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Corte Conti: Tasse, 4 volte la media Ue e l’Italia arretra ancora |
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Un peso fiscale enorme, pari a quattro volte la media europea, che si giustifica anche con l’enorme fetta di economia in nero. Sono i tratti dell’economia italiana, noti per molti versi, ma che fanno venire i brividi quando vengono messi nero su bianco, come ha fatto la Corte dei Conti nel Rapporto 2014 sul coordinamento della finanza pubblica. Fisco. Nel sistema tributario italiano c’è "un livello di prelievo eccessivo", spiega la magistratura contabile, aggiungendo che "un contenimento della spesa è la strada obbligata per ridurre il peso della tassazione sull’economia". "Alla fine del 2013, ricorda la magistratura contabile, la pressione fiscale era pari al 43,8% del pil quasi tre punti oltre il livello del 2000 e quasi quattro rispetto al valore medio degli altri ventisei paesi Ue". Ancora più significativo risulta il divario fra Italia ed Europa con riferimento alla distribuzione del prelievo complessivo. "L’eccesso di prelievo gravante sul fattore lavoro - rileva la Corte - trova conferma nei dati dell’Ocse, che evidenziano un cuneo fiscali pari al 47,8% in italia rispetto a una media ue a ventuno paesi del 42%". Il nero. L’economia sommersa valeva oltre un quinto del Pil, ovvero il 21,1%: di oltre 50 miliardi è l’evasione stimata per il 2011 per Iva e Irap che, con 150 miliardi, spiegano un quinto delle entrate tributarie complessive della Pubblica amministrazione. Il fenomeno dell’erosione fiscale presenterebbe poi "dimensioni anche superiori a quelle dell’evasione". I conti pubblici. Nel Def 2014 l’indebitamento nominale, in quota di prodotto, è previsto in continua riduzione, collocandosi a fine periodo allo 0,3% del Pil, un livello equivalente a quello del 1960 e il più basso dal ’46 ad oggi, rimarcano i magistrati contabili. Il presidente, Raffaele Squitieri, presentando il rapporto spiega che la spesa corrente si riduce di 2,7 punti in termini di prodotto rispetto al 2013. Nonostante il rigore, per il 2015 e il 2016 il rispetto degli obiettivi richiede una correzione pari, rispettivamente allo 0,3 e 0,6 per cento del prodotto. La correzione porterebbe, sempre a fine periodo, il saldo di bilancio in avanzo, un risultato che l’economia italiana non realizza del 1925. Quanto alle altre voci, la Corte dice che la contrazione della spesa in conto capitale ha consentito di compensare la caduta del gettito fiscale, diminuito lo scorso anno dello 0,7% Critica a Renzi. Un passaggio critici va all’analisi della manovra di Renzi che ha portato gli 80 euro di sgravi in busta paga a chi ne guadagna meno di 24mila; ma per la Corte il bonus Irpef è uno strumento "surrogato", mentre serve una riforma fiscale "equa e strutturale di riduzione e di redistribuzione dell’onere tributario". In pratica, secondo la magistratura contabile, non servono scorciatoie ma è necessario un’azione più globale sull’Irpef e sul sistema fiscale nel suo complesso. "Scelte selettive, rientranti nell’ambito proprio e naturale della funzione dell’Irpef, affidati a strumenti surrogati (i prelievi di solidarietà, i bonus, i tagli retributivi) sono all’origine di un sistematico svuotamento della base imponibile dell’Irpef - si legge nel rapporto - finendo per intaccare la portata e l’efficacia redistributiva dell’imposta". Tutte scelte "che allontanano e rendono più difficile, l’attuazione di un disegno equo e strutturale di riduzione e di redistribuzione dell’onere tributario". Confindustria: Italia arretra ancora, sorpasso Brasile - Il Brasile supera l’Italia. Preoccupante in vista dei mondiali di calcio al via la prossima settimana, ma ancora di più sul fronte industriale: la Penisola rischia infatti di uscire dal G8 dei produttori manifatturieri dopo essere scivolata all’ultimo posto, superata proprio dai carioca. L’allarme arriva da Confindustria che ha eleborato - attraverso il suo centro studi - la graduatoria dei Paesi produttori. Viale dell’Astronomia parla anche di "demeriti domestici", ma preoccupa il trend: mentre i volumi mondiali sono cresciuti del 36% tra il 2000 e il 2013, l’Italia è "in netta controtendenza" con un -25,5%. "Fa peggio proprio dove gli altri vanno meglio", si legge nello studio. Drammatiche le conseguenza della "massiccia erosione della base produttiva" che ha portato alla chiusura di oltre 100mila fabbriche con la distruzione quasi un milione di posti di lavoro tra il 2001 e il 2011, "proseguita nel biennio successivo: altri 160mila occupati e 20mila imprese perduti". In sei anni, quindi, l’Italia è passata dal quinto all’ottavo posto nella graduatoria internazionale dei maggiori Paesi produttori elaborata annualmente dal CsC. Resta in generale "un ottimo piazzamento", ma pesano "demeriti domestici" che hanno accentuato l’arretramento: "Nel 2007-2013 la produzione è scesa del 5% medio annuo, una contrazione che non ha riscontro negli altri più grandi Paesi manifatturieri". L’industria manifatturiera italiana soffre - per fattori che "si intrecciano e accavallano", come "il calo della domanda interna, l’asfissia del credito, l’aumento del costo del lavoro slegato dalla produttività, la redditività che ha toccato nuovi minimi". Pesano anche "i condizionamenti europei" che "certo non aiutano": tutta l’Europa arretra ad eccezione di Germania e Polonia ("ma per quanto a lungo? si domandano gli economisti di Confindustria) per le "politiche fiscali restrittive" e "il paradosso di un euro che si apprezza, specialmente nei confronti delle valute di molte economie emergenti, e frena così il driver delle esportazioni". In un quadro della produzione manifatturiera mondiale che "ha ripreso a crescere", rilevano ancora gli economisti di Confindustria nel tradizionale rapporto di giugno sugli scenari industriali, "arranca l’Europa, fiaccata da politiche di bilancio, dal credit crunch e da un euro forte che rallenta le esportazioni". L’Italia "tra tutte le grandi economie industriali appare il Paese più in difficoltà, scontando gli effetti congiunti del crollo della domanda interna e di un costo del lavoro alto". Anche se resta "una forte capacità di competere" e "ci sono segnali di cambiamento delle strategie delle imprese" per reagire al credit crunch senza ridurre gli investimenti. Quanto alla "classifica" dei maggiori Paesi produttori, con l’ultimo aggiornamento del Csc, nel 2013 si conferma in vetta la terna Cina, Stati Uniti, Giappone; la Germania è ancora quarta, seguita come l’anno prima da Corea del Sud e India. Al settimo posto il Brasile che sorpassa l’Italia, che scende quindi dal settimo all’ottavo posto.
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