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In Italia il mattone perde pezzi
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Affitto con riscatto? Roba da case popolari, si diceva una volta, mica da stelle dell’architettura come Libeskind o Isozaki. Fino a qualche anno fa, infatti, gli alloggi di cui l’inquilino poteva diventare proprietario, dopo averci abitato per svariati anni e pagando una cifra minima o nulla, erano un’esclusiva delle periferie più povere. Capita invece che oggi, causa prolungata crisi del mercato immobiliare, anche un progetto lussuoso come CityLife, il quartiere che sta sorgendo al posto della vecchia Fiera di Milano, stia puntando sull’affitto con riscatto. Per 240 appartamenti, quasi la metà del totale. La formula scelta dal costruttore, una società controllata da Generali e Allianz, prevede un affitto di quattro anni entro i quali l’inquilino può esercitare il diritto a riscattare l’appartamento. Il vantaggio è che, se alla fine si sceglie di comprare, i soldi sganciati fino ad allora non vanno tutti persi: nel caso di CityLife, il 75 per cento dei canoni versati viene infatti conteggiato come anticipo per l’acquisto. Quello dell’ex fiera meneghina è un esempio particolare, dato che parliamo di appartamenti da un milione di euro l’uno. Ma l’affitto con riscatto sta prendendo piede un po’ ovunque. «Il nostro portale quest’anno ha registrato un incremento medio delle offerte di affitto con riscatto pari all’11,4 per cento», dice Daniele Mancini, amministratore delegato di Casa.it. E questo nonostante il recente rialzino delle compravendite, aumentate dell’1,6 per cento nel primo trimestre dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2013. E malgrado il calo dei prezzi, che dura da sette anni e promette di proseguire: secondo i dati elaborati per “l’Espresso” dal centro studi Scenari Immobiliari nei prossimi dodici mesi, in media, i prezzi nelle grandi città accuseranno un’ulteriore flessione dell’1,7 nei centri, del 5,9 nelle zone semicentrali e del 9,3 per cento nelle periferie (vedere il dettaglio, città per città, nel grafico). Il paradosso è che, nonostante il ribasso delle quotazioni, il bene più amato dagli italiani risulta sempre meno abbordabile. Gli ultimi dati della Banca d’Italia, relativi al 2012, dicono che le famiglie proprietarie di un’abitazione rappresentano il 67,2 per cento del totale, in calo dell’1,2 per cento rispetto al 2010. Visto che nel frattempo le cose non sono migliorate, anzi l’occupazione è diminuita e i risparmi delle famiglie pure, c’è da credere che oggi i proprietari siano ancora meno. L’Italia attuale è dunque un po’ più simile a quella del dopoguerra. O, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, stiamo emulando la ricca Germania, dove la quota dei proprietari non supera il 44 per cento. Una cosa è certa: da noi il numero delle compravendite si è più che dimezzato rispetto al 2006. Lo dimostrano i dati (vedere il grafico), ma anche le tante agenzie immobiliari che un tempo si dedicavano solo alla vendita e oggi restano in piedi grazie agli affitti. Prospettive? Tutti gli esperti dicono che, dopo anni di discesa (che ha fatto perdere alle periferie, in media, quasi un quinto del valore), nel 2014 gli acquisti dovrebbero tornare a salire: più 7,6 per cento, sostiene Nomisma nel suo rapporto di luglio. Per Guido Lodigiani, direttore di Immobiliare.it, la ragione del rimbalzo è duplice: «Il continuo calo dei prezzi e l’incremento, seppur contenuto, dei mutui erogati, dovrebbero fare del 2014 l’anno della svolta». Insomma, chi compra lo fa perché ottiene qualche aiuto in più dalla banca, ma soprattutto perché i prezzi calano. E la tendenza ribassista, dice Nomisma, s’invertirà solo nel 2016. Sempre che l’economia italiana non peggiori ancora. Basterà un altro anno e mezzo di prezzi in discesa per rimettere in sesto il mercato? «Molto dipenderà dalle banche», dice Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari, che per dimostrare la tesi cita il caso degli stranieri: «Fino al 2006 gli immigrati compravano 120-140 mila case all’anno, mentre oggi siamo sulle 30-40 mila: colpa della stretta sul credito, visto che questa fascia di popolazione ha un reddito ma non un patrimonio». Ragionamento allargabile ai tanti giovani italiani che lavorano, ma in banca hanno accumulato poco e ormai possono contare su un finanziamento massimo pari al 60 per cento del prezzo di acquisto, contro l’80 per cento medio di un tempo. «Oltre alla questione dei mutui», aggiunge Luca Dondi, direttore di Nomisma, «per far emergere almeno una parte della domanda latente i prezzi dovrebbero calare di un altro 10 per cento». In attesa che banche e costruttori seguano i consigli, il governo di Matteo Renzi sta pensando a qualche misura per rilanciare il settore. La proposta contenuta nel decreto Sblocca Italia, che per entrare in vigore deve essere firmato dal presidente della Repubblica, dice questo: chi comprerà un immobile, con tetto massimo di spesa pari a 300 mila euro e alti requisiti di efficienze energetica (classe A o B), e lo affitterà per otto anni a canone concordato, potrà dedurre l’importo dell’acquisto dal reddito imponibile. Insomma, sconti fiscali a chi compra per affittare. Un’idea presa in prestito dalla Francia, che permette in teoria di prendere due piccioni con una fava: da una parte rilanciare il mercato delle compravendite, dall’altra aumentare l’offerta di appartamenti in affitto a buon mercato. Funzionerebbe? No, secondo il centro studi di Toscano: facendo una simulazione sugli immobili presenti nel proprio portafoglio, il gruppo immobiliare ha notato che solo l’1,9 rispetta i requisiti di efficienza energetica e un prezzo di vendita massimo di 300 mila euro. In generale gli esperti concordano su un punto: di certo concedere sgravi fiscali a chi compra non può fare male al mercato, ma per invertire la tendenza bisogna abbassare le tasse sugli immobili, perché gli affitti in Italia rendono troppo poco. In effetti, al netto dei casi di morosità e delle tasse, con la Tasi andatasi ad aggiungere all’Imu, la locazione da noi offre un ritorno medio sull’investimento del 2-3 per cento annuo, contro per esempio il 7 per cento della Germania. «Se l’obiettivo è quello di smuovere il mercato», ragiona Lodigiani, «lo sgravio fiscale non dovrebbe essere riservato solo a chi affitta a canone concordato, ma anche a chi lo fa a prezzi di mercato, perché se il rendimento si riduce il risparmiatore preferisce investire altrove». Aggiunge Mancini, che così concepito lo sgravio fiscale potrebbe avere un effetto a macchia di leopardo. Secondo Soloaffitti, il maggior franchising italiano della locazione, il canone concordato arriva intorno al 50 per cento del totale degli affitti a Firenze e Bologna, ma è quasi nullo a Milano e Napoli. Intanto, aspettando il decreto, agenti, costruttori e clienti s’ingegnano per ridare brio a un mercato caduto in catalessi. Tra le formule più in voga c’è l’acquisto della nuda proprietà, opzione che però costringe il compratore a cercarsi un’altra sistemazione in attesa che l’usufruttuario liberi l’appartamento. E aumenta pure l’offerta di case all’asta, sintomo di crisi, ma anche di affari potenziali. Per chi non ha un gruzzolo resta solo una possibilità. Quella dell’housing sociale, cioè case dedicate a chi è tagliato fuori dal mercato. Gente che non riesce a pagare un affitto o un mutuo normale, ma che non ha nemmeno un reddito così basso da poter puntare su una casa popolare. I soldi per costruire questi nuovi edifici sono pubblici: li mette la Cassa depositi e prestiti, che si affida a fondi immobiliari per la realizzazione dell’opera. Dal 2011, quando la macchina si è messa in moto, la Cdp dice di aver deliberato investimenti per circa 1,1 miliardi di euro. Soldi che dovrebbero servire per realizzare 11 mila alloggi sociali. Qualche progetto è già stato terminato. Uno dei più grandi si chiama Abitagiovani ed è stato realizzato da Polaris Real Estate, società controllata dalla Fondazione Cariplo. «Sparse per Milano c’erano 250 case popolari inagibili», spiega il presidente di Polaris, Carlo Cerami, «noi le abbiamo prese, riqualificate e offerte a under 35». La formula, come nel caso di CityLife, è quella dell’affitto con riscatto: si paga subito il 10 per cento del valore dell’immobile, poi si versa una rata mensile compresa tra i 400 e i 600 euro, di cui la metà viene calcolata come acconto per l’acquisto, e a partire dal quinto anno si riscatta. Risultato? «La richiesta», assicura Cerami, «è stata quattro volte superiore alla domanda». Un successone. Peccato solo che tre quarti degli alloggi sociali siano nel nord Italia, dove la crisi ha colpito meno duro che al sud. Stefano Vergine,l’espresso
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