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Trattativa Stato-mafia, per Napolitano è il tempo della verità
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Le domande che Antonio Ingroia pone a Giorgio Napolitano dalle pagine del Fatto (venerdì 24 ottobre), sono lucide e interessanti. Si discute della deposizione del Presidente della Repubblica al processo sulla “trattativa Stato-mafia”. S’individuano temi e questioni spinose, aspetti oscuri, si sollevano dubbi e, appunto, si pongono domande non consentite ai pm: “Perché quando il senatore Nicola Mancino La cercò al telefono Lei non ritenne di astenersi dal mantenere rapporti con un indagato?”. C’è amarezza nelle parole di Ingroia, per gli spazi ristretti e i divieti riservati a temi cruciali: “Quale segreto aveva così tanto tormentato un uomo di Stato come D’Ambrosio da farlo morire di crepacuore?”. Inoltre: perché non ha consentito, il Presidente, la conoscenza della telefonate intercettate? Questioni delicate. Alle quali il diritto violato/manomesso/strumentalizzato offre scappatoie. Giorgio Napolitano – è questo il punto – non incarna lo spirito della legge, si trincera dietro la legge e le sentenze, le immunità, i pronunciamenti della Corte d’Assise, le norme procedurali, la possibilità di revocare in ogni momento la disponibilità a testimoniare… Quindi? Quindi bisogna spostare il ragionamento dal piano giuridico a quello – altrettanto importante, direi decisivo – della filosofia. Torna in mente leggendo le domande di Ingroia l’Apologia di Socrate, che, come tutti i classici, direbbe Calvino, parla a distanza di secoli anche di noi. Socrate nel processo risponde a tutte le domande, senza sotterfugi. Rispetta la legge e lo spirito che l’informa (l’idea di giustizia). Innocente, viene condannato a morte. Un discepolo gli propone la fuga. Rifiuta. Avendo insegnato la giustizia per tutta la vita, non può (non vuole) smentirsi fuggendo. E’ il celebre lealismo socratico verso la Città e le leggi. L’Apologia parla di una vicenda antica ma anche – nel gioco delle analogie e delle differenze – dei nostri giorni: 1. Socrate nel processo rispose a tutte le domande. E’ così anche per Lei, Presidente? 2. Non ostacolò la ricerca della verità. Può dirsi di Lei, Presidente? 3. Rifiutò di fuggire accettando il giudizio. Oggi: da cosa è fuggito, Presidente, facendo distruggere le intercettazioni con Mancino? 4. L’Apologia mostra il lealismo di Socrate verso la Città. E’ sicuro, Presidente, che rifiutando certe domande (“respinte perché non consentite”) Lei sia leale alla Città, ai suoi martiri, ai morti, ai familiari delle vittime, all’opinione pubblica che, da vent’anni, attende di conoscere la verità sulle stragi di mafia? Intendiamoci. Giorgio Napolitano non è sotto accusa. E’ testimone. E tuttavia, per gli ostacoli frapposti al processo, valgono (anche per lui) le parole di Socrate: “Mi è capitato spesso di vedere alcuni uomini… i quali, pur essendo considerati di un certo valore, quando sono sotto processo, compiono azioni fuori dall’ordinario…” (35 A). Il conflitto con la Procura di Palermo è da considerarsi orinario o “fuori dall’ordinario”? Non è solo un problema giuridico quello che Lei ha di fronte, Presidente. Non si tratta di stabilire cosa la legge le consente di fare, di dire o di tacere. Cosa la legge prevede sull’ampliamento dell’audizione. Eccetera. Il problema è morale. “Non compia azioni fuori dall’ordinario”: Lei ha il dovere di rispondere a tutte le domande che i pm riterranno giusto farle. Posto che voglia – con senso della giustizia – collocarsi sulla via maestra indicata da Socrate. Nella solitudine della coscienza, decida. Non una sola domanda di quelle che l’opinione pubblica le fa, attraverso i giornali, resti inevasa. L’etica prevalga sul ginepraio delle leggi usate – troppo spesso – per nascondere più che svelare. E’ il tempo della verità. L’alternativa è il silenzio. E la vergogna.Angelo Cannatà-micromega
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