L’inflazione dell’Eurozona cala allo 0,3%, in Italia è deflazione
 











Rallenta ancora la crescita dei prezzi della zona con la moneta unica: secondo la stima flash di Eurostat l’inflazione ha registrato un +0,3% annuo, in ribasso dal +0,4% di luglio. L’Italia entra in deflazione: sempre ad agosto, l’indice dei prezzi al consumo misurato dall’Istat nelle prime stime ha segnato un calo dello 0,1% rispetto allo stesso mese dello scorso anno (era +0,1% a luglio). Per il Belpaese si tratta di un risultato che mancava dal 1959, cioè oltre mezzo secolo fa: allora, però, l’economia era in forte espansione e la variazione dei prezzi al ribasso avvenne in una fase di tassi negativi durata sette mesi.
Deflazione significa una spirale pericolosa per l’economia: le famiglie non spendono, i prezzi scendono e i consumatori si attendono ulteriori ribassi rimandando di nuovo gli acquisti. Così, la ripresa economica e dei consumi diventa un miraggio.
I dati sulla dinamica dei prezzi della zona della moneta unica erano molto
attesi e sono in linea con le aspettative degli analisti. Da quando Mario Draghi, il governatore della Bce, ha parlato al summit dei banchieri centrali di Jackson Hole i mercati si attendono un intervento da parte della Banca centrale europea. In quell’occasione, il numero uno dell’Eurotower ha sottolineato che "i rischi di fare troppo poco sono maggiori dei rischi
di fare troppo", parole che gli investitori hanno tradotto nella disponibilità della Bce di procedere a un quantitative easing in stile Federal Reserve: l’acquisto massiccio di titoli sul mercato per pompare liquidità e far scendere il corso dell’euro.
La prospettiva ha galvanizzato i listini, che ad eccezione della seduta di giovedì - tormentata dall’escalation in Ucraina - hanno toccato nuovi record, con i rendimenti dei titoli di Stato a livelli bassi e mai visti. Ma a distanza di qualche giorno sono anche aumentati gli interrogativi in vista del board della Bce di inizio settembre, giovedì prossimo. Innanzitutto,
le misure straordinarie annunciate a giugno da Francoforte non sono ancora entrate in vigore: le banche potranno prendere a prestito denaro dalla Bce e girarlo alle imprese, con l’impegno a trasformarlo in credito e non a reinvestirlo in titoli di Stato remunerativi, come fatto con le aste di liquidità precedenti tra fine 2011 e inizio 2012. Immaginare un nuovo impegno della Banca centrale europea in direzione della liquidità, prima ancora di aver visto entrare in vigore quanto già predisposto, per molti pare fanta-politica monetaria.
D’altra parte, è vero che l’evolversi della dinamica dei prezzi resta ormai il principale punti di riferimento per Draghi e il suo board, dove le resistenze tedesche a un intervento sono ben note. Il fatto che l’inflazione sia ancora scesa, ma soprattutto la prospettiva che resti a livelli bassissimi per un orizzonte ampio (fino al 2019 nessun economista dell’Eurotower si aspetta di arrivare al target "poco sotto il 2%" che costituisce il mandato
principale della Bce stessa), spinge i mercati a continuare a credere nell’intervento.