La canzone classica napoletana tra istituzioni pubbliche e cittadini privati
 







Rosario Ruggiero




Agli inizi della metà del secolo scorso, Giovanni Battista Maffessoli, semplice falegname della Valcamonica, cominciò ad esercitare la singolare passione solitaria di girovagare lungamente per boschi e pendii del circondario alla ricerca di affascinanti, strani segnetti incisi su alcune rocce. Ma fu solo quando in zona arrivò un esperto studioso che via via si rivelò la preziosità del paziente lavoro di ricerca dell’artigiano. Quei segnetti altro non erano che graffiti rupestri preistorici che permetteranno non solo di datare importanti momenti dell’umanità italiana, ma conoscere valori, elementi psicologici, modalità di vita ed altro, propri dei nostri più antichi antenati, mai prima trovati documentati nelle alte parti del mondo.
Spesso la cultura viene tutelata da figure tutt’altro che accademiche, e semplicemente munite dei loro propri mezzi.
E qualcosa di simile avviene ancor ora, in un ambito particolare della musica, un ambito che,
proprio perché trascurato dalle istituzioni politiche e culturali maggiormente designate, scade agli occhi del pubblico più superficiale e sprovveduto in semplice espressione di folclore, mentre in realtà è molto, molto, molto di più.
Stiamo parlando della canzone classica napoletana. Due secoli a tutt’oggi di storia, l’interesse artistico di letterati, musicisti ed interpreti di ogni parte del mondo, colti o spontanei, infiniti capolavori, ma soprattutto una capacità documentaria unica. Quando, tra anni e anni, si vorrà capire appieno il fenomeno dell’emigrazione di inizio secolo scorso, le sue inimmaginabili tribolazioni, in epoche che avranno una facilità di comunicazioni e chissà quanta altra tecnologia e comodità oggi impensabili, quale miglior documento emozionale di “’A cartulina ’e Napule”, “Santa Lucia luntana” o “Lacreme napulitane”? E similmente per altri usi, costumi, filosofie di vita, rapporti tra i sessi, prima incidenza delle invenzioni nella società e tanto altro
ancora. Tutto ciò al di là dell’indiscusso valore artistico di musiche e versi.
Cosa oggigiorno salvaguarda un simile secolare patrimonio?
Non un museo, non un teatro espressamente dedicato al genere, né certo può bastare l’esperienza di un archivio sonoro della Rai che si barcamena tra ambasce.
Fortunatamente, anche Napoli e la canzone napoletana hanno i loro Maffessoli, i quali conservano gelosamente migliaia e migliaia di incisioni storiche pazientemente catalogate, e così spartiti secolari, giornali ed altro impagabile materiale d’epoca. Tutti personaggi tanto meritevoli che sarebbe un vero torto trascurarne qualcuno nell’attesa che la storia renda loro giustizia.
Sì, non di rado, la cultura è una repubblica fondata sul volontariato, ma è un articolo, questo della sua costituzione, che, sicuramente per la canzone classica napoletana, sarebbe pur bene, ogni tanto, venisse efficacemente modificato .