Q.TARANTINO: un discutibile magistero.
 







di Antonio Napolitano




In un’ epoca quale la nostra in cui non si nega a nessuno una laurea "honoris causa", non può stupire più di tanto che a "Cannes 2008", a tenere una "lectio magistralis" sul cinema sia stato invitato Quentin Tarantino. Dalle cronache, risulta, però, che in assoluta maggioranza i presenti erano suoi giovani fans, entusiasti come ultrà (e, forse, del medesimo livello culturale). L’altro aspetto della conferenza di "San Quentin" è il vizio dei registi "ventriloqui" che si fanno, cioè, critici di se stessi (e, talora, storici del cinema), improvvisando disquisizioni che esigono ben diverse competenze (in analisi estetica e comparativa). Si viene così ad attuare quella "omologazione in basso" sulla quale ha motivatamente insistito Antonio Filippetti in vari suoi scritti, preoccupandosi del crescente degrado nei campi dell’arte e della stessa critica. Quale, dunque, il "cursus honorum" del maestro Tarantino, quali le sue credenziali e referenze? Dalla natia Knoxville (Tenn.) si reca giovanissimo a Los Angeles a lavorare in un video-market, che sarà la sua università. Lì, secondo il "devoto" biografo J.Bernard "i teleschermi restano accesi notte e giorno" e da essi dilaga naturalmente ogni genere di immagini in movimento. Verso la fine degli anni ’80, Tarantino inizia a scrivere delle sceneggiature per Hollywood (da "Una vita al massimo", regia di T.Scott ad "Assassini nati", regia di O.Stone). È agevole rilevare nei suoi "plot" il gusto della violenza portata all’acme (es: una coppia, che, in luna di miele, ammazza trenta, quaranta persone). Nel 1992, firmerà il contratto per la sua prima pellicola, "Le iene" che, in verità esibisce un minor numero di imbizzarrimenti criminali, rispetto ai lavori scritti per gli altri. E, due anni dopo, egli raggiungerà la notorietà con "Pulp Fiction"(1994), titolo che allude a quella narrativa "usa e getta", stampata su carta di cattiva polpa di cellulosa. Per tale film, Tarantino avrà a sua disposizione un manipolo di attori della più diversa estrazione da Uma Thurman ("la mia Dietrich"!) a J.Lewis, da Tim Roth a J.Travolta e a B.Willis. Il terrore vi è spalmato a piene mani, dalle pistoletatte ambidestre alle sodomizzazioni e dalle sevizie più fantasiose ai più spietati sequestri. È evidente la contaminazione (o il cocktail?) tra il kung-fu e lo spaghetti-western e tra lo horror-film e il demenziale made in USA. Nè vi si rintraccia qualche residuo di umanità come accadeva nelle storie di quei gangster una volta impersonati dai Bogart o dai Robinson, dai Widmark o dagli Steiger. (Che nostalgia!). In più, si spiattellano con sfarzo le carni sfracellate e i fiotti di sangue vengono inquadrati con meticolose zoomate: come è chiaro che negli ambienti raffigurati dal regista, coca ed eroina sono roba da breakfast o da antipasto. Quanto ci possa essere di ironico o di "grottesco" in queste brutali vicende è veramente arduo capirlo. E T.Kezich le recensisce come "dei nonsense sulla malavita e... grandi obitori della risata". Negli intervalli delle fatiche da autore Tarantino ha lavorato anche da attore ("Mr Destiny" di J.Baran e nel ruolo del fratello scemo di G.Clooney in "Dal tramonto all’alba" dell’altro furbastro R.Rodriguez, però meno fortunato di lui). Nel 1997 tornerà alla macchina di presa per "Jackie Brown" e qui sembra che i due mostri sacri R.De Niro e B.Fonda riescano a suggerire un ritmo meno agitato e un più limitato spreco di vernice rosso-sangue (o ketch-up?). Ci sarà poi una pausa di cinque anni prima che venga partorito il doppio tomo filmico di "Kill Bill 1" e "Kill Bill 2 (2004). Per questa "doppietta" lo storico americano, L.Meltin scrive: è un’altra storia senza freni... come un fumetto inanellato da vertiginosi brani pop". Insomma viene mantenuto lo stile "videogame" di moda presso i teen-agers, oggi tali fino ai 35 anni di età. Di nuovo si naviga lontano dal faro dei Lang o degli Huston, dei Dassin o degli Hathaway, maestri con la maiuscola. Sulle orme dei film-spada nipponici, prevale la più furiosa dismisura, tra squartamenti e decapitazioni in serie. È un precipitare di azioni omicide che azzera qualsiasi riflessione e dialogo esplicativo. La sintassi è spappolata da un montaggio convulso e da frequenti sovrapposizioni e rovesciamenti temporali. Nel 2007, con "A prova di morte", il regista decide di volgere al femminile le truci vicende di vendetta, ma il clima da macelleria è identico ai precedenti. E più recentemente è accaduto a Tarantino di sdottoreggiare sulla "decadenza del cinema italiano" nonostante le frammentarie cognizioni in suo possesso. E perfino, poi di teorizzare sulla questione della musica nel film. È interessante il fatto che proprio dopo un simile exploit a Mosca, a A.Balabanov è venuto di girare il film "Zhmurki" (2005) godibile parodia degli eccessi del collega americano, includendovi quel "cammeo" inciso da N.Mikhalkov di un gangster dalla carriera a ritroso. A conti fatti, il cinema di "San Quentin" sembra al passo con quella decostruzione dei valori che finisce col mitizzare proprio gli esempi negativi, e, purtroppo con un pipernino cinismo più che con humour nero o vermiglio. Potrebbe essere un tipo di kitsch à la page dal compiaciuto sadomaso. Ma, ce lo rammentò E.Canetti, "c’è un kitsch grazioso come può essercene anche uno disgraziato sia nella forma che nel messaggio" e perciò, tutto da discutere e ridiscutere.