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Il Trattore sanguinario Finalmente Fermo
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di Antonio Aroldo
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Bernando Provenzano nacque a Corleone il 311 Gennaio 1933, è stato sopranominato, a causa della violenza con cui uccideva le sue vittime “Binnu u Tratturi”, oppure “Zu Binu”. Una volta disse un pentito, parlando della “Primula Rossa della Mafia”, che citava Salvatore Riina, “Bernando Provenzano è un Uomo che ha il cervello da Gallina e che spara da Dio”. Provenzano era ricercato dalle forze dell’ordine sin dal 9 Maggio 1963. Al padrino infatti durante la sua latitanza, furono inflitti tre ergastoli in contumacia. Provenzano era inizialmente membro della cosca di Luciano Liggio e assieme a Totò Riina commise i suoi primi omicidi negli anni sessanta. Il 18 Settembre 1963, dopo essere stato denunciato per una strage ordinata da Luciano Liggio, ai danni dell’“Ex Padrino Michele Navarra”.
Agli inizi degli anni 80, grazie ad una “Carriera Sanguinaria”, approda ai “Vertici di Cosa Nostra”.
Provenzano una volta divenuto uno dei capi di cosa nostra, in occasione delle uccisioni di Falcone e Borsellino, contrastò la decisione di Totò Riina, (favorevole invece a tali omicidi), applicando la sua tipica concezione della mafia che rispetta il proverbio “Calati Giunco che Passa la China”. Egli in seguito però approfittò dell’imponente risposta dello Stato per diventare lui stesso il capo dei capi. Cosa nostra, d’allora, è diventata un’“Organizzazione Fantasma” puntando la sua attenzione alla protezione di alcuni membri e al conseguimento dei suoi affari facendo il meno rumore possibile. La sua cattura avvenuta dopo quattro decenni di latitanza è stata compiuta da una cinquantina di agenti. Il suo nascondiglio si trovava, paradossalmente, a due chilometri da Corleone in una masseria di campagna. La sentenza del 16 novembre 2006, speriamo, sia l’ultimo felice atto di una tragica commedia che ha dilaniato la Sicilia in particolare e tutta l’Italia in generale per quarantatre anni.
Tre secoli di condanna alla mafia
Il gip di Palermo Adriana Piras, il 16 novembre 2006, ha inflitto, ai complici di Bernardo Provenzano, che avevano il compito di coprire la sua latitanza e di gestire il denaro dell’organizzazione criminale, complessivamente tre secoli di carcere. Le persone sul banco degli imputati erano cinquantasette, tra gli accusati vi è anche il gruppo che organizzò il viaggio a Marsiglia, per l’operazione alla prostata del padrino. La persona più importante di questo particolare sottogruppo di imputati è Nicola Mandala. Quest’ultimo, secondo l’accusa, avrebbe anche organizzato il ricovero nella clinica francese e per tale motivo patirà una pena di tredici anni quattro mesi di carcere. Le condanne più rilevanti però sono state inflitte al padrino di Belmonte Benedetto Spera (18 anni), Onofrio Morreale (18 anni), Giuseppe di Fiore (14 anni) e Giuseppe Pinello (12 anni e 8 mesi). Nonostante l’esemplarità età di queste sentenze è necessario dire, che tali condanne sono state ridotte di un terzo per effetto del rito abbreviato. La loro cattura è stata possibile grazie all’inchiesta, denominata “Grande mandamento”, che abbia portato dietro le sbarre, il 25 gennaio 2005, decine di uomini della “Primula Rossa” di cosa nostra. L’operazione “Grande mandamento” coordinata dal Procuratore giunto Giuseppe Pignatore e dai PM della “Dda” Michele Prestipino, Marzia Sabella e Maurizio de Lucia, permise di assicurare alla giustizia l’11 Aprile 2006, il boss dei boss.
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