Coldiretti: "Dalla pajata alle vongole, scure Ue su piatti tipici"
 











Il nodo della questione è il pericolo che i cibi tradizionali di paesi come l’Italia, che vantano una secolare tradizione enogastronomica, vengano snaturati da norme europee eccessivamente "livellatrici". Per diversi motivi: rispetto di regole sanitarie comuni a tutti; necessità di favorire la libera concorrenza e dare spazio a quei Paesi che non possono contare su una vera agricoltura; riduzione degli sprechi.
Addio, perciò, ai piatti tipici tradizionali, dalla pajata all’ossobuco alla finanziera, modificati dai vincoli sanitari europei, ma anche ai cannolicchi made in Italy che alcune norme ambientali vietano di raccogliere. Mentre nessuna misura è stata adottata per impedire che carne o formaggi da animali clonati importati arrivino in tavola. O per evitare di mettere in commercio vino senza uva e cioccolato senza cacao. Per non parlare poi della proposta di abolire l’etichetta sul termine minimo di conservazione (la dicitura "consumare
preferibilmente prima del", per intenderci).
E’ quanto afferma la Coldiretti, che ha aperto l’esposizione "Con trucchi ed inganni l’Unione europea apparecchia le tavole degli italiani" al maxi raduno con diecimila agricoltori a MICo - Fiera Milano Congressi. Secondo l’associazione dei coltivatori, a partire dal primo giugno 2010 sono entrate in vigore le nuove norme sulla pesca della Ue "che di fatto hanno fatto sparire dalle tavole degli italiani specialità della tradizione gastronomica regionale con il divieto di pesca-raccolta dei molluschi a distanza inferiore di 0,3 miglia marine dalla battigia dove si concentra il 70% delle vongole ed il 100% delle telline e dei cannolicchi. Mentre - prosegue Coldiretti - a far piazza pulita della pajata e dell’ossobuco alla finanziera alla piemontese sono state le restrizioni sanitarie adottate nel luglio 2001 per far fronte all’emergenza mucca pazza (Bse) e che sono ancora mantenute nonostante l’Organizzazione mondiale per la sanità animale
(Oie) nel giugno 2013 abbia ufficialmente sancito per l’Italia il nuovo stato sanitario di "trascurabile" per la Bse".
La pajata, spiega la Coldiretti, è il termine romanesco per definire la prima parte dell’intestino tenue del vitello da latte che è stato oggi sostituito nei ristoranti e nelle trattorie dall’ intestino d’agnello. Manca dalle tavole anche l’originale ossobuco alla finanziera alla piemontese, noto piatto medioevale tanto amato da Cavour, composto da varie frattaglie e animelle di vitello considerate.
"L’Unione europea - conclude Coldiretti - non ha però adottato misure adeguate per impedire che la carne o i formaggi derivati da animali clonati o delle loro progenie arrivi in tavola tramite le importazioni".
Strane "alchimie" nel piatto. Dal formaggio senza latte al vino senza uva, dal cioccolato senza cacao, alla carne annacquata, ma anche vino zuccherato e miele contaminato dal polline biotech senza indicazione in etichetta, l’Ue ha consentito progressivamente
strane "alchimie" nel piatto.
"Dall’Unione Europea è venuto negli anni un via libera ad allucinanti novità in campo alimentare - osserva il presidente di Coldiretti, Roberto Moncalvo -, senza dimenticare le alchimie negli ingredienti che hanno snaturato anche i cibi più comuni". Come si spiega? "Si è verificato un appiattimento verso il basso delle normative - aggiunge Moncalvo - per dare spazio a quei Paesi che non possono contare su una vera agricoltura".
Per questo si è concessa la possibilità di incorporare la polvere di caseina e caseinati, invece del latte, nei formaggi fusi o di aumentare la gradazione del vino con l’aggiunta di zucchero nei Paesi del Nord Europa, fino ad ottenerlo con polveri miracolose contenute in wine-kit. L’Unione Europea consente inoltre la possibilità per alcune carni di non indicare l’aggiunta d’acqua fino al 5 per cento e per wurstel e mortadella l’indicazione può essere addirittura elusa. Inoltre, in tutta Europa circolano liberamente imitazioni
low cost del Parmigiano reggiano e del Grana Padano.
Più di un italiano su tre (36 per cento), secondo un’indagine Coldiretti/Ixè, ritiene che le norme varate dall’Ue abbiano peggiorato l’alimentazione e il cibo servito a tavola; il 31 per cento ritiene invece che l’Ue non abbia modificato nulla, il 25 per cento che abbia addirittura migliorato l’alimentazione degli italiani, mentre un 9 per cento non risponde. Dall’indagine si evidenza anche che il 52 per cento degli italiani ritiene che l’Ue non dovrebbe decidere sui cibi che si consumano, mentre il 42 per cento ritiene il contrario e il 6 per cento non risponde.
Data di scandenza. Ma non è tutto. Le proteste di Coldiretti riguardano anche la proposta di alcuni paesi Ue di abolire la data di scadenza in etichetta per alcuni cibi. Di recente Olanda e Svezia con il sostegno dell’Austria, Germania, Danimarca e Lussemburgo hanno chiesto l’esenzione dell’obbligo di indicare in etichetta il termine  minimo di conservazione ’’da
consumarsi preferibilmente prima’’ per prodotti come pasta, riso e caffé, attraverso l’estensione  dell’allegato X del regolamento UE 1169/2011. Il tutto in funzione anti-spreco.
Ma gli agricoltori italiani non sono d’accordo: ’’Con l’eliminazione di questa indicazione - sottolinea ancora Coldiretti - l’Unione Europea taglia di fatto la qualità del cibo in vendita in Europa che con il passare del tempo perde le proprie  caratteristiche nutrizionali in termini di contenuto in vitamine, antiossisidanti e polifenoli che fanno bene alla salute, ma anche quelle le proprietà organolettiche, di fragranza e sapore dal quale  deriva il piacere di stare a tavola’’.
’’Si tratta del solito tentativo dei Paesi del Nord Europa di livellare il cibo sulle tavole europee ad uno standard di qualità inferiore al nostro con la scusa -sottolinea la Coldiretti- di  tagliare gli sprechi alimentari che nell’Unione Europea hanno  raggiunto il quantitativo record di 89 milioni di
tonnellate di cibo".  In realtà con la crisi si è registrata una storica inversione di  tendenza e quasi tre italiani su quattro (73 per cento) hanno tagliato gli sprechi a tavola nel 2013, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. Tra questi, l’80 per cento fa la spesa in modo più oculato, il 37 per cento guarda con più attenzione  la data di scadenza e il 26 per cento ha ridotto le dosi acquistate, ma sono il 56 per cento quelli che riutilizzano quello che avanza.  Monica Rubino,repubblica