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La Cina conquista l’Italia. Con gli Ogm
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Milano, 16 ottobre 2014. Si celebra l’intesa Italia-Cina. Prima che inizi il summit con tutti i leader asiatici, il premier Matteo Renzi e il primo ministro cinese Li Keqiang parlano alla platea del Politecnico di Milano. Dopo i due interventi di rito, inizia il confronto fra gli uomini di affari, chiamati a tracciare il futuro degli investimenti comuni. Tre gli italiani invitati. Due i cinesi: il presidente della Bank of China e l’amministratore delegato per l’Europa del Beijing Genomics Institute, una società super-innovativa che ha come obiettivo «salvare il mondo», «aiutare l’umanità». Come? Lavorando sul genoma. Umano. E agricolo: l’esempio portato dal manager pechinese è infatti un seme di grano geneticamente modificato, ultraresistente agli insetti e capace di crescere senza bisogno di molta acqua. Il futuro? Di sicuro è un futuro su cui l’Italia ha una posizione ben chiara: coltivare Ogm sul nostro territorio è proibito. Forse nessuno l’ha spiegato all’uomo d’azienda cinese, chiamato a festeggiare un contratto quinquennale siglato in giornata con un laboratorio italiano. I brindisi della giornata sono tutti concentrati infatti sugli accordi di cooperazione commerciale da otto miliardi di euro firmati durante il meeting. Soldi freschi, necessari, per un paese che attrae pochi investimenti esteri e che, come ricorda Giuliano Noci, vice-rettore del Politecnico delegato ai rapporti con la Cina, esporta a Pechino la metà di quanto esporti in Svizzera: 19 miliardi di euro – su 33,9 di import. Nel segno di un futuro più a mandorla così, i discorsi dei due capi di governo si focalizzano sulle affinità elettive dei due Stati: Renzi parla delle ricchezze italiane - non solo pasta, monumenti e design, ma soprattutto «il capitale umano su cui dobbiamo investire, la qualità degli studenti che esportiamo», perché «il grandioso passato che ci accomuna» deve diventare un’occasione di rilancio e non solo «nostalgia» -, Li Keqiang racconta invece di come il giorno prima, nella capitale, abbia potuto ammirare i capolavori del Bernini conservati alla Galleria Borghese, e di quanto voglia ringraziare la direttrice (Anna Coliva) che gli ha permesso di toccare la Paolina Bonaparte del Canova: «Un solo tocco, ma ho capito il significato creativo, l’idea all’opera», «mi ha lasciato un’impressione molto profonda», «è bastato per sentire questo movimento rinascimentale senza cui non c’è sviluppo». Al di là del qui pro quo sul Rinascimento, i due premier glorificano la storia che li unisce: Keqiang ricorda «Marco Polo e Matteo Ricci». Renzi «i nostri fantastici ingegneri». Poi è la volta della conferenza tecnica. Grandi imprenditori italiani e cinesi dovrebbero confrontarsi sulle future opportunità di sviluppo comune per la piccola Italia e il gigante cinese. A introdurre è Roberto Maroni, che ricorda come «per chi non la conosce la Lombardia è solo cemento e capannoni. Non è così. Noi siamo un polmone agricolo. E abbiamo tutto. Tutto. Tranne il mare: ma provvederemo». La Cina, ricorda, è un partner di primo piano per la verde Lombardia, con 68 investitori, 100 aziende, 4 miliardi di euro di fatturato e seimila dipendenti in pianura Padana. Quindi si alza Tian Guo Li, presidente della Bank of China: «Ho visitato i nostri uffici qui», racconta: «Ho chiesto ai miei dipendenti cinesi che abitano in Italia da più di 10 anni: “Come va con l’italiano?” E loro: “Non lo sappiamo ancora parlare”. Non va bene! Ma con i sottoposti italiani è uguale: non parlano il cinese. Non va bene! L’inglese non basta. Se vogliamo collaborare in futuro dobbiamo superare lo scoglio linguistico». Quindi ricorda: «Stiamo costruendo il mito cinese», il “Pechinese dream”, e si fa un po’ di pubblicità: «Venite con noi, aprite con noi i vostri conti correnti. Vi accompagneremo». Finalmente arrivano gli affari concreti. L’Italia è rappresentata da Vincenzo Novari, Ceo di H3G; da Guido Ghisolfi, amministratore delegato della “BioChemtex”, ramo “bio” del colosso chimico di famiglia, che in Italia, in Texas e da poco anche in Cina (grazie a un recentissimo investimento dichiarato di 600 milioni di euro) produce bioetanolo; e infine Maurizio Boiocchi, direttore generale della tecnologia per le gomme Pirelli. Tutti e tre spiegano come si lavora bene con i partner asiatici. Che «non copiano più, questo è un vecchio pregiudizio: siamo noi a dover imparare», e che «garantiscono investimenti sicuri». Evviva. A chiudere la conferenza arriva Ning Li del Bejing Genomics Institute, già piccato perché il suo nome, sui volantini della conferenza assediata da giornalisti di tutto il paese, è sbagliato. Dal palco, il manager illustra i traguardi dell’azienda pechinese, nata dal nulla e diventata in pochi anni una potenza scientifica e industriale capace di piazzarsi all’87esimo posto nel mondo per numero di articoli pubblicati sulle riviste scientifiche globali, superando la competizione di migliaia di università. Alla BGI fanno sul serio: con la banca nazionale dei geni cinesi sotto controllo, raccolgono dati, li studiano, e propongono soluzioni. Commerciabili. Diventando così oltre che un leader scientifico anche un case-study aziendale. Dopo esser andati in Danimarca per siglare un accordo che permetterà loro di analizzare anche il genoma Nord Europeo, i direttori dell’istituto di Pechino hanno firmato oggi in Italia un contratto da cinque anni e dal valore totale di 5 milioni e mezzo di euro con la Bioscience, società nata dai laboratori dell’Università di Tor Vergata, specializzata nelle diagnosi non invasive pre-natali. Ma la novità che Ning Li voleva presentare al pubblico italiano era su un altro settore, non quello medico, su cui coopererà con Roma, ma quello agricolo: un seme di grano ultra-resistente. Un bell’Ogm presentato come promessa del futuro. Di cooperazione. E che importa se in Italia il parlamento finora ha detto no all’evoluzione ultra-tecnologica della produzione alimentare. Francesca Sironi,l’espresso
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