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Matteo Renzi, lo sprinter che si fece maratoneta |
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Quel perfidone di Roberto Calderoli in mezzo alla discussione sul ddl Riforme gli ha ripiazzato la data fra le gambe, come uno scherzetto, con un emendamento per l’entrata in vigore del nuovo Senato subito finito nel cestino e buono giusto a fare da memorandum: 18 novembre 2016. Un tempo che d’impatto sembra lunghissimo e che pure rappresenta la fine dei famosi Mille giorni, l’arco temporale che si è dato da ultimo Matteo Renzi per arrivare col suo governo ai risultati annunciati, ai traguardi significativi. L’Europa avrà pazienza fino ad allora? La Bce gli chiede di andare veloce, proprio ora che Renzi non s’atteggia più a centrometrista, a sprinter: ma a maratoneta. L’ha detto lo stesso premier, nei giorni scorsi. “I senatori stanno dando un messaggio bellissimo però c’è ancora molto da fare. E il percorso è un percorso per il quale bisogna avere il passo del maratoneta, non dello sprinter”. E fa uno strano effetto che a dirlo sia proprio lui, l’uomo del crono-programma: a febbraio la riforma elettorale e costituzionale, a marzo il lavoro, ad aprile la pubblica amministrazione, a maggio il fisco, a giugno la giustizia. Così andava dicendo a fine febbraio, inizio dell’impresa al governo, quasi auto-imponendosi scommesse esaltanti perché pressoché impossibili. E invece, ora che siamo ad agosto, nel giorno storico in cui il Senato approva (in prima lettura) la sua autoabolizione “a colpi di maggioranza” (con Berlusconi si sarebbe detto così), Renzi non deve solo fare i conti con quel crono programma che pur procedendo gli si è mezzo rivoltato contro (per tacere del resto, dal primo giro di incontri del Guardasigilli Orlando si capisce chiaramente che la riforma della giustizia, soprattutto sul lato penale, avrà enormi problemi a vedere la luce). Deve fare anche e soprattutto i conti con bacchettate, come quella del presidente della Bce Mario Draghi, che fanno tornare dal passato fantasmi come la lettera (sempre agostana) della Bce che fu la pietra tombale del governo Berlusconi, e più in generale, con il fatto che dall’Europa si chiedono riforme economiche e interventi sul mondo del lavoro (per superare “l’incertezza” che genera il calo degli investimenti), assai più che riforme istituzionali. Tanto più, visto che la riforma del Senato, pur costituzionalmente rivoluzionaria, porterà in pratica solo un parziale calo dei costi (non ci saranno più le indennità da pagare, ma la macchinona di Palazzo Madama non va certo in pensione in blocco), e solo un parziale snellimento dell’iter legislativo (non è solo la navetta tra i due rami del parlamento a rallentare l’approvazione delle leggi). Così, paradossalmente, proprio adesso che il premier raccoglie frutti, dimostra di riuscire a portare avanti il superamento del bicameralismo perfetto e a conservare forte il patto del Nazareno che gli consentirà l’Italicum e una navigazione abbastanza tranquilla in Parlamento, le belle notizie sono funestate a morte dal ritorno (preannunciato) della recessione e dalle spieghe di Draghi. Si chiede a Renzi di andare più veloce, e in un’altra direzione. Proprio mentre il premier teorizza il passo del maratoneta, fa il conto degli errori (uno su tutti: l’incidente su quota 96) e, pur concordando pienamente con le urgenze indicate dalla Bce, sbotta rivendicando la propria umanità: “Ho parlato di cambiare verso, non di cambiare l’universo”. Insomma, non è Superman: la notizia, è che lo dica lui. Susanna Turco,l’espresso
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