dall’Asl, ma un dirigente dell’azienda parla di scelta obbligata: "Dobbiamo attenerci a regole più stringenti in materia di attività sanitaria. Le normative vigenti  -  ovvero la legge regionale numero 3 del 2005 che disciplina gli "atti invasivi" in sanità e il decreto Balduzzi del 2012  -  parlano chiaro". Talmente chiaro che ora non sono più possibili deroghe e bisogna mettere a norma tutte le strutture sanitarie, non solo i consultori, per garantire la massima sicurezza a operatori e pazienti. Sono queste le regole stringenti che adesso impediscono agli operatori dei consultori baresi di inserire le spirali: secondo le
nuove regole le 35 strutture della città sarebbero troppo lontane dagli ospedali, ma soprattutto la maggior parte di esse non avrebbe a disposizione carrelli delle emergenze, scialitiche e defibrillatori da utilizzare nel caso in cui, durante l’inserimento delle spirali, si presentassero delle complicanze.
Per questo motivo dalla dirigenza dell’Asl è partita la direttiva a tutti gli operatori dei consultori: stop alla distribuzione del contraccettivo. Ora la prestazione sarà garantita a pagamento (massimo 120 euro) solo in quattro ospedali della Asl. A quanto pare però l’Asl sta lavorando per garantire la gratuità della prestazione almeno alle donne in difficoltà economiche che usufruiscono di esenzione dal ticket e alle migranti.
Lo stop alla spirale arriva a pochi giorni dalla polemica scatenata dalla vicenda di Laura, ragazza barese che a "Repubblica Bari" ha raccontato la sua disavventura alla ricerca della pillola del giorno dopo negli ospedali della città. Una ricerca
durata 15 ore, durante le quali ha scoperto che al pronto soccorso del reparto di ginecologia del Policlinico di Bari avrebbe dovuto pagare 72 euro di ticket solo per la prescrizione del contraccettivo. Una vicenda, quest’ultima, duramente contestata dalla Cgil Medici e dalla presidente del collegio delle Ostetriche di Bari e Bat, Maria Schiavelli che ora protesta anche a causa di questa nuova limitazione sull’uso delle spirali: "Operare in sicurezza è un imperativo della salute delle donne  -  afferma Schiavelli  -  l’Asl ha quindi il dovere di attrezzare i consultori affinché possano continuare a svolgere tutte le attività in forma gratuita per le utenti. In caso contrario, se un consultorio non può neanche inserire le spirali, si snatura la mission di queste strutture, così come previsto dalla legge istitutiva dei consultori, la numero 405 del 1975".
Unica nota positiva in tema di maternità consapevole: dopo un anno di sospensione, l’Asl Bari riprenderà la
distribuzione gratuita dei contraccettivi ormonali (cerotti e pillola) nei consultori della città e della provincia. Il servizio era stato sospeso perché la Regione non aveva bandito la nuova gara per l’acquisto dei farmaci. Ora l’Asl barese si sta attrezzando con una sua gara autonoma.Antonello Cassano,repubblica