Fallimento Amica, parla Aimola
 











L’azienda nel 2009 poteva ancora salvarsi: aveva un bilancio in attivo e l’ammontare dei crediti (nei confronti del Comune) era pari a quello dei debiti. Inoltre erano state messe in campo tutta una serie di progettualità che avrebbero di certo prodotto utili. Ma il punto è che non spettava a me - incalza Aimola – approvare il piano industriale, ma spettava al consiglio comunale. E lo dice il Testo Unico sugli Enti Locali. A settembre 2009 mi ritrovo da 30 milioni di euro di crediti nei confronti del Comune, ad accertamenti fatti a 12 milioni con una giustificazione semplicissima: perché non votate dal consiglio comunale. Chi doveva portarle in consiglio comunale? Non certo l’architetto Aimola, ma gli uffici proposti che avevano espresso anche parere tecnico sulle delibere.