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CARISSIMO George - COSÌ PRODI AUTORIZZÒ IL DAL MOLIN |
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di Orsola Casagrande
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«Carissimo George, desidero confermarti la decisione del mio governo di dare il proprio assenso all’allargamento della base Usa di Vicenza attraverso l’utilizzazione dell’aeroporto Dal Molin della stessa città. Con molta amicizia, Romano Prodi». Così il 18 maggio 2007 scriveva il presidente del consiglio all’amico Bush, presidente degli Stati uniti. Nero su bianco, per la prima volta si può leggere su carta intestata della presidenza del consiglio quello che finora si era solo ipotizzato. E cioè che il via libera di Prodi alla costruzione della nuova base americana al Dal Molin non fosse stato soltanto a parole. E nemmeno una sorta di forzato consenso dopo un atto del precedente governo Berlusconi. Questa lettera, che fa parte degli atti presentati dal governo nel ricorso al Consiglio di stato (il quale ha rimandato la decisione al 29 luglio, contro l’avvocatura dello Stato che premeva per averla subito), conferma che il governo Prodi non aveva alcun problema con la realizzazione della nuova base Usa. O almeno una parte. Chi dice di non saperne niente è infatti Paolo Ferrero, all’epoca ministro della Solidarietà sociale: «Quello che ha scritto Prodi a Bush è una balla», afferma senza mezzi termini, «perché il governo non ha mai discusso e quindi mai deciso nulla sul Dal Molin. E’ vero però che tecnicamente è una balla che Prodi poteva dire perché di fatto il governo non doveva assumere decisioni, poteva solo opporsi a maggioranza alla base». Al Consiglio di stato è stata consegnata anche un’altra missiva, questa volta dell’onorevole Paolo Costa, nominato da Prodi commissario per il Dal Molin, al ministro della difesa Arturo Parisi. La lettera è datata 17 settembre 2007 ed entra nel merito della questione, ponendosi l’obiettivo di far di tutto per accelerare i tempi di realizzazione. «Caro Arturo, è giunto il momento di prendere decisioni definitive circa il progetto di ampliamento dell’insediamento militare americano all’aeroporto Dal Molin di Vicenza», scrive Costa, per il quale si tratta di decisioni che «si possono prendere oggi sfruttando le premesse poste in questi mesi di lavoro del Commissario e che devono essere prese ora per imprimere una inerzia positiva alla realizzazione del progetto ed eliminare alla radice le componenti locali del dissenso». Costa distingue tra componenti locali e «non locali (pacifismo apodittico e antiamericanismo)» e punta a una divisione del fronte, isolando la protesta no global attraverso concessioni alla città, come «eventuali» interventi sanità e università, nonché il completamento della tangenziale nord. Misure che avrebbero dovuto sedare la protesta. Per Costa la tre giorni «a crescente caratterizzazione no-global svoltasi da giovedì 13 a sabato 15 settembre (2007, ndr) a Vicenza a conclusione di un presidio-campeggio "pacifista" durato dal 6 al 16 settembre, può diventare l’ultima manifestazione di un dissenso sostenuto anche localmente, ma solo se si interviene tempestivamente per togliere le cause ragionevoli, perché fondate, di questo dissenso». Cause che per il commissario nulla hanno a che fare con la pace, ma riguardano semplicemente «le preoccupazioni relative alla viabilità di accesso al nuovo insediamento militare, che avrebbe potuto aumentare i disagi di un traffico cittadino già difficile per la conformazione storica di Vicenza, e a quelle relative all’utilizzo ai fini di ampliamento della base dell’ultima grande area verde pregiata della città. Motivi ragionevoli che vanno definitivamente separati da quelli legati all’antiamericanismo, all’antimilitarismo e/o al pacifismo apodittico, cioè dai motivi che nulla hanno a che fare con le caratteristiche del nuovo insediamento militare americano a Vicenza». Il commissario pare non vedere le manifestazioni nazionali (due) contro la base Usa. E infatti insiste con Parisi che «occorre poter arrivare molto presto a dire - fondatamente - che il nuovo insediamento militare americano altro non è che un riuso, con qualche espansione, della sola area a ovest della pista di aviazione già utilizzata dall’aeronautica militare italiana». In altre parole, basta vendere bene l’inganno agli ingenui cittadini di Vicenza che «sarà ricompensata per questo suo "sacrificio" con il completamento della tangenziale a nord della città e con eventuali altri interventi in tema di università e di sanità». Anche sui colleghi di governo Costa nutriva qualche dubbio. In particolare sul ministro dell’ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, che si punta a esonerare da qualsiasi possibilità di influire sulla scelta. E infatti il commissario chiede di prendere una «decisione circa l’assoggettamento o meno del progetto di ampliamento dell’insediamento americano a Vicenza alla Via (la Valutazione d’impatto ambientale, ndr). E’ chiaro - insiste Costa - che il punto rappresenta un’insidia fin troppo evidente alle possibilità di procedere in tempi definiti ed è capace addirittura di compromettere la decisione finale dal momento che è assolutamente prevedibile (ed è già praticamente stata annunciata) l’intenzione del ministro dell’ambiente di voler sottoporre il progetto al Via. Dal che non possono che derivare intuibili ostacoli - la vicenda del progetto Mose è un precedente assolutamente indicativo». Il problema, secondo Costa, è facilmente superabile facendo rientrare il Dal Molin nelle «opere destinate alla difesa nazionale» e dunque tra quelle non sottoponibili a Valutazione d’impatto ambientale, nonostante lo stravolgimento di quella che nella stessa lettera Costa definisce come «la più pregiata area verde della città». Una strada che consentirebbe di evitare anche un apposito decreto governativo, che avrebbe avuto un maggiore,e più pericoloso, impatto mediatico. In attesa dei dovuti approfondimenti sulla questione, Costa scrive di ritenere «di evitare espressioni di disponibilità verso le posizioni del ministro dell’ambiente, espressioni che forse nell’ottica dell’opportunità politica potrebbero attenuare qualche pressione corrente ma che poi sarebbe difficile revocare». Solo così potrebbero essere rispettati i tempi di inizio lavori. Previsti per il 30 giugno 2008. Se nel frattempo non fosse intervenuto il Tar a sospendere tutto e ingarbugliare la faccenda.de Il Manifesto |
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