Ebola, tra allarmismo e inettitudine tutta italiana
 











Siamo abituati al fatto che in Italia si arriva sempre tardi. E magari quando il guaio è fatto. Per ora non sembra il caso della propagazione del virus Ebola, ma è un dato che il nostro paese si è mosso molto in ritardo rispetto al resto dell’Europa nelle procedure di prevenzione da imporre per evitare l’eventuale propagazione di uno dei virus più letali finora conosciuti. Sarà che tutto, qui, diventa materiale per polemiche e immondizia da web: così se da un lato in Rete sono circolati documenti fasulli che davano il contagio alle porte se non già avvenuto, dall’altro la leggerezza tutta italiana con cui si è pensato all’eventualità non mette certo il Paese al sicuro. Per molti l’epidemia di Ebola, quella che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito la più grave degli ultimi anni, è saltata in cima alla lista delle ragioni per le quali l’Italia dovrebbe respingere gli sbarchi di immigrati, ringalluzzendo i tifosi del siluramento delle imbarcazioni ben prima che arrivino sulle nostre coste. Dall’altro non è improbabile che il ritardo nelle contromisure dipenda dalla altrettanto idiota tendenza di certa politica a considerare una regolamentazione dei flussi e il loro impatto sulla sicurezza sanitaria del Paese come una manifestazione di razzismo. Le mezze misure, o quantomeno le misure ragionevoli, non hanno cittadinanza dalle nostre parti. Giorni fa, con una circolare del Ministero della Sanità datata 4 aprile, è scattata anche in Italia l’allerta per il virus Ebola. Secondo il documento devono essere attivate misure di vigilanza e sorveglianza nei punti di ingresso internazionali in Italia. E la nota è stata inviata all’Enac, al Ministero degli Esteri, a tutte le regioni, alla Croce Rossa Italiana e, per la prima volta dal 1970 anche al Ministero della Difesa. Le procedure attivate prevedono controlli sugli ingressi nel territorio nazionale e un monitoraggio, affidato al Ministero degli Esteri, degli italiani presenti nei paesi colpiti dall’epidemia. Nel documento si parla della necessità di controllare gli arrivi “diretti e indiretti”, ma senza citare direttamente Lampedusa né la missione Mare Nostrum, il programma della marina Militare per contrastare gli sbarchi con il pattugliamento delle acque in cerca di barconi da trarre in salvo. L’ultima frontiera italiana nel Mediterraneo non ospita strutture che consentono di procedere  all’identificazione dei migranti che arrivano, i quali in gran parte si imbarcano dal nord Africa, ma provenendo dall’Africa sub sahariana. Insomma, è risaputo che non c’è nessuna certezza su chi arriva a Lampedusa e dove va dopo esservi transitato. In più, in questi giorni, nei quali gli sbarchi sono stati numerosi, con il centro chiuso per ristrutturazione i migranti intercettati dalle missione Mare Nostrum vengono trasferiti direttamente sulla terraferma o restano in attesa sulla banchina del porto di Lampedusa, in condizioni igieniche che è facile immaginare. La circolare del 4 aprile, quindi, viene bypassata nel punto più critico, quello nel quale gli accessi non possono essere controllati. Una nuova circolare del Ministero della Salute indirizzata al Comando Generale delle Capitanerie di porto e all’Enac, datata 8 aprile e quindi successiva a quella con cui viene data l’allerta, non affronta l’argomento, pur rendendo ancora più rigidi i provvedimenti da attuare per evitare l’eventuale propagazione del virus. Vi si dispone “la sospensione della concessione della libera pratica via radio alle navi provenienti dai porti del Paesi dell’Africa occidentale interessati dall’evento che, al momento, sono Guinea, Liberia, Mali, Sierra Leone. La dichiarazione marittima di sanità verrà altresì richiesta alle navi che nei 21 giorni precedenti abbiano fatto scalo nei porti di tali Paesi”. Per quanto riguarda il traffico aereo “gli aeromobili in arrivo su scali autorizzati al traffico aereo internazionale segnaleranno con il dovuto anticipo eventuali casi sospetti di malattie infettive per consentire la messa in atto di misure di sanità pubblica, incluso il possibile dirottamento dell’aeromobile sugli aeroporti sanitari”. Su Lampedusa niente. Come pure le norme preventive imposte alle capitanerie non toccano la missione Mare Nostrum, nella quale il personale militare italiano si trova quotidianamente ad entrare in contatto con persone, stipate nei barconi in condizioni igienico-sanitarie disastrose, della cui provenienza non si sa nulla e che potenzialmente potrebbero costituire un vettore del pericoloso virus. Ai trafficanti di uomini non importa di destinare spesso a morte certa centinaia di disperati, che magari naufragano prima di giungere al sicuro, figuriamoci se si pongono il problema di far transitare nel Mediterraneo potenziali bombe epidemiologiche. Già oggi in Europa si stanno ripresentando malattie che si pensava di avere debellato. I casi, ad esempio di positività al bacillo della tubercolosi sono in continuo aumento. e proprio a causa delle ondate migratorie.  Di fronte a tutto questo il risultato della piccolezza italiana – fiancheggiata da un’Europa che preferisce lavarsene le mani piuttosto che affrontare comunitariamente la questione migratoria -  è che se in mare c’è un “corridoio sicuro” non è certo quello attraverso il quale migliaia di persone cercano di fuggire da guerre e fame ma è quello che potrebbe permettere a Ebola di sbarcare in Europa.J.V.