Renzi vuol fare sul serio contro i corrotti? Cominci dallo scandalo Ilva a Taranto
 











I media italiani riportano in questi giorni le parole di Matteo Renzi: un inno alla morale, all’etica politica, la chanson de Roland di un capo di governo e di un segretario di partito che narra che chi ruba é mandato via in malo modo e per sempre.
La demagogia renziana, che vuole convincere quelle che lui chiama « le semplici persone perbene», sembra mirare più ad una manovra di grande effetto propagandistico che ad un’azione concreta di governo. Un nuovo decreto, stavolta anti-corruzione, con una delega a Raffaele Cantone (già Presidente dell’Autorità nazionale contro la corruzione) e a una squadra di 25 persone, seguito da una riforma più ampia della giustizia tutta, il cui fine dovrebbe essere quello di assicurare che nessun politico che abbia violato la legge possa più occupare posizioni pubbliche.
La lotta alla corruzione, con un decreto ed un team, é di grande effetto pubblicitario ma davvero poco credibile, almeno per il momento.
Perché la parole altisonanti di Renzi si scontrano con le sue azioni più recenti, a testimonianza di una visione della realtà del Paese molto poco reale. Senza andare troppo indietro nel tempo: le liste dei candidati del Partito Democratico per le elezioni europee, per esempio nella circoscrizione sud, hanno annoverato numerosi inquisiti, indagati ed anche condannati! La lotta alla corruzione, all’evasione fiscale, alla sottrazione di fondi pubblici per uso privato dovrebbe essere realizzata, secondo Renzi, soltanto declamando la favola di un teorico rinnovamento politico e morale da venire ?
A Taranto, ancora una volta, siamo all’avanguardia nel vanto di una serie di questioni quali corruzione, associazione a delinquere trasversale, politici che hanno violato la legge e che ancora stanno al potere, complicità, annunci altisonanti e guerre sante che hanno il solo fine di garantire lo status quo.
Se Renzi volesse davvero rottamare e rinnovare, partirebbe non solo da Venezia e da
Milano ma soprattutto dalla nostra città. Si tratta pur sempre di un Presidente della Regione, di un Presidente della Provincia, di un Sindaco, di Consiglieri Comunali che sono indagati nell’Ilva-Gate. Molti di loro, anche esponenti politici del Partito Democratico. Allora perché non affrontare con lo stesso vigore (vero o presunto ?) la questione Taranto così come quella di Milano e di Venezia e far partire la crociata proprio da noi?
Il Presidente del Consiglio a Taranto ha un’occasione d’oro, per dimostrare al Paese che voglia davvero fare e per annunciare all’Europa che dell’Ilva adesso ce ne si occuperà. Ma ci vogliono i fatti e non solo i titoli di giornale.
Che si riparta per una volta dal Mezzogiorno impoverito, che vergognosamente non ha avuto diritto neanche ad un solo piccolo, misero decreto da questo Governo. I dati ISTAT per il 2013 parlano di una contrazione del PIL dello 0,6 % nel Nord–ovest del Paese, ma di ben il 4% nel Sud, dove l’occupazione crolla del 4,5%
.
Se Renzi vuole davvero inaugurare un nuovo corso, se vuole mettere al centro dell’azione politica la lotta contro la corruzione, contro il mal governo, contro la disoccupazione, buttare fuori dalle amministrazioni, dai partiti, da pubblici uffici e incarichi chi ha rubato, chi ha violato la legge, ha l’occasione di dimostrare che sta facendo sul serio, risolvendo nell’immediato la questione Taranto. Perché a Taranto non si tratta di un problema semplicemente ambientale e sanitario, ma anche di un importante groviglio politico, che ha garantito all’Ilva l’impunità e che tutt’ora permette ad una fabbrica dichiarata fuorilegge dalla Commissione Europea di continuare a produrre causando malattia e morte ai cittadini.
Che Renzi cominci da qui. La nomina di Piero Gnudi come nuovo Commissario al posto di Bondi non basta: quello che ci vuole é un nuovo corso, una vera azione ambientale-industriale-economica, specifica e dettagliata, che parta dalla situazione reale per affrontare la
questione Ilva e Taranto con puntualità e immediatezza.
Taranto non può essere presa ancora in giro con il solo scopo di riempire i titoli dei telegiornali : quello che ci vuole è un’iniziativa d’urto, risolutrice.
La questione della presunta mancanza dei fondi pubblici per la realizzazione di quegli interventi necessari alla disattivazione degli impianti inquinanti e alla bonifica del sito industriale e delle zone limitrofe, non può essere usata ulteriormente come scusante per non intervenire, rimandando sine die la questione stessa. Primo, perché l’Ilva, nonostante lo strano regime di commissariamento dello Stato sotto il quale opera, è ancora un’ azienda privata e come tale (nonostante quanto afferma il DDL n.61 del 4 giugno 2013 e quanto si vocifera) non può usufruire di capitali statali, pena la denuncia alla Commissione Europea per concorrenza sleale.
Secondo, la famiglia Riva, tutt’ora proprietaria di Ilva, certamente possiede i fondi necessari per finanziare non solo
le opere di smantellamento delle aree inquinanti ma anche gli interventi di decontaminazione.
Il Governo dovrebbe quindi procedere tempestivamente alla rimozione del pericolo che l’area a caldo causa alla popolazione e all’ambiente, e dovrebbe chiedersi, insieme ai cittadini Taranto, che, ricordiamo, non hanno più rappresentanza né a livello comunale né regionale, quale dovrebbe essere il futuro della città una volta eliminate le fonti inquinanti e una volta bonificati terreni, case, scuole, strade e tutto ciò che è stato contaminato.
Quella di Taranto è una popolazione stremata da decenni di vera e propria violenza psicologica causata da un inquinamento non solo materiale ma anche morale e civile, generato dal totale oblio delle istituzioni e dal coinvolgimento dei propri rappresentanti nella questione giudiziaria prima della città.
Taranto si è vista sempre voltare le spalle dai governi, che l’hanno lasciata a combattere da sola contro il degrado ed i poteri politici forti
più corrotti. Più di altre città italiane, più di Milano e più di Venezia, ha diritto che si ricominci da essa, che le sia garantita una partecipazione diretta a qualunque presa di decisione riguardante il suo futuro.
Che Renzi dimostri nei fatti quello che vanta a parole. Che riparta dal Sud povero, vittima di una profonda corruzione traversale, umiliato dallo Stato e saccheggiato dalla latitanza dei governi.
Vogliamo una « Azione » per Taranto. Ambiziosa e concreta. Vogliamo che sia portata avanti da noi e dal Governo, perché, per il momento, e a gran ragione, non ci fidiamo più di nessuna entità rappresentativa.
Noi sappiamo bene cosa ci voglia per Taranto e come gestire la questione Ilva: negli anni, da cittadini, ci siamo dovuti inventare chimici, fisici, esperti di diritto ambientale e del lavoro, sindacalisti, conoscitori dei trends industriali siderurgici europei e mondiali, fotoreporters e sentinelle ambientali, ingegneri, medici e biologi. Gli esperti di tutta Italia
sono venuti in nostro aiuto, in modo a volte diretto e pubblico, altre volte aiutandoci a capire e a studiare. Abbiamo sviluppato conoscenze di altissimo livello, diventando una città preparata ed arrabbiata, che non si è mai arresa e che ha capito di doversi difendere da sola dalla mala politica e dalla corruzione.
Vogliamo adesso che si riparta da noi. Vogliamo essere attori della nostra vita. Che la decisione sul futuro dell’Ilva venga presa con noi.
Vogliamo investimenti, occupazione, vogliamo soprattutto bambini, donne, uomini sani. Non vogliamo più avere il primato del cancro, né della morte in utero, né dell’autismo, né delle malformazioni. Vogliamo mangiare il nostro pesce, le nostre uova, allattare i nostri bambini e pascolare il nostro bestiame. Vogliamo andare al mare, vivere e vogliamo, da operai, diventare vecchi in serenità.
Vogliamo tutto quello a cui hanno diritto i cittadini di uno stato civile, ed è tanto, perché fino ad ora ci siamo accontentanti a vivere
con niente. Antonia Battaglia