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Bernanke si prepara al peggio
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di Carlo Leone Del Bello
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Non è certo caratterizzato dall’ottimismo, il discorso con il quale il presidente della Federal reserve, Ben S. Bernanke, ha aperto il simposio economico annuale a Jackson Hole, Wyoming. Le condizioni rimangono molto tese, ha detto, dato che gli effetti della tempesta finanziaria stanno «diventando visibili sotto forma di ammorbidimento dell’attività economica e crescente disoccupazione». Se a questo si aggiunge il salto dell’inflazione, il risultato è «una tra le più difficili sfide per la politica economica a memoria d’uomo». In più, annuncia che nessuno è «troppo grande per fallire», delineando forme «infrastrutturali» per rendere più ordinati i fallimenti. Nonostante queste plumbee dichiarazioni, il clima a Wall Street è rimasto sereno: la quasi certezza che la Fed lascerà i tassi invariati ha eccitato i mercati. La Fed ha agito fin da subito in modo energico per tentare di arginare la crisi, portando in pochi mesi il tasso di interesse principale al 2%, dal 5,25% a cui era stato fermo per anni. In molti hanno criticato questa scelta, argomentando che una politica monetaria espansiva, in contemporanea con il rialzo dei prezzi del petrolio, avrebbe fatto esplodere l’inflazione come durante gli anni ’70. Bernanke non ci sta, e spiega che tale strategia era basata sulla convinzione che i prezzi del petrolio e delle altre materie prime si sarebbero infine stabilizzati, soprattutto a causa del rallentamento dell’economia globale. In più, grazie all’ancoraggio delle aspettative inflazionistiche e al rallentamento nell’utilizzazione delle risorse (leggasi disoccupazione), si potrà raggiungere la stabilità dei prezzi nel «medio periodo». I prezzi delle commodities - petrolio e materie prime, anche alimentari - si sono davvero stabilizzati nelle ultime due settimane, facendo tirare un sospiro di sollievo a Bernanke, la cui convinzione iniziale si sta rivelando corretta. Se la situazione dovesse rimanere questa infatti, l’inflazione dovrebbe tornare a moderarsi «entro la fine di quest’anno e anche durante il prossimo». Nonostante tutto, riconosce il presidente della banca centrale, lo scenario sui prezzi rimane incerto, data l’estrema imprevedibilità delle commodities. Per questo motivo la Fed, si impegna a «raggiungere la stabilità dei prezzi nel medio termine, con ogni mezzo necessario». Questo significa che se i prezzi dovessero continuare a salire oltre la fine del 2008, la Fed potrebbe anche alzare il livello dei tassi di interesse, proprio come la Bce ha fatto due mesi fa. Date le condizioni attuali però, il Fomc - il comitato che prende ogni decisione in materia di politica monetaria - non dovrebbe cambiare rotta. Il tasso sui federal funds rimarrà molto probabilmente al 2%. Bernanke è anche tornato per l’ennesima volta sull’argomento Bear Stearns, la banca d’investimento salvata in extremis in marzo, poco prima del fallimento. Non esisterebbe, secondo lui, una categoria di istituzioni finanziarie «troppo grandi per fallire». Quel salvataggio in particolare era «necessario e giustificato», e se il mercato pensa che esista una rete di salvataggio, fa male. Quello che infatti preme alla Fed è la «stabilità sistemica», in particolare la fiducia dei creditori delle banche d’affari in difficoltà. Bernanke pensa quindi a una sorta di «legge fallimentare» speciale - suggerendo anche un’apposito intervento del Congresso - da applicare alle banche d’investimento, i cui creditori non sono assicurati come quelli delle banche di deposito. Una risoluzione dei fallimenti, magari contenuta negli statuti delle istituzioni finanziarie, e amministrata dal governo, renderebbe infatti più «ordinata» la liquidazione, proprio come avviene per le banche commerciali, dove gli azionisti vengono spazzati via, ma tutti i creditori - o quasi - ottengono soddisfazione. Alla borsa di New York però tirava un’altra aria: volavano le azioni Lehman Brothers alla conferma che la coreana Kdb sarebbe interessata al suo acquisto. In generale, la prospettiva di aver evitato un rialzo dei tassi di interesse in funzione anti-inflazionistica, insieme al nuovo ribasso del prezzo del petrolio (ieri nuovamente sotto i 115 dollari al barile), ha rasserenato i mercati. L’indice Dow Jones a un’ora dalla chiusura guadagnava stabilmente oltre l’1,6%, mentre il Nasdaq era a +1,40%.de Il Manifesto |
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