Comuni, i conti in rosso delle partecipate li pagano i cittadini
 











Farmacie, centri balneari, impianti sciistici e sportivi ed enti nati su misura per scellerati piani edilizi e promozione turistica. È l’universo delle società controllate o partecipate, iniziative private ma volute da sindaci e governatori. Il commissario alla spending review Carlo Cottarelli le ha definite una “giungla”: sono 7.472 consorzi, agenzie, srl, cooperative e fondazioni nate e foraggiate con soldi pubblici.
A prenderla larga sono più di 39 mila, secondo la Corte dei Conti invece non si arriva a 7500. Nell’elenco c’è di tutto: si va dalle ex municipalizzate alle aziende che raccolgono rifiuti, dalle agenzie per la formazione alle terme, dal teatro alla produzione di prosciutti. E spesso hanno più consiglieri di amministrazione che dipendenti. Una palude di «imprese di un mondo ancora poco conosciuto e poco trasparente» che il premier Matteo Renzi vorrebbe sfoltire e portare ad un migliaio. Una sfida è ardua, perfino per il
premier-rottamatore.
Create per volere di amministratori che si trasformano in imprenditori, hanno un forte impatto sui conti pubblici, sui quali si ripercuotono i risultati della gestione, facendo gravare i costi sulla collettività. Costano 26 miliardi di euro all’anno, ma spesso non riescono a stare sul mercato. Un terzo di queste società ha i conti in rosso. Negli ultimi bilanci disponibili (del 2012) hanno avuto perdite di circa un miliardo e 200 milioni, secondo il ministero dell’Economia. I buchi di bilancio però non raccontano tutto.
Tante storie di insuccessi e qualche avventura fortunata. Il loro numero è esploso anche perché con le spa si può fare quello che nel patto di stabilità è vietato. La Corte dei Conti ha messo in fila tutti i problemi che le affliggono: assunzioni fuori controllo, spese per studi e consulenze a raffica, amministratori che si accordano compensi fuori mercato mentre i debiti si accumulano.
AL COMUNE PIACE IL MATTONE
Negli anni della febbre
edilizia con i prezzi delle case alle stelle molti sindaci hanno pensato di cavalcare l’onda del mattone facile. Piani edilizi e lottizzazioni senza sosta per creare lavoro e introiti sotto forma di oneri di urbanizzazione. Nel Vercellese, nel paesone di Santhià, hanno creato un pomposo piano di insediamenti produttivi per 150 mila metri quadrati. A pensare a tutto ecco la Sviluppo Santhià s.r.l che dal 2006 ha goduto anche di fondi regionali e del ministero e del lavoro e delle politiche sociali.
Fondata per gestire la vendita dei lotti, la società è riuscita a piazzarne alcuni, ma la maggior parte aspetta ancora un proprietario. La crisi ha fermato ogni velleità di investire e ora i bilanci comunali si trovano sul groppone terreni deprezzati senza acquirenti. «La Sviluppo – sostiene il sindaco Angelo Cappuccio – è una macchina ormai guasta che non possiamo certo riparare mettendo semplicemente in vendita “sottocosto” i terreni. Anche a noi piacerebbe fare uscite sbalorditive
dicendo che vendiamo tutto a prezzo stracciato invece che al costo pieno, ma poi i conti, alla fine, devono tornare». Conti che segnano un rosso di 71.616 euro e l’inevitabile messa in liquidazione volontaria.
Anche in provincia di Brescia hanno pensato di lanciarsi nell’edilizia. Nel piccolo paese di collina di Bovegno viene creata nel 2005 una spa su misura per gestire gli impianti e promuovere il turismo nell’alta Val Trompia.
Pronta una variante del piano regolatore per costruire villette e impianti. Con una trovata geniale: si conferisce alla Bovegno impianti srl il tesoretto comunale di terreni e cascine (per un valore di 14 milioni di euro) e si prepara un progetto da 440 mila metri cubi di villette e alberghi da costruire insieme al collegamento degli impianti sciistici della vicina località di Montecampione. Una lottizzazione da 110 milioni di euro e nessuna garanzia per costruire l’impianto. Tutto viene bloccato dalla frenata del mercato. Risultato: un buco da 350 mila
euro per un paese da 2mila anime.
LA PROVINCIA IMPRENDITRICE
Delle società censite, il 34 per cento stanno nel Nord Ovest, una su quattro nel Nord Est. In Lombardia sono duecentotrenta. La sola Provincia di Bergamo ha un totale di 19 collegate, 5 controllate e 18 partecipate e per anni il dismesso consiglio provinciale non ha mai criticato il gigantismo dell’ente. Dalla fine degli anni novanta ecco spuntare la Teb Sacbo (Trasporti), Porta sud (riqualificazione dell’area dell’ex scalo merci), Azienda Bergamasca Formazione, Azienda per lo sviluppo e la promozione turistica, Servitec (innovazione) e Abm e Abm2 che, di fatto, avevano lo stesso compito dell’ufficio tecnico: tutta la progettazione delle opere pubbliche.
La più sfortunata di questa grandeur in salsa bergamasca è stata la Abm Ict. Nata con la missione di realizzare e sviluppare una rete di telecomunicazioni a banda larga per un bacino di 600.000 abitanti e 45.000 imprese. «Un modello di eccellenza rispetto al
panorama nazionale che pochi altri soggetti, sia pubblici che privati, sono in grado di offrire e realizzare», si legge nel sito web della società. Peccato che nell’ultimo triennio abbia fatto un buco di oltre cinque milioni di euro. Con lo scioglimento delle Province a chi finiranno queste perdite?
LA GESTIONE ALLEGRA DELLE SPIAGGE
Tutti vorrebbero avere ombrelloni e spiagge pubbliche da gestire. Soprattutto in Liguria dove il litorale è ridotto al minimo. Guadagno garantito e clienti da maggio a settembre quando arrivano migliaia di bagnanti da Torino, Milano e tutto il Nord Ovest. Se c’è un settore in cui far tornare i conti non è difficile è proprio quello delle concessioni.
Sembra tutto molto semplice, eppure le controllate dei comuni liguri non riescono a fare utili. Nonostante il monopolio e un impegno non gravoso. È il caso della Bagni del mare srl di Alassio che registra perdite per 81mila euro. Anche Genova Bagni, marina genovese, nonostante la dote degli impianti di
San Nazaro, Scogliera a Nervi e Janua a Vesima, segna un buco di 110 mila euro.
Neppure i medicinali riescono a dare soddisfazioni alla giunta del sindaco Marco Doria: 326.214 euro di rosso per farmacie comunali spa, una rete di nove punti vendita in tutta la città. E se possibile fanno peggio gli amministratori di palestre e stadi: due milioni per Sportingenova spa. Tanto, troppo per un comune sempre sull’orlo del dissesto economico. Lo scorso autunno viene deciso lo scioglimento. A spiegare le ragioni della scelta è l’assessore al Bilancio Francesco Miceli: «Attraverso la proprietà diretta degli impianti e attraverso le concessioni possiamo ridurre ulteriormente i costi destinando risorse allo sviluppo delle attività sportive».
GLI ENTI TUTTOFARE
L’universo delle partecipate italiane conta 87 società per la pesca e la silvicoltura, 166 si occupano di sport e divertimento, 187 fanno commercio all’ingrosso o riparazione di auto e moto. Altre 149 società si occupano di
noleggio, viaggi e «servizi di supporto alle imprese», 106 di costruzioni, 383 gestiscono hotel e ristoranti. In questo mare magnun la sola Provincia di Trento conta quaranta partecipazioni. Gestisce quattro alberghi - fra cui il mitico Hotel Lido Palace - campi da golf, funivie, masi di montagna e distretti tecnologici.
Una distinzione è d’obbligo: chi fa utili e chi non li fa. Molte, troppe, fanno più perdite che utili e una possibile soluzione sono i piani industriali per accorpare le società più importanti. Ci hanno provato a Cortina d’Ampezzo. Qui la Gis srl si occupa di tutto: piscine, stadio del ghiaccio, piste olimpiche, campi da tennis ma anche le strutture per eventi culturali e turistici e l’organizzazione delle manifestazioni. Fondamentale per attirare migliaia di presenze ogni anno. Il risultato non è però all’altezza delle aspettative: nel 2012 perdite per un milione e mezzo di euro.
LA SICILIA DEGLI SPRECHI
Nell’isola dell’autonomia la Regione è una gallina
dalle uova d’oro: poche imprese private sul mercato, quasi un terzo di quelle create dai governatori Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo sono in liquidazione e quelle sopravvissute costano ogni anno solo di personale 312 milioni di euro, un terzo del miliardo che la giunta di Rosario Crocetta spende per tenerle in vita.
Piccole e grandi realtà spuntate come funghi. Emblematico il caso del “Convetion Bureau Etneo”, la società a capitale pubblico creata nel 2007 dalla Provincia di Catania e fortemente voluta dall’ex presidente Raffaele Lombardo per favorire e catalizzare l’attenzione dei grandi congressi internazionali ai piedi dell’Etna.
«Quello del turismo congressuale è un mercato allettante e particolare – spiegava Antonio Belcuore capo dell’Azienda di promozione turistica locale – tant’è che abbiamo deciso di presentarci direttamente con il Convention Bureau Etneo, un nuovo “desk” pubblico e privato pensato in sinergia con gli operatori del settore. Un importante volano di
sviluppo turistico in una provincia che ha le giuste qualità per accogliere il turista 365 giorni l’anno». Il finale è decisamente meno enfatico: fallito il sogno del territorio che vola sulle ali dei congressi e messa in liquidazione per perdite non più sostenibili.  Michele Sasso,l’rspresso
Regioni, giungla di sprechi: centinaia di uffici di rappresentanza nel mondo
In Basilicata, due mesi fa, un consigliere regionale ha spedito una interrogazione al governatore: “Va aperta una sede di rappresentanza a Potenza”. Potenza è il capoluogo, a Potenza c’è il governo locale, ma forse per il consigliere Potenza deve rappresentare meglio se stessa in se stessa: “Non è più procrastinabile non considerare il ruolo della città di Potenza, anche in relazione alla comunità provinciale e regionale, e fare fronte comune fra istituzioni e società civile per la difesa dei valori della coesione sociale”. Non vuol dire nulla. Come nulla vogliono dire gli uffici, gli sportelli, le ambasciate
che le Regioni, convertite in staterelli autonomi e disinvolti, spalancano e serrano nel mondo. E ficcano decine di bandierine da Buenos Aires a Seul. Ovunque.
Il commissario Carlo Cottarelli, il signor spending review, ha ordinato ai suoi collaboratori di mettere insieme quelle bandierine – che a volte durano anni, a volte pochi mesi – e di fare un calcolo di spesa e di proporre un risparmio. Cottarelli aspetta da un anno lo studio (le regioni ritardano), entro un mese potrebbe ricevere una tabellina. Il compito è probante. Ci aveva provato già Enrico Bondi: analisi, sommatorie, sottrazioni, e nulla di efficace. Ci aveva puntato persino Giulio Tremonti, all’epoca di Silvio Berlusconi a palazzo Chigi, e aveva scovato 178 sedi, di cui 21 a Bruxelles nonostante le regioni siano 20: il numero si fa dispari perché Trento e Bolzano non volevano e non vogliono condividere le medesime stanze. Il ministero per gli Esteri, anche, riporta il monitoraggio che fa la Conferenza delle Regioni: la
Farnesina, però, non riesce a spiegare se la quantità enorme – elenco di 18 pagine, oltre cento uffici – sia (124, ndr) ancora valido o troppo parziale. In questa giungla s’è avventurato Cottarelli, che promette risparmi di spesa, ma va controtendenza: il governo sta per ottenere una riforma di palazzo Madama che renderà i governatori regionali ancora più potenti: senatori a Roma, tutti.
Capitale e Bruxelles. A Roma, però, le regioni già presidiano il territorio e scelgono gli appartamenti più prestigiosi e più vicini a palazzo Chigi. Il Veneto abita in via del Tritone, ti affacci e puoi scrutare Matteo Renzi curvo sulle sudate carte nel suo studio. Che fanno i veneti così in centro a Roma: “Svolgono attività di promozione del ‘Sistema Veneto’”. Da vent’anni, i calabresi sono presenti con una “delegazione” per offrire supporto. E ci sono i campani, i toscani, i piemontesi. Nessuno escluso. Il Molise ha 314.000 abitanti, Campobasso dista un paio di ore da Roma: aveva una coppia di
sedi nella capitale, una è fallita per debiti. La posizione migliore è per la Valle d’Aosta – 121.000 residenti – perché è in faccia a palazzo Chigi. E forse può aiutare la comunicazione. A Bruxelles non manca una regione, ci sono strutture lussuose in zone molto costose, responsabili riveriti e ben pagati. Se ai funzionari europei poni una semplice domanda – “che fanno le Regioni a Bruxelles?” – ti rispondono senza pensarci un attimo: poco o nulla, spesso ospitano il governatore che va in visita. Il dramma burocratico per eccellenza l’ha vissuto la Liguria, che aveva comprato una palazzina di cinque piani, l’avevano chiamata Casa Liguria: eccessiva, una spugna per le casse genovesi. E allora sono andati in affitto, in un trilocale da 75 metri quadrati. Motivazione? Così spendiamo di meno, soltanto 15.000 euro tra locazione e manutenzione.
Mondo. Questa è la parola magica: missione. Spesso, durante l’anno, leggerete o sentirete che il governatore parte in missione: Sud America,
Stati Uniti, Vietnam o India, non importa. La missione non è segreta: è un po’ impossibile e un po’ inspiegabile. Quando a Cottarelli hanno riferito che la Puglia ha un ufficio a Tirana (lo volle Raffaele Fitto) e il Piemonte a Buenos Aires (per questioni di emigrazioni) e in Nicaragua, non ci voleva credere. E il gruppo del Tesoro gli ha replicato sommessamente: questi sono soltanto due minuscoli esempi. Restiamo a Torino. Che rapporto storico ha la metropoli sotto le Alpi e la gelida Minsk in Bielorussia? Neppure quello climatico. Ma la Regione Piemonte, da anni, attraversa il continente per esportare la “piemontesità” a Minsk: prima il carnevale di Ivrea, poi per partecipare alla fiera del turismo. Ekaterinburg, vi suona familiare? È una metropoli russa, provincia di Oblast’ di Sverdlovsk, Urali centrali. Il polo industriale di Ekaterinburg ha attratto tre regioni: Piemonte, Liguria e Marche. Viaggi, referenti, corrispondenze. La Regione Lombardia di Roberto Formigoni aveva inaugurato 30 punti di contatto, l’intero pianeta conosciuto e apprezzato da Formigoni, inclusa Cuba. Oggi per rifare una mappa precisa va consultato il Lombardia Point, una rete per l’internazionalizza -zione delle imprese gestita da governo di Milano, da dodici Camere di Commercio, dal ministero per lo Sviluppo Economico, da Sace e Simest. Un breve assaggio: Santiago del Cile; Shanghai in Cina, Bucarest in Romania, Almaty in Kazakistan, Casablanca in Marocco. Totale: 18. L’Emilia Romagna copre i Balcani, da Belgrado a Tirana e va verso oriente, a Sofia. Il Lazio va solo in Romania, la Valle d’Aosta a Parigi. Il Veneto di Zaia s’è spinto in India, Cina e Vietnam e, per essere moderni, a Dubai (Emirati Arabi). Tutti difendono le aziende: a che servono l’Ice (che volevano abolire), la Simest e la Farnesina? Un mese fa, in pieno campionato di calcio, un assessore calabrese è andato in Brasile, a San Paolo, a lanciare il “desk calabrese”. Come dar torto al consigliere che voleva un ufficio di rappresentanza del governo di Potenza a Potenza.Stefano Feltri e Carlo Tecce-ilfatto-15 luglio 2014