|
Matteo Renzi si sta confermando sempre più come il liquidatore del vecchio apparato del Partito Comunista (poi PDS e quindi DS) confluito nel Partito Democratico. Oltre che delle sue logiche. Ed unitamente a questo anche di quella aerea politica che faceva parte integrante della Democrazia Cristiana, anche essa confluita nel PD. Quella che, con un termine forse semplicistico ma sicuramente efficace, veniva indicata, a seconda delle circostanze, come cattolico-democratica, cattolico-comunista o cattolica di sinistra. Quell’area insomma che si rifaceva e si rifà ancora oggi all’esperienza di un Giuseppe Dossetti che dal 1945 in poi rappresentò un punto di riferimento per quanti volevano che l’esperienza politica dei cattolici italiani si caratterizzasse in termini più “sociali” e più “avanzati”. In altre parole, tramite un accordo, politico o di governo, con il PCI con il fine di fare “incontrare” le grandi massi popolari cattoliche, socialiste e comuniste. Erano, ed è importante tenerlo presente, due aeree politiche che avevano il loro mito fondante nella Resistenza e nell’Assemblea Costituente. Quella che, tra il 1946 e il 1947, partorì una Costituzione che sul suo primo articolo (“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”) da sempre ha dato vita ad un teatrino nel quale tutti i protagonisti hanno operato e continuano ad operare una mistificazione, sapendo benissimo cosa stavano facendo. Ribadiamo ancora una volta che non possiamo accettare che, con la scusa di rendere più competitive le aziende italiane sul mercato internazionale, si voglia ridurre il lavoro a merce e che si creino le condizioni in virtù delle quali i diritti dei dipendenti italiani siano equiparati a quelli della Cina Popolare, dove il lavoro è sotto pagato e dove le condizioni in cui si svolge sono spesso al limite dello schiavismo. Detto e precisato questo, per onestà storica, bisogna pure rammentare che quell’articolo 1 è il risultato di un compromesso tra socialisti (il PSIUP poi divisosi tra Psi e Psli) e PCI da una parte e DC e liberali dall’altra. I primi volevano che passasse questa dicitura: “L’Italia è una repubblica di lavoratori”. Il che voleva dire: “L’Italia è una repubblica dei soviet”. All’epoca, il PSIUP di Nenni era accesamente filo-sovietico. I secondi risposero con il classico gesto dell’ombrello. Si arrivò quindi ad una soluzione di compromesso (che suona bene ma non significa nulla) la quale successivamente venne elevata a dichiarazione di valori universale per la quale tutti hanno diritto ad avere un lavoro e di conseguenza lo Stato deve impegnarsi per trovarglielo. Come se fosse una cosa facile. Una idea che sostenuta all’estero farebbe prendere a pernacchie il suo autore. Un articolo che, indipendentemente da esso, ha trovato una applicazione in Italia grazie all’avvento delle imprese a Partecipazione Statale che trainarono (ricordiamocelo sempre) il boom economico del secondo dopoguerra, e grazie alla moltiplicazione dell’apparato pubblico a livello centrale e locale. Lo smantellamento del sistema delle imprese pubbliche, avviato grazie a Mani Pulite, la crisi economica innescata dalle logiche del Libero Mercato, e la conseguente attuale recessione hanno fatto il resto, mostrando tutta la debolezza di un sistema e di una struttura economica che si sono dimostrati incapaci di competere con i concorrenti esteri. Renzi ha ereditato quindi due problemi. Il primo era quello di superare le logiche ciennelistiche, rafforzando la sua leadership interna al PD. Il secondo era quella di rilanciare l’economia italiana. Conquistare il potere gli è riuscita in tempi strettissimi. E questo ha dimostrato quanto il PD fosse soltanto un reperto di logiche del passato, vagheggiato 20 anni fa da Romano Prodi, in nome di un consociativismo ridicolo e patetico. Un partito i cui quadri dirigenti e i militanti non hanno infatti trovato nulla di strano di passare armi e bagagli da un Bersani (votato da loro con il 60%) al suo avversario, sconfitto appena l’anno prima. Rilanciare l’economia è però un altro paio di maniche. E l’ex sindaco, di fronte ad una economia vicina al collasso, ha deciso di imboccare una direzione di destra che passa attraverso l’aumento della flessibilità e del precariato nel mondo del lavoro e attraverso la cancellazione di fatto dello Statuto dei Lavoratori del 1970. L’articolo 18, quello del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento discriminatorio, già sostituito da una indennità, è soltanto un aspetto di uno scenario più ampio. Il posto fisso non c’è più, ha sostenuto Renzi alla Leopolda. Appunto. Della serie: diamoci da fare come negli Stati Uniti. Oggi lavoriamo, domani chissà. Ne troveremo un altro...Come se fosse facile. Il tragico è che i parlamentari del PD, pur tra qualche mugugno, stanno appoggiando il capo del governo pure sulla riforma del lavoro. La manifestazione di sabato della Cgil a Roma è come se non ci fosse stata. Lo sciopero generale? Figurarsi! Chi è tanto pazzo da scioperare rinunciando ad un giorno di paga, di una retribuzione che è sempre più povera? E poi, a cosa servirebbe lo sciopero? Forse lui cambierebbe idea? Oltretutto, Renzi si fa forte della debolezza di sindacati che riuniscono meno del 40% dei lavoratoti dipendenti. Sindacati nei quali più della metà degli iscritti è formata da pensionati. E’ una questione di rappresentanza. Non contate più niente, ha voluto dire Renzi tra le righe, parlando alla Leopolda ai suoi seguaci. La verità vera è che il PD nei fatti si sta concretizzando come la nuova Forza Italia, e con un consenso ancora maggiore di quello di Berlusconi. Il Paese reale “sente” che Renzi ce la potrebbe fare a “cambiare” le cose. Più che altro è una speranza. E Renzi è l’unico che, con le sue chiacchiere, sembra in grado di vendere il prodotto. Che poi sia soltanto una impressione e che l’Italia sia sull’orlo del collasso, con milioni di disoccupati e di nuovi poveri, ai suoi tifosi importa poco.Giuliano Augusto-ri
|
|
|