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Giuseppe Civati: Scissione nel Pd? Una follia Ma Renzi la cerca con una riforma di destra
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Si scrive articolo 18, si legge rischio scissione: insomma sulla discussione intorno allo jobs act, puntuale come una certezza, riesplode la tensione nel Pd. Con il contorno di spettri mai davvero sopiti, che – mentre i lavori in commissione al Senato procedono – si agiteranno in crescendo almeno fino alla Direzione di lunedì prossimo, dove la riforma del lavoro sarà il piatto forte. Per portarci avanti, chiediamo lumi a Pippo Civati, ex rottamatore con Renzi e oggi minoranza dura e pura, l’unica a non essere entrata nella segreteria unitaria. Ma davvero i democratici sono a rischio scissione? “Di per sé sarebbe una follia, che si faccia davvero una scissione nel Pd. Eppure, nel caso dell’articolo 18 – sul quale nel programma di Renzi alle primarie non c’era una riga – siamo in presenza di una evidente forzatura. Il premier pretende dal partito una fedeltà quasi feudale, e non contempla alcun tipo di relazione politica con le minoranze che non sia il dileggio o l’umiliazione. Usa le lettere agli iscritti, addirittura. Un atteggiamento molto aggressivo, su una questione che non dipende in realtà dalle minoranze. Leggo che Orfini, presidente del Pd, dice “no a diktat”. Ma chi è che li pone i diktat? Lei? “Io no. Io mi attesto sul contratto unico alla Boeri, che dava come soluzione la stabilizzazione e non la precarizzazione, e su cui Renzi, ai tempi delle primarie, era d’accordo”. Anche Grillo adesso gli rimprovera scarsa coerenza, ricordando che la sua posizione nel 2012 era opposta a quella di adesso. “Non solo nel 2012, anche ad agosto. E comunque, da come si muove, capisco benissimo che la posizione non riguarda il merito, ma la volontà di dividere. E’ una scelta politica per distrarre da altre situazioni. Dopo i gufi serve un altro tipo volatile”. Fassina dice che se si va avanti così “Renzi ci porta al voto in primavera”. Possibile? “Il patto del Nazareno durerà più di una legislatura: è un’intesa di lungo periodo sulla gestione politica del sistema italiano, nella quale è possibile anche sia messo nel conto di votare nel 2015, per poi ritrovarsi con uno schema analogo a quello di oggi, col Pd maggioranza e Fi all’opposizione. Comunque, è chiaro che se Renzi drammatizza così tanto adesso, in caso di problemi di stabilità si andrà a votare. Il gioco è pesante”. Lei dice che Renzi usa l’articolo 18 come scusa per spaccare il partito. Ma è quello che dicono anche i renziani di voi. Pina Picierno, ad esempio, alle minoranze: “Spero che la polemica sull’articolo 18 non diventi uno strumento per regolare conti in sospeso”... “Ma perché dovremmo farlo noi? E’ una falsità, portata avanti con una disinvoltura sorprendente, e modi allucinanti. Se si vuol tornare a una Margherita più robusta lo si dica: ma nel Pd c’è anche una storia della sinistra, che non si può ignorare. E chi è che ha posto il tema articolo 18, dividendo tra buoni e cattivi ? Non io. Chi ha iniziato, chi vuole drammatizzare? Se il contratto a tutele crescenti prevedesse che dopo tre anni un lavoratore è stabilizzato, nessuno sarebbe in disaccordo. Se invece si parla di persone che non avranno mai la tutela del reintegro in caso di licenziamento illegittimo, a questo punto potevamo votare Berlusconi e facevamo prima”. Ma si vuol davvero smantellare l’articolo 18? L’ultima ipotesi sul tavolo del premier è che l’articolo 18 sia l’ultimo gradino del contratto a tutele crescenti. “Dopo dieci anni, capisce? Un’eternità. Mi sembra allucinante, anche rispetto alla soluzione di Boeri che abbiamo tutti frequentato”. Comunque siamo ancora alle ipotesi, cioè non si sa esattamente quale sarà l’intervento di riforma, giusto? “Cosa esattamente sarà non è nella legge delega, perché la delega è vaga, e comunque andrà poi interpretata, come faceva notare Bersani. Comunque si tratta di una scelta molto pesante. Poletti cerca di smussare, ma la direzione del premier è chiara. E sarebbe un cambiamento culturale epocale per la sinistra”. In concreto, a Palazzo Madama dove si discute il jobs act cosa succederà? Ci saranno le fronde come è accaduto in estate per la riforma del Senato? “Non ne ho idea e non faccio previsioni. Ci sono malumori traversali e scelte personali in ballo”. Il premier li chiamerebbe i “giapponesi”. “Mah, i giapponesi sono tanti… Alla fine può anche vincere il Giappone, per dire”. E nel Pd, chi vincerà? La Boschi invita a dimostrare che si vuol bene alla “ditta” e, in generale, si chiede di rispettare l’indicazione della maggioranza del Pd. “Il partito ha un equilibrio delicato: è chiaro che Renzi predomina nel dibattito interno, però bisogna rappresentare anche chi non è d’accordo: altrimenti invece del Partito democratico si fa il partito di Renzi. E se il segretario continua sulla linea dura, finisce che o umilia o perde un terzo di noi”. Lo vede che allora la scissione aleggia? “Io dico che è in gioco l’equilibrio del partito nel suo complesso. Un equilibrio ancor più delicato in Parlamento”. Perché? “Renzi governa senza essere passato dalle elezioni, non è mai stato il nostro candidato premier, mentre i parlamentari del Pd hanno preso, con chi li ha eletti, impegni che erano altri da questi. Con grande velocità e furbizia, sostituendo Letta, Renzi ha voluto usarli, ma non può dimenticarsi l’equilibrio delicato sul quale tutto ciò si regge, e da dove viene”. E’ una minaccia? “Intendo solo dire che se oggi Renzi mettesse nel programma elettorale l’abolizione dell’articolo 18, magari qualcuno deciderebbe di non candidarsi col Pd e qualcun altro di non votarlo. Invece lui tratta i suoi parlamentari come fossero tutti cassintegrati: della serie ora si adeguano e lavorano come dico io, perché sono il segretario. Ma in questa logica, mancano i cittadini”. E’ in atto una trasformazione, nel Pd? “Più che trasformazione il rischio è il trasformismo, direi. In questo caso, abbiamo l’assunzione da parte della sinistra di un progetto di riforma della destra. Non a caso, i complimenti più scatenati arrivano da Vittorio Feltri e Maurizio Sacconi”. Dunque? “Io sono pronto ad assumermi la quota di responsabilità che mi compete, dopodiché tanto l’astensione di Forza Italia è scontata, quindi la riforma passerà lo stesso. Il Patto del Nazareno, come dicevo, durerà a lungo. E del resto il Nazareno, si sa, è eterno”. Susanna Turco,l’espresso |
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