Obama: "Campagna contro Is con tutta la nostra potenza aerea". Ampia coalizione contro i terroristi
 











"L’America si metterà alla guida di una vasta coalizione internazionale" che darà il via a "una campagna senza sosta" contro la minaccia terrorista dell’Is, "ovunque si trovi", "per respingerla e infine distruggerla": così Barack Obama annuncia il suo piano anti-Stato Islamico, parlando in diretta Tv alla nazione, nell’anniversario delle Twin Tower, distrutte nel 2001 dall’attacco terrorista dei kamikaze di Bin Laden. Illustrando una strategia che il presidente americano definisce "articolata e prolungata". E, per la prima volta, Obama afferma che saranno necessari raid aerei anche in Siria. "Nella lotta all’Is non ci possiamo fidare del regime siriano di Assad che terrorizza il suo popolo", ha spiegato Obama, che ha ribadito l’impegno a sostenere militarmente l’opposizione siriana.
"Oggi l’America è più sicura, ma c’è la minaccia dell’Is che non è l’Islam, ma una organizzazione terroristica vera e propria". "Se non combattiamo l’Is può
diventare una minaccia anche per gli Usa. Per questo li combatteremo con forza e risolutezza. L’Is non è Islam - ha ripetuto il presidente americano - Nessuna religione giustifica le barbarie e l’uccisione di innocenti".
"Solo l’America ha la capacità e la volontà di mobilitare il mondo contro i terroristi", ha aggiunto, sottolineando come "gli americani hanno la responsabilità di esercitare la leadership. "E’ l’America che ha unito il mondo contro l’aggressione russa e in sostegno del popolo ucraino", ha sottolineato Obama, non rinunciando a parlare anche della situazione difficile nell’Europa dell’Est. "E’ l’America - ha continuato - con i nostri scienziati, dottori e know-how che aiuta a contenere e curare l’epidemia di Ebola".
Obama  ha quindi ricordato alcuni dei successi ottenuti nel corso della sua presidenza contro il terrorismo, come l’uccisione del leader di al Qaida, Osama bin Laden, e, di recente, l’uccisione del leader del gruppo qaedista al Shabaab in Somalia.
"Ma viviamo in tempi di grandi cambiamenti", ha proseguito, sottolineando come ci siano "piccoli gruppi di assassini che hanno la capacità di provocare gravi danni. Questo è il motivo per il quale dobbiamo restare vigili".
No a truppe di terra in Iraq e in Siria. "Voglio che gli americani capiscano che non sarà come la guerra in Iraq e in Afghanistan", afferma Obama. "Non saranno coinvolte truppe americane sul suolo straniero", assicura il presidente, che invece sottolinea come gli Usa ricorreranno a tutta la loro "potenza aerea" per sostenere le truppe alleate sul campo: iracheni, curdi e i gruppi di ribelli siriani considerati più moderati. "Condurremo una campagna sistematica di bombardamenti aerei contro questi terroristi dell’Is. Li colpiremo ovunque essi siano". "E’ la stessa strategia - spiega - che abbiamo perseguito con successo in Yemen e in Somalia per anni". Intanto, però, annuncia che saranno rafforzati i consiglieri militari americani in Iraq, con l’invio di altre 475
unità. La loro missione, ha poi precisato il portavoce del Pentagono, Ammiraglio John Kirby, sarà quella di "consigliare e assistere le forze di sicurezza irachene per aiutarle ad andare all’attacco contro l’Isis, di condurre attività di intelligence, voli di sorveglianza e ricognizione per aumentare la capacità Usa di colpire l’Isis e coordinare le attività dei militari americani in Iraq". Quando le nuove truppe saranno arrivate, ha aggiunto Kirby, i militari Usa nel Paese saranno in tutto circa 1.600.
Il presidente degli Stati Uniti ha anche chiesto al Congresso di pronunciarsi sulla sua richiesta di fornire armi e personale d’addestramento alle varie forze locali che si oppongono all’avanzata dei militanti dello Stato Islamico, in particolare i kurdi nel nord dell’Iraq e, più in generale, anche all’esercito iracheno. Per quanto riguarda la Siria, invece, un ufficiale del Pentagono ha fatto sapere che verranno aperte le basi militari dell’Arabia Saudita per l’addestramento delle
forze ribelli moderate che si oppongono sia al regime di Assad, sia all’avanzata dei miliziani jihadisti. A poche ore dall’arrivo del segretario di Stato Usa John Kerry a Gedda, l’Arabia Saudita ha fatto sapere che accoglierà la richiesta americana di sostegno al programma anti-Is fornendo basi per l’addestramento di combattenti dell’opposizione moderata siriana.
Dunque, raid aerei a tutto campo a cavallo della frontiera tra Iraq e Siria, ma anche offensiva diplomatica per costruire una robusta coalizione anti-Is. Non a caso il segretario di Stato, John Kerry, è andato ad illustrare il piano di persona a Baghdad e in altre capitali della regione, prima del discorso di Obama.
E dopo aver ricevuto ieri i leader del Congresso nell’Ufficio Ovale,  il Commander in Chief ha convocato nella Situation Room della Casa Bianca una riunione con il National Security Council, di fatto una sorta di ’vertice di guerra’ con tutti i massimi responsabili della sicurezza nazionale, dal
Pentagono alla Cia all’antiterrorismo.
La coalizione internazionale sconfiggerà l’Is, "eliminerà la minaccia dall’Iraq, dalla regione e dal mondo", ha assicurato Kerry incontrando il nuovo premier iracheno Haider al Abadi nel palazzo sul Tigri che fu di Saddam Hussein. "L’Is è l’anti-Islam e nel mondo moderno non c’è spazio per la loro barbarie e la loro brutalità", ha ammonito.
Il capo della diplomazia Usa ha in agenda incontri con i suoi colleghi di Egitto, Giordania, Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar, Kuwait, Barhein e Oman.
Al Abadi ha appena formato il governo delle larghe intese e ha di fatto avviato quella condivisione del potere tra sciiti, sunniti e curdi che Washington considera necessaria per potersi impegnare in maniera attiva contro l’Is. "In Iraq si sta facendo un duro lavoro", gli ha dato atto Kerry, aggiungendo che però "siamo solo all’inizio". Un riferimento al fatto che in realtà i fondamentali ministeri della Difesa e degli Interni rimangono
ancora da assegnare, e non sarà facile.
Come non sarà facile convincere alcuni degli alleati chiave ma recalcitranti a collaborare attivamente alla coalizione anti-Is. A cominciare da Riad, che non sembra disposta a sbilanciarsi troppo in una guerra contro lo Stato Islamico che potrebbe provocargli contraccolpi con gli integralisti sunniti all’interno del regno. Non a caso, Kerry andrà a parlare con la leadership saudita direttamente da Baghdad, mentre Obama ieri ha personalmente telefonato a re Abdallah bin Abdul Aziz, ottenendo, alla fine, almeno l’apertura delle basi militari saudite ai "ribelli moderati" contro il regime di Assad.
E non sembra semplice neanche la partita con la Turchia, che non vede certo di buon occhio la fornitura di armi ai curdi, e che teme rappresaglie da parte dei miliziani dell’Is sui 49 turchi che ha catturato quando lo scorso giugno si è impadronito della città irachena di Mosul. Nei giorni scorsi, il capo del Pentagono Chuck Hagel è stato ad Ankara
per chiedere alla Turchia di bloccare le cosiddette ’autostrade della jihad’ che attraverso il suo territorio hanno consentito l’arrivo in Siria e Iraq di migliaia di jihadisti. Non è chiaro cosa abbia ottenuto, ma non ci sono stati impegni ufficiali.
Chi è disposto a partecipare anche ai raid aerei è invece la Francia: Parigi prenderà parte "se necessario a un’azione militare aerea" sull’Iraq contro lo Stato islamico, ha detto infatti il ministro degli Esteri Laurent Fabius. Mentre l’Italia no: "Gli Usa hanno deciso di fare raid aerei, noi abbiamo scelto un’altra strada", ha spiegato il ministro della Difesa Roberta Pinotti, sottolineando che "l’idea di oggi è che dobbiamo sostenere e rafforzare gli attori locali che possono fermare l’Is all’interno dei loro territori". E a questo proposito Pinotti ha citato l’invio di armi ai curdi "in accordo con le autorità irachene", aerei da rifornimento e capacità addestrative. Oltre questo Roma non andrà.
Sul piano interno americano,
infine, complici le elezioni di medio termine ormai all’orizzonte, ben pochi sembrano voler sfidare Obama a chiedere un’autorizzazione del Congresso per avviare le azioni militari previste dalla sua strategia. Anche perchè una serie di sondaggi ha mostrato che una vasta maggioranza di americani è ormai apertamente a favore di una robusta politica contro l’Is. Fermo restando che di soldati americani sul campo non se ne parla.