L’Italia un Paese nella palude
 











La recessione è finita, ma la stagnazione no. Il Rapporto Istat 2014, che viene presentato a Montecitorio dal presidente Antonio Golini, mostra un Paese che ancora non riesce a ripartire e appare sempre più frammentato: le regioni del Mezzogiorno aumentano ulteriormente la loro distanza dal resto del Paese, solo il 30% delle imprese negli ultimi due anni ha migliorato occupazione e fatturato, intercettando gli stimoli di crescita, la disuguaglianza rimane "consistente" a dispetto delle politiche redistributive, la povertà aumenta, l’occupazione femminile migliora, ma solo perché servono più baby sitter e badanti per supplire alla cronica inadeguatezza dei servizi sociali. L’Italia non cresce, e questo limita o, peggio, annulla gli effetti della spending review sul debito pubblico. Tra disoccupati e persone che sarebbero comunque disposte a lavorare nel 2013 si contano 6,3 milioni di "potenzialmente impiegabili", uno spreco di risorse colossale che riguarda soprattutto i giovani.
Il Pil: crescerà, ma poco. L’Istat prevede un aumento del prodotto interno lordo pari allo 0,6% quest’anno in termini reali, dell’1% nel 2015 e dell’1,4% nel 2016. Se negli anni di crisi a sostenere la produzione sono state soprattutto le esportazioni, invece da quest’anno dovrebbero migliorare i consumi interni: la domanda al netto delle scorte è prevista in crescita dello 0,4%. Un miglioramento delle condizioni di accesso al credito dovrebbe ulteriormente spingere
la spesa delle famiglie, "sostenuta da un incremento del reddito disponibile nominale superiore all’inflazione al consumo".
I consumi: spendono solo i pensionati. La ripresa dei consumi interni è molto attesa dal momento che dal 2008 le famiglie italiane hanno sperimentato sei anni consecutivi di caduta del potere d’acquisto, che hanno affrontato riducendo fortemente il risparmio. Tra il 2007 e il 2013 il potere d’acquisto è sceso del 10,4%, nel 2013 però la caduta è "solo"
dell’1,1%, grazie a un modesto aumento dello 0,3% del reddito disponibile. Tuttavia osserva l’Istat che il 2013 potrebbe essere un anno di svolta, in cui la riduzione dei consumi risulta superiore a quella del reddito. La propensione al risparmio infatti è risalita al 9,8% dopo il minimo storico dell’8,4% toccato nel 2012: le famiglie si sono adeguate ai nuovi livelli di reddito cosi come i consumi e anche il credito al consumo si è contratto. Tra il 2007 e il 2012, rileva l’Istat, "solo le famiglie di ritirati dal lavoro hanno conservato livelli medi di consumo mensile positivi", "grazie alla sicurezza fornita dai redditi da pensione".
Il lavoro: 6,3 milioni tra disoccupati e inattivi. I disoccupati sono poco più di tre milioni, ma in realtà "il totale delle forze di lavoro potenziali" in Italia raggiunge i 6,3 milioni di individui, visto che l’Istat calcola anche 3.205.000 inattivi, 417.000 solo nel 2013. Cresce la disoccupazione di lunga durata: se nel 2008 era al 45,1%, nel 2013
raggiunge il 56,4% dei senza lavoro. E’ sempre più difficile tornare al lavoro dalle file dei disoccupati: se nel periodo precrisi, tra il 2007 e il 2008, lo hanno fatto 33 disoccupati su 100 nell’arco di un anno, tra il 2012 e il 2013 si scende a 24 su 100. Ma è altrettanto difficile passare da un lavoro "atipico" a uno con contratto a tempo indeterminato: 527.000 atipici svolgono lo stesso lavoro da almeno cinque anni, erano il 18,3% nel 2008, sono diventati il 20,2% nel 2013. E tra i precari c’è anche un nutrito gruppo di dipendenti Istat, che ieri pomeriggio ha fatto irruzione in sala stampa, durante la presentazione anticipata del Rapporto per i giornalisti, per chiedere la stabilizzazione di 376 giovani che lavorano per l’istituto da 4 anni, in attesa dell’immissione in ruolo.
Mezzogiorno sempre più alla deriva. La crisi ha accresciuto i divari territoriali. Il Mezzogiorno è diventato sempre più povero, soprattutto a causa della cronica mancanza di lavoro. Infatti il tasso di
occupazione maschile è sceso al 53,7%, oltre 10 punti più basso della media nazionale, quanto alle donne, lavora una su tre. In particolare Campania, Calabria, Puglia e Sicilia presentano valori del tasso di occupazione femminile pari a meno della metà di quello della Provincia Autonoma di Bolzano. Le famiglie in cui non è presente alcun occupato al Sud sono passate dal 14,5% del 2008 al 19,1% del 2013. E quindi il rischio di povertà nel Mezzogiorno è molto più alto che nel resto dell’Italia. La mancanza di prospettive per i giovani ne favorisce l’esodo, per cui il Mezzogiorno sta invecchiando più rapidamente che il resto dell’Italia: l’Istat prevede che dal 2011 al 2041 la proporzione di ultrasessantacinquenni per 100 giovani con meno di 15 anni risulterà più che raddoppiata passando da 123 a 278.
Le imprese: 30 su 100 ce la fanno. Analizzando il fitto reticolato del sistema italiano delle imprese l’Istat individua una consistente percentuale di "top performers". "Sono imprese -
spiega Roberto Monducci, direttore del dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche - che negli ultimi due anni, nonostante la crisi, hanno aumentato occupazione e fatturato, che operano su scala internazionale, hanno relazioni produttive con altre imprese, tendono a fare innovazioni organizzative e di processo".
Cresce la disuguaglianza. L’Istat analizza attentamente sia le politiche di redistribuzione del reddito che quelle di riduzione della spesa pubblica, valutandole entrambe positivamente. Eppure, in entrambi i casi si tratta di politiche quasi inefficaci, o comunque scarsamente influenti. Per la riduzione della spesa pubblica a frenare l’efficacia di una più che consistente spending review operata dai vari governi negli ultimi anni è la debolissima crescita del Pil, e l’aumento dei tassi di interesse. Mentre per le politiche di redistribuzione del reddito, che l’Istat promuove valutandole come "di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei Paesi
scandinavi", a frenare l’efficacia sono i fortissimi squilibri del Paese, a cominciare dallo svantaggio retributivo a sfavore delle donne e dei giovani. Per cui "in Italia il livello di disuguaglianza rimane significativo anche dopo l’intervento pubblico". Inoltre c’è una grossa falla nelle politiche italiane di redistribuzione: "Le detrazioni per lavoro e per familiari a carico perdono parte della loro efficacia redistributiva per effetto dell’incapienzak, che si verifica quando il reddito è così basso da non consentire di avvalersi pienamente dei benefici delle detrazioni". Rosaria Amato,repubblica