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DOSSIER
Sanità: La crisi nasce dalla disuguaglianza |
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I cittadini danno la pagella al Servizio sanitario. E non si arriva alla sufficienza Neanche un sei risicato, un misero 5,7. Questo è il voto che gli italiani danno alla sanità pubblica italiana. A raccontare come la vivono e la giudicano i cittadini, che navigano quotidianamente tra costi diversi che possono raddoppiare a distanza di pochi chilometri e lunghi tempi di attesa per una visita o un esame, è un’indagine di Altronconsumo. L’associazione ha analizzato le risposte ad oltre 5000 questionari distribuiti in modo omogeneo dal Trentino alla Sicilia. I più felici del servizio pubblico dopo aver valutato e votato i servizi disponibili, i tempi di attesa, la qualità del servizio e le formalità burocratiche? Gli abitanti della Valle d’Aosta che premano con 75 punti sui 100 disponibili bil loro servizio sanitario mentre all’ultimo posto c’è la Calabria con 42. Ma andiamo nel dettaglio. La media nazionale di gradimento è del 57. Il record positivo tocca i 75 punti in Valle d’Aosta, cala ma comunque non scende sotto i 64 nelnord est mentre in Calabria affonda a 42. E in tutto il sud, isole comprese, nessuna regione riesce a superare il 57, sfiorato solo da Basilicata e Sardegna che superano il Lazio fermo a quota 51. Nel complesso emerge che se al nord, i cittadini sono abbastanza soddisfatti mentre il gradimento crolla al sud. E molti si rivolgono al sistema privato. Se infatti il 35 % degli intervistati si è rivolto solo al servizio sanitario regionale, oltre il 60 ha frequentato anche studi ed ambulatori privati soprattutto per cure dentali e psicologiche. I motivi della scelta? Per il 77% degli utenti c’è un minor tempo di attesa, il 41% pensa che ci sia più attenzione per i pazienti, per il 25% orari più flessibili e nel 23% migliori infrastrutture. Uno degli elementi fondamentali che spingono a commenti negativi sul servizio sanitario, è la lunghezza dei tempi di attesa. Analizzando quelli per una visita specialista prescritta dal medico di base, si va dagli estremi positivi di Valle D’Aosta oTrento dove si aspettano due mesi solo nell’8 e 11 % dei casi a Marche, Puglia e Lazio dove questi tempi sono la regola per oltre un paziente su tre. Ma quando riescono a vedere il medico, i pazienti sono molto soddisfatti, il 60 %, per la cura e l’attenzione mentre si lamentano per la puntualità.Caterina Pasolini,repubblica(...) Sanità, si tagliano i servizi e non gli sprechi Tagliare la sanità non si può. Ma Sergio Chiamparino, presidente della Conferenza delle Regioni, ha parlato chiaro: i quattro miliardi in meno previsti dalla manovra del governo si tradurranno necessariamente in sforbiciate alla sanità, che si porta via più del 70 per cento del loro budget. E se la spending review imporrebbe razionalizzazioni e costi standard (la celebre siringa che in Veneto costa 4 centesimi e in Sicilia 60) contro gli sprechi, sembra aver ragione il presidente del Veneto Luca Zaia quando dice che Renzi non ha la forza di imporli. Perché, infatti, dopo averne a lungo parlato lascia nelle mani dei governatori la patata bollente, limitandosi a un taglio lineare che saranno loro a dover declinare. Il rischio è allora che, come è accaduto finora, si finisca con l’erodere i servizi invece che mettere ordine nella spesa, in particolare nelle regioni dove i costi sono già fuori controllo. Insomma, se è vero che i prezzi pagati per leforniture (dalle protesi da impiantare alle lavanderie) sono diversissimi da Asl a Asl, è anche vero che molti direttori generali non sono riusciti, o non hanno voluto razionalizzarli nonostante anni di reprimende pubbliche e tagli. Fare una spending review seria imponeva di usare il bisturi dove si spreca, invece la manovra dà un colpo d’accetta ai fondi statali col rischio di obbligare anche le regioni virtuose a limare servizi essenziali. Perché, al netto di questa revisione capillare dei costi delle forniture, negli ospedali italiani “grasso che cola” non ce n’è proprio più. Il sistema sanitario al momento tiene. Ma già scricchiola. E i dati indicano che erodere ancora i budget potrebbe avere conseguenze serie sulla salute degli italiani. Così gli epidemiologi guidati da Giuseppe Costa dell’università di Torino sono al lavoro per escogitare nuove strategie anti-crisi nel Libro Bianco sulle disuguaglianze di salute in Italia (che sarà reso noto nei primi giorni di dicembre).Strategie, non altri tagli perché le mille manovre dei governi Berlusconi, Monti e Letta già mostrano i loro effetti e l’Istat, confrontando malattie e percezioni soggettive dello stato di salute degli italiani nel 2005 e nel 2013, cioè prima e durante la crisi, ha scoperto che il nostro paese comincia a stare assai peggio che in passato. È vero però che altre nazioni (Grecia in testa) se la passano peggio, come mostra un ultimo studio della rivista “The Lancet”. Noi abbiamo certamente goduto dello scudo del Ssn che copre gratuitamente l’intera popolazione. Ma fino a quando potrà farlo? Se già oggi vediamo che non ci sono soldi per la prevenzione; che anche il ceto medio non riesce a pagare il ticket e rinuncia alle cure; che le madri disertano i pediatri e si taglia la salute delle generazioni future. PREVENIRE COSTA Il dato nudo e crudo da cui partire è che con un 7 per cento del Pil all’anno l’Italia investe relativamente poco in salute; ma soprattuttospende proporzionalmente sempre meno rispetto agli altri. Se la media dei paesi Ocse infatti ha rallentato la crescita degli investimenti in sanità, l’Italia è andata sotto zero sia nel 2008 sia nel 2012 e nel 2013. E quel che è peggio è che i fondi per la prevenzione sono scandalosamente bassi, pur essendo secondo molti osservatori proprio la prevenzione la prima leva per ridurre le disuguaglianze di salute e contrastare al meglio gli effetti della recessione. Perciò preoccupa anche il fatto che le vaccinazioni coprono una fetta alta ma decrescente di popolazione. E in questi anni anche salvavita come l’antipolio mostrano tassi di copertura sempre più bassi: nel 2013, scesa addirittura sotto la soglia storica del 95 per cento. Brutto segno. Come un pessimo segno è che c’è una battuta d’arresto anche per gli screening oncologici - pap-test, colon retto e mammografia - offerti gratuitamente negli ultimi dieci anni. In molte zone del Sud oggi chi decide di fare gli accertamentianticancro se li paga. E in Campania come in Basilicata gli inviti alle donne per pap-test e mammografia non partono proprio, per la contrazione dei budget delle Asl e il blocco del turn-over del personale sanitario, che lascia questi e altri servizi sguarniti. Effetto della crisi, com’è noto, è la considerevole riduzione di potere d’acquisto dei più indigenti ma anche del ceto medio, che comincia a risparmiare pure sulla salute. Lo mostrano i dati dell’Istat sulle visite specialistiche. Andiamo sì dal medico, ma siamo meno disposti a spendere in visite private. Tuttavia l’offerta del Ssn si contrae per effetto dei tagli e della mancanza di personale; quindi è sempre l’Istat a indicare che nel 2013 è stato più difficile anche farsi controllare gratuitamente di quanto non lo fosse nel 2005, mentre aumentano i ticket. Così accade che gli italiani si mettano in coda all’ambulatorio pubblico dell’Istituto nazionale migrazioni e povertà, situato nella struttura del San Gallicano inTrastevere a Roma. Uno si aspetta che qui visitino più immigrati. E in effetti ne arrivano tanti, senza barriere e con un’ottima assistenza. Ma se nel 2008 solo il 6 per cento dei pazienti che si facevano vedere a Trastevere erano italiani, nel 2013 lo sono il 40 e fra di loro si contano molti diplomati e laureati. NO, IL DENTISTA NO In anni magri si taglia il non necessario. La prima a risentirne è quindi la salute dei denti per la quale l’offerta pubblica è davvero inesistente: così dal 2005 a oggi le cure odontoiatriche sono diminuite di un terzo, e calano le visite specialistiche più care, con parcella superiore ai 200 euro. Colpisce poi che ne facciano le spese anche i bambini: già l’anno scorso sono stati molti meno i piccoli che sono andati dal dentista per la prima volta e molti genitori rinunciano a mettergli l’apparecchio salvasorriso (il calo registrato è del 40 per cento). Ma le famiglie non chiudono la porta solo al dentista. Smettono pure diportare i bambini dal pediatra. Secondo l’associazione che li raccoglie, persino le visite gratuite, ma con ticket, sono calate del 20-40 per cento. I pediatri sono poi preoccupati anche perché, spiega il presidente della Società italiana di pediatria Giovanni Corsello: «Sempre di più i bimbi vengono alimentati con prodotti non adatti a loro, e comunque non per l’infanzia, a partire dall’uso del latte vaccino sin dai primi mesi di vita proprio perché costa meno». In alcune regioni si registrano trend in crescita delle malattie infettive che colpiscono i bambini. E stanno peggiorando gli ausili a chi soffre di malattie croniche e rare: colpa dei tagli all’assistenza domiciliare in alcune regioni, così come del costo elevato di alcuni farmaci o alimenti speciali, come quelli per celiaci. COSA FA LA DIFFERENZA Il risultato è che gli italiani non si sentono per niente bene. L’Istat rileva che in media l’8 per cento di coloro che hanno passato i 25 anni dichiara disentirsi “molto male”, ma tra i laureati questa percentuale scende al 3,3 per cento mentre sfiora addirittura il 20, uno su cinque, tra chi ha un titolo di studio basso. Reddito, occupazione ed educazione sono infatti fattori decisivi per la salute delle persone, dentro e fuori la recessione economica. E tutti gli studi mostrano che allo status viene a sovrapporsi la geografia. A parità di reddito e livello scolastico, in sostanza, vivere al Nord o al Sud fa la differenza. Come conferma una ricerca del Cnr che ha confrontato diabete, obesità e colesterolo in eccesso prima e durante la crisi, distinguendo per livello di istruzione. E dimostrato che si sono ammalate molto di più le persone con minor scolarizzazione. Non potrà andare meglio nei prossimi anni visto che le famiglie stanno progressivamente rinunciando al cibo sano e all’attività fisica, entrambi costosi: fra i consumi in diminuzione ci sono proprio frutta e verdura, scese nel 2013 sotto la soglia delle ottomilatonnellate. Insomma, sia secondo l’Istat, sia secondo l’Oms, soprattuto in tempi di crisi, ogni svantaggio sociale, geografico e occupazionale toglie vita e salute agli italiani, facendoli fumare di più, mangiare peggio, fare meno moto, incubare più stress e vivere in ambienti più degradati. E quel che pesa è anche un servizio sanitario che non è omogeneo sul territorio. Che perde colpi soprattutto dove è già più fragile. Le conclusioni dei numeri messi in fila dagli epidemiologi sono lapidarie: se con una bacchetta magica si potessero eliminare le differenze di reddito, occupazione e istruzione, in Italia la mortalità maschile si ridurrebbe del 30 per cento e quella femminile del 15. Luca Carra-Cristina Da Rold,l’espresso(...) Vendola: "Stop ai fondi Ue per colpa del patto di stabilità" "Vorrei comunicare ufficialmente che, per assicurare prima di tutto l’incolumità dei cittadini ed i livelli minimi di assistenza sociale, la Regione Puglia non è più in condizione di garantire il cofinanziamento dei fondi comunitari e pertanto è obbligata a rallentare la spesa dei fondi comunitari. Pur avendo nuovamente dimostrato il 30 maggio scorso di essere la Regione d’Italia con il più elevato livello di spesa comunitaria in termini assoluti, noi da oggi invertiamo la tendenza con il conseguente rischio di non assicurare a ottobre e dicembre prossimi il conseguimento degli obiettivi di spesa". Lo ha dichiarato il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, al termine della Giunta straordinaria di questo pomeriggio che ha visto la discussione, tra le altre cose, sul Patto di stabilità e sulla mancata nettizzazione della spesa comunitaria. Siamo stati in paziente attesa di un provvedimento più volte annunciato dal Governo - ha aggiuntoVendola - per la nettizzazione del cofinanziamento comunitario che avrebbe allentato la stretta sui pagamenti. Ringraziamo il Sottosegretario Del Rio per la costante attenzione che ci ha rivolto, ma ci vediamo costretti a comunicargli che in assenza di un riscontro tempestivo e concreto, dinanzi alla perversa alternativa tra la garanzia oggi di alcuni servizi essenziali e inderogabili per i cittadini pugliesi, e l’impegno ad accompagnare il futuro sviluppo sociale ed economico della nostra comunità, abbiamo il dovere di scegliere la prima". "Questa - ha rilevato ancora - è un’alternativa che noi riteniamo assolutamente irrazionale da ogni punto di vista, compreso quello delle politiche per la ripresa. Costringere le istituzioni a scegliere tra l’immediato e il futuro significa negare ad una comunità il diritto a vivere. E in fondo, significa negare gli stessi principi che hanno fondato l’Europa". "La Regione Puglia - ha ribadito Vendola - da oggi non è più in grado di assicurarele spese minime di funzionamento, così come i livelli essenziali delle prestazioni nel campo dell’istruzione, dell’assistenza, del trasporto pubblico locale. La situazione è così paradossale che non emerge ancora il suo carattere tragico, ma il dato nella sua crudeltà è molto semplice. Oggi non riusciamo a guardare al futuro, mentre la Puglia sta morendo per soffocamento" ’E non possiamo neanche tacere - ha aggiunto Vendola - l’ulteriore inasprimento della sofferenza del sistema delle imprese che, a causa dei ritardi nei pagamenti, determina fatalmente la precipitazione economica e occupazionale della loro crisi". Vendola ha poi sottolineato come "nelle prossime settimane, così come lo siamo stati nelle precedenti, saremo obbligati ad affrontare spese improrogabili che riguardano l’incolumità e la sopravvivenza dei cittadini, come quelle per la protezione civile e la prevenzione e repressione degli incendi boschivi, i servizi di assistenza e pronto intervento sociale, il dirittoalla casa, il sostegno al reddito e le politiche del lavoro". "Il limite del patto di stabilità del 2014 - ha concluso il presidente della Regione Puglia - non ci consente di assolvere ai compiti che il Titolo V della Costituzione ci ha assegnato. Basta ricordare che dal 2009 ad oggi il limite di spesa annua per la Regione è progressivamente crollato da 1,667 miliardi di euro a 1,305 miliardi di euro del 2014, con una riduzione di 362 milioni all’anno. Vale a dire che negli ultimi cinque anni la Regione Puglia ha visto una riduzione della propria capacità di spesa pari a circa 1,5 miliardi di euro per nuove opere talora già finanziate, capaci di fare ripartire economia ed occupazione. Interventi peraltro sottratti a Province, Comuni ed altri enti attuatori. Con il conseguente incremento dei livelli di liquidità giacenti presso le nostre casse".(...) Atto aziendale ASL FG ’stravolto’ dal direttore generale Attilio Manfrini L’Atto Aziendale di una Asl, e in particolare di un’Asl inerente un territorio caratterizzato dalla particolare “peculiarità di ciascun territorio, degli insediamenti produttivi, del radicamento territoriale dei servizi e in considerazione dell’entità numerica della popolazione, delle caratteristiche orografiche, della viabilità e dei collegamenti” come la provincia di Foggia, è un documento di indirizzo strategico particolarmente delicato. E l’ex direttore generale dell’Asl Foggia Ruggero Castrignanò lo ha prodotto dopo due anni di confronto con la Conferenza dei Sindaci e le parti interessate, in osservanza a leggi, regolamenti, normative nazionali e regionali, e provvedendo così alla riorganizzazione complessiva in conformità ai parametri di standardizzazione indicati,compresa la subentrata necessità di riduzione di Strutture Complesse e Strutture Semplici. Ma il suo successore Attilio Manfrini non avrebbe operato seguendo la stessa impostazione:da qui l’interrogazione a risposta scritta al presidente del Consiglio regionale Onofrio Introna, della giunta Nichi Vendola e all’assessore al Welfare Donato Pentassuglia, presentata questa mattina dal consigliere regionale del Nuovo Centrodestra Giannicola De Leonardis, che ha evidenziato sopravvenuti, ulteriori tagli, riduzioni e accorpamenti in difformità col documento di indirizzo e senza “attività partecipativa all’interno e all’esterno all’Asl Foggia, e senza nemmeno alcuna sospensione formale e successiva riapertura dell’Atto Aziendale”. “Le decisioni finali hanno determinato situazioni di profondo disagio, di iniquità e mancato recepimento degli indirizzi in precedenza indicati” sottolinea. “In particolare, il Dipartimento di Prevenzione della ASL di Foggia, è articolato -ai sensi del Regolamento Regionale n. 13 del 30 giugno 2009 ‘Organizzazione del Dipartimento di Prevenzione’ e successive modifiche- in due ambiti territoriali ( area nord e area sud) composto da dodicistrutture complesse. Ma si è proceduto, con l’attuale Atto Aziendale, ad una riduzione delle strutture complesse, che ha determinato la perdita di una importante Struttura Complessa del Servizio Veterinario di Area C”. E ancora, “la chiusura del Distretto socio-sanitario di Troia-Accadia e l’accorpamento e la creazione del Distretto socio-sanitario di Lucera-Troia; la chiusura del Distretto di San Marco in Lamis e l’accorpamento con quello di Vico del Gargano; il ridimensionamento nel capoluogo, con unico Distretto invece degli attuali due, “sono un ulteriore esempio di decisioni destinate a creare profondi disagi nelle comunità interessate e a sbilanciare territorialmente la sanità in provincia di Foggia, con aree fortemente penalizzate rispetto ad altre”. Da qui l’interrogazione per sapere se “le decisioni e gli atti conseguenti, adottati dal Direttore Generale dell’Asl Foggia Attilio Manfrini in assenza di concertazione con le parti interessate, non siano tali da invalidare l’interoimpianto dell’Atto Aziendale dell’Asl Foggia”, o non sia opportuno tornare al documento originario, approvato invece dopo ampia concertazione e condivisione. E se e con quali provvedimenti e azioni da Bari “intendano promuovere, per tutelare i territori, le popolazioni e i professionisti penalizzati e garantire una visione più uniforme e omogenea, e soprattutto condivisa, della sanità in un vasto territorio dove numerosi Comuni continuano ad avere una considerazione marginale rispetto ad altri”.(...) La sanità in Puglia s’inchina al "Cerignola power", per il dopo Manfrini c’è Pippo. E vai "Liscio" con Follieri "Attilio Manfrini prepara la successione alla direzione generale dell’ Asl di Foggia. Non poteva essere più favorevole al "Cerignola power" lo scacchiere attuale nella sanità regionale. Con l’assessore regionale alla Salute, Elena Gentile, da una parte, e il responsabile di gran parte dei progetti, il geometra Giuseppe Liscio, dall’altra ... Quest’ultimo, entrato nell’azienda come centralinista, ha bruciato le tappe: "Si sta laureando con una tesi sulle società in house - ha confidato Manfrini -, poi potrà fare il direttore generale ... ". Uno scherzo? Mica tanto. Una carriera fulminante l due hanno lavorato sempre fianco a fianco, nell’area tecnica dell’azienda di Piazza della Libertà, prima a Cerignola e poi a Foggia. Passando, trasversalmente, dal centrodestra’(quando in ’via Capruzzi c’erano i consiglieri regionali Roberto Ruocco e Lucio Tarquinio, e si poteva contare sul beneplacito di Salvatore Tatarella e dello stessoRaffaele Fitto), al centrosinistra con il medico cerignolano piddino che ormai controlla l’80 per cento del bilancio regionale. Da allora, pian piano, "Pippo" diventerà uno dei personaggi decisivi per la gestione successiva delle operazioni più importanti (dalle manutenzioni, all’ informatizzazione, fino alla fase sperimentale dalla gestione in house dei servizi, con la Sanitaservice foggiana, la prima in Puglia). Sempre insieme ad Attilio Manfrini, l’ex direttore generale dell’ Asl Fg/3 che, seppure ideologicamente opposto (comunista), ha saputo creare una scuola di pensiero trasversale (da buon’ politico qual è, visto che è stato anche sindaco di Cerignola dal febbraio del 1983 a dicembre del 1984). Le strade di Manfrini e Liscio si incrociano proprio nell’ Asl di Cerignola, perché entrambi si occupavano di manutenzioni, ma si consolidano solo dopo un evento politico particolare: il 16 dicembre del 1993 Salvatore Tatarella (allora Msi) si insedia a Palazzo di Città. I grandi affari, manutenzioni e appalti È in questo periodo che l’ingegnere cerignolano, Manfrini, appassionato del mare (sub e nautica), oltre che di sci e golf, si avvicina a Lucio Tarquinio, il quale lo promuove all’ incarico che inciderà maggiormente nel suo curriculum: direttore generale dell’ Asl Foggia/3 (ottobre del 2004). Adesso, i tempi sembrano maturi per il "salto di qualità", dopo decine di progetti portati avanti assieme, alcuni di particolare importanza, come quello finanziato con fondi comunitari (Fesr 2007-2013) proprio a Cerignola, con 2,5 milioni di euro assegnati alla Sved srl di Bari, di quel Tommaso Vigneri - fino a qualche tempo fa sposato con Rita Acquaviva (dirigente dell’ Area tecnica dell’ Asl di Foggia) - finito nelle sabbie mobili dello scandalo brindisino su presunti appalti truccati (che qualcuno ha già paragonato al "Sistema Expo", per la presenza tra gli indagati del presidente di Manutencoop, Claudio Levorato). Il passaggio del testimone con i Follieri’s? ’Il "passaggio di consegne" Manfrini-Liscio dovrà passare dal nuovo "concorso" per manager fortemente voluto dal governatore Nichi Vendola per disegnare la mappa della "nuova sanità" dopo i ripetuti scandali degli ultimi anni. Qui, ad essere nominato al vertice, in rappresentanza della Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui), Enrico Follieri, docente di diritto amministrativo all’Università di Foggia. Non proprio uno qualunque. Basta spulciare tra gli atti dell’Asl per capire quale sia il ruolo dei principi del Foro lucerini, Enrico e Luigi, figli dello storico avvocato Mario, che per anni militò nella Democrazia cristiana rivestendo diverse cariche pubbliche, comunali e provinciali, divenendo anche senatore della Repubblica per due legislature (1968-1972 e 1972-1976). Al Senato ci è arrivato anche il penalista Luigi, uno che di consulenze in Piazza della Libertà ne ha prese parecchie. Come, per esempio,quella per la difesa delle ragioni dell’ Asl nel processo a carico di Vincenzo Nuzziello, imprenditore foggiano ribattezzato il "Tarantini di Foggia", più volte arrestato negli ultimi anni per indagini sul sisterna degli appalti nel settore delle protesi. 0, ancora, la difesa dell’ex direttore generale Ruggiero Castrignanò e dell’amministratore unico di Sanitaservice, Antonio Di Biase, accusati di peculato (poi assolti). Tra le "parcelle d’oro" di Enrico, invece, proprio un incarico nel tema caro a Manfrini: oltre 100mila euro per il contenzioso con Sepi spa, dopo l’affidamento dell’appalto per l’informatizzazione alla Gpi spa. Insomma, sembra un cerchio vero e proprio. Che potrebbe essere chiuso nei padiglioni della Fiera di Bari, probabile sede della "selezione" dei nuovi manager della sanità pugliese".(...) La rete del sistema sanitario Il sistema di tutela della salute è, in linea di principio e concretamente, almeno nella gran parte delle realtà, unapotente rete di relazioni, di professionisti, di persone, di imprese, di associazioni, di istituzioni, di regole, di convenzioni, di energie, di capacità. Una rete il cui funzionamento dipende anche dalla capacità di tutti i soggetti a partecipare e operare con equilibrio e trasparenza, senza tentennamenti e cedimenti, evitando i rischi che un sistema complesso presenta e portando alla luce ogni fenomeno di opacità e illegalità. La rete si sviluppa tra una molteplicità di attori, che fanno riferimento a quattro gruppi principali: - gli operatori della salute, a tutti i livelli (infermieri, medici, professionisti sanitari delle diverse specialità, tecnici, biologi, fisici, amministrativi, ingegneri, giuristi, manager ma anche volontari, associazioni di pazienti e famigliari, etc.); - i decisori a livello politico (nazionale, regionale, locale) e a livello tecnico (direttori generali di assessorati e aziende sanitarie), in grado di muovere una grandequantità di risorse umane ed economiche; - i fornitori del mondo della sanità (si pensi alle aziende farmaceutiche, alle biomedicali, ma anche a chi svolge attività complementari, dal portierato allo smaltimento di rifuti); - i destinatari dei servizi, non solo i pazienti ma l’intera collettività e le loro associazioni e rappresentanze. A tenere insieme tutti questi soggetti sono le relazioni che si stabiliscono tra gli stessi, mediate dalle regole del settore pubblico, dalle norme generali, dal sistema di valori di ciascuno e da una miriade di interessi. All’interno della rete, queste relazioni concorrono al corretto funzionamento del sistema, avendo continuamente come orizzonte il benessere delle persone, siano esse destinatarie dei servizi o lavoratori, e più in generale dell’intera collettività. Ma talvolta il meccanismo si inceppa e la rete non riesce più a funzionare in modo corretto. Ciò si verifica quando qualcuno abusa del potere (piccolo o grande)che detiene. Si rompe così il patto di fiducia che lega l’operatore della salute, il decisore (politico e tecnico), la comunità di cittadini, la legge e le istituzioni. Spesso il patto di fiducia si incrina per semplici questioni di trasparenza, un punto debole dell’intera Pubblica Amministrazione italiana e più in generale della nostra società: la trasparenza delle liste di attesa, degli atti adottati, dei criteri di scelta, dei benefici erogabili, dei percorsi di cura, ecc. E invece la trasparenza è un valore. Un comportamento limpido è sempre rispettato, persino quando non è condiviso. La trasparenza è un valore (prima ancora che un dovere) per la Pubblica Amministrazione. A maggior ragione quando riguarda temi importanti, come la salute. L’illegalità mina alla base l’uguaglianza dei diritti, ostacola la redistribuzione dei redditi (o, meglio, favorisce i ricchi a spese dei poveri), frena lo sviluppo economico e sociale, riduce il benessere complessivo della comunitànazionale. La corruzione rappresenta uno dei principali pericoli non solo per il settore sanitario e sociale ma per l’Italia intera, perchè frena lo sviluppo sano del Paese e ha un impatto tragico sulle dimensioni, l’eficienza e l’eficacia della spesa pubblica. Al danno economico e istituzionale, l’illegalità aggiunge un ben più grave danno: quello culturale, ovvero il disprezzo per i beni comuni, erroneamente considerati economicamente insostenibili, oltre che una concezione della "cosa pubblica" come cosa di nessuno, anzichè "cosa di tutti". Se una cosa non appartiene a nessuno, non vi sarà alcuno interessato a proteggerla e salvaguardarla. E così, mani avide e senza scrupoli se ne possono appropriare, e la "cosa pubblica" diventa "cosa loro". Si genera un circolo vizioso che possiamo interrompere dedicando maggiore impegno nella comprensione dei punti deboli del sistema, vulnerabili all’agire criminale, per porvi rimedio.(...) Un morbo che può indebolire l’intero sistema Talvolta può accadere che, al patto sociale volto al buon funzionamento della macchina della sanità, se ne sostituisca un secondo di natura privatistica e occulta tra chi mette in atto comportamenti illeciti e chi ne è destinatario. All’interno della rete dei servizi sanitari si forma così una piccola ragnatela, quasi invisibile ma capace sia di legare insieme chi la opera, sia di incollare tra loro interessi privati a danno della collettività. Alla ragnatela non vi partecipano ovviamente che pochi soggetti: per poter meglio funzionare essa ha bisogno di essere celata, di essere tenuta nascosta, di essere selettiva nei soggetti ammessi alla partecipazione. Tutti coloro che giocano un qualche ruolo all’interno del sistema di tutela della salute (siano essi politici, dirigenti, professionisti, operatori, fornitori o cittadini) corrono il rischio di cadere e restare impigliati in vario modo nella ragnatela dell’illegalità. Una comunità in cuiprevalgono individui integri, dotati di un buon sistema di valori, attenti all’interesse generale (potremmo dire individui di buona qualità) riesce a prevenire e a contrastare la maggior parte dei comportamenti illeciti. Una comunità in cui prevalgono individui mossi da interessi personali, da sete di potere, o più semplicemente scoraggiati, demotivati, indolenti (individui di cattiva qualità) costituisce il terreno fertile per la diffusione di forme più o meno gravi di illegalità. All’interno di questa ragnatela si diffondono onde invisibili, malattie che intaccano tutto il sistema, soprattutto quando il corpo sociale è più fragile e ha meno difese: - il decisore pubblico è tentato di destinare attenzione e risorse proprio lì dove pensa di poterne trarre un tornaconto personale; - l’operatore si distrae, rinuncia a sollevare obiezioni, si conforma a comportamenti disattenti, garantisce complicità, fino a partecipare al raccolto dei fruttidell’illecito; - il soggetto privato ha interesse a partecipare a procedure di selezione in cui non prevale il merito ma il legame interpersonale e corruttivo, in cui i migliori concorrenti sono eliminati sulla base di accordi occulti. E così, i costi delle prestazioni sanitarie lievitano, le imprese più sane falliscono, i cittadini perdono fiducia nel sistema e si produce un danno enorme per il Paese. Su questo patto descritto "idealmente" si fonda la maggior parte degli illeciti. Uscire da questo meccanismo, ossia sottrarsi a questo accordo, diventa difficilissimo per chi lo opera: una volta caduti nella ragnatela, si diventa ricattabili per tutta la vita. Ancora più grave è se, nel mondo dei fornitori e dei professionisti legati alla sanità, si infiltrano soggetti appartenenti alla criminalità organizzata. Il rischio aumenta esponenzialmente. In alcuni contesti, il ruolo della criminalità organizzata può crescere fino a diventare garante dell’intero sistemafondato sull’illegalità, specie alla luce del fatto che può ricorrere alla violenza, prendendo via via il controllo complessivo di tutta la rete quindi delle risorse pubbliche messe a disposizione. L’illegalità generata dallo scambio occulto di natura corruttiva finisce quindi con il mettere a repentaglio le nostre vite, molto spesso senza che riusciamo a rendercene conto. Senza contare quanti proventi delle imposte, che dovrebbero garantire la nostra salute, si perdono nel gioco corruttivo, con un duplice costo: da un lato la non erogazione delle prestazioni, dall’altro la perdita di opportunità di salute. La conseguenza è la fiducia nell’intero sistema, sanitario ma anche fiscale, che innesca un circolo vizioso che finisce con il fare gli interessi di corrotti, corruttori e clan. Sia chiaro: il problema non è la sanità pubblica, quanto l’inceppamento del suo meccanismo a causa di questa “tassa occulta”. Occorre infatti prestare molta attenzione a non cedere alla tentazionedi credere l’illegalità come invincibile o determinante, ma al contrario occorre considerarla per quello che è: un fattore capace di mettere in crisi l’intero sistema sanitario pubblico, altrimenti funzionante e sano. B.M. (...) “Servizi neuropsichiatria infantile, l’Assessore Gentile è fuori strada” "Leggere la risposta dell’assessore Gentile ad un genitore - che richiamava la giusta attenzione delle Istituzioni sulle liste di attesa in neuropsichiatria infantile - definendola una semplice questione di difetto di comunicazione del pediatra o di mancato accesso al servizio di prenotazione CUP-net, è semplicemente disarmante. Il servizio di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza non si limita alla visita e alla prescrizione di accertamenti diagnostici o a presidi terapeutici ma è tenuto alla presa in carico globale e a lungo termine dell’infante o dell’adolescente e della famiglia. Ed infatti, la L.R. 30/98, evidentemente sconosciuta all’Assessore, prevede che il Servizio di Neuropsichiatria Infantile si occupi della prevenzione, diagnosi e cura dei disturbi neuropsichici dell’infanzia e dell’adolescenza mediante lo svolgimento delle attività di prevenzione primaria e secondaria dei disturbi neuropsichici dell’età evolutiva,nonché della prevenzione e della riduzione della sequela di malattie neuropsichiche dell’età evolutiva accanto ad attività specialistiche psichiatriche dell’età evolutiva, ed interventi di psicoterapia per i problemi psichiatrici dell’infanzia e dell’adolescenza a salvaguardia della salute mentale del minore e della qualità della vita del nucleo familiare. L’ intervento specifico della neuropsichiatria infantile è di supporto all’integrazione scolastica per soggetti con disturbi neuropsichici in età evolutiva, nonché di tutela e risocializzazione dei pazienti degenti in istituti neuropsico-pedagogici o in istituti assistenziali favorendo la deistituzionalizzazione. E’ evidente che va effettuata una riprogrammazione della distribuzione territoriale dei Centri di neuropsichiatria infantile sul territorio dell’ASL Bari che oggi è servita da un Centro per la città di Bari con articolazione a Triggiano, uno a Bitonto, uno ad Altamura con articolazione a Santeramo e un altro aPutignano con articolazione a Monopoli, tutti con équipe incomplete nelle figure pluri-specialistiche indispensabili alla valutazione multidisciplinare della persona. Distribuzione territoriale che si caratterizza per essere scarsa su un territorio così vasto e poco implementata nelle figure professionali occorrenti. La lettera di quel genitore avrebbe dovuto indurre l’Assessore a riflettere e fare il punto sull’attuale organizzazione in funzione dei reali bisogni ma ha prevalso, come al solito, il delirio dell’autoreferenzialità. Per l’Assessore Gentile sbagliano sempre gli altri, in questo caso il pediatra di famiglia e quel padre che non si è rivolto al servizio CUP-net. Lei è perfetta! Peccato che la sua perfezione non coincida con l’efficiente risposta ai bisogni di salute dei cittadini". Nota Ignazio Zullo(...) Rischio tumori da campi elettromagnetici L’Associazione Medici per l’Ambiente – ISDE Italia (affiliata all’International Society of Doctors for the Environment - ISDE) al fianco del Prof. Angelo Gino Levis esprime ancora una volta grande apprezzamento e convinto sostegno all’azione e al lavoro di studio e ricerca del Prof. Angelo Gino Levis, uno tra i più illustri scienziati e studiosi internazionali in tema di interazioni tra campi elettromagnetici e sistemi viventi. Il Prof. Angelo Gino Levis, già Ordinario di Mutagenesi ambientale all’Università di Padova e vicepresidente dell’Associazione APPLE (Associazione Per la Prevenzione e la Lotta all’Elettrosmog) è anche tra i protagonisti che, sulla scorta di studi, perizie e di una comprovata e rigorosa documentazione scientifica, hanno chiesto al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio di ordinare al Ministero della Salute e al Governo di effettuare immediatamente una campagna di informazione pubblica su scala nazionale perrendere noto il rischio di tumori determinato dall’utilizzo dei telefoni cellulari, e sulle modalità per annullare o ridurre l’esposizione delle persone e in particolare dei bambini a questi dispositivi tecnologici che emettono onde elettromagnetiche ad altissima frequenza e che ogni giorno vengono utilizzati da oltre 40 milioni di italiani. L’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro il 31 Maggio 2011 ha classificato le radiazioni a radiofrequenza emesse dai telefoni mobili come “agente possibile cancerogeno” per l’uomo, sulla base dell’aumento del rischio di tumori cerebrali - fino al raddoppio, dimostrato in studi epidemiologici effettuati su larga scala. Il rischio di incidenza di neurinomi acustici nel lato della testa ove si è utilizzato il telefono cellulare è più che raddoppiato nelle persone che utilizzano telefoni cellulari da circa 10 anni e che abbiano un tempo di esposizione giornaliero compreso tra 6 e 32 minuti per un totale di 1000/2000 orecomplessive. Con questa azione legale, che non ha precedenti in Italia, è stato chiesto al TAR del Lazio di applicare il Principio di precauzione (art. 191 Trattato dell’Unione europea) ovvero che anche in assenza di certezze definitive sul legame causale tra esposizione a campi elettromagnetici e tumori, si ordini in via di urgenza al Governo una azione di informazione diffusa e corretta al fine di una concreta prevenzione nell’interesse della collettività nazionale. Roberto Romizi-Presidente ISDE Italia |
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