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Insorgere contro le baronie europee e la moneta unica |
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Anche la La Germania pare si sia resa conto, ed è notizia di pochi giorni fa, che perseverare irragionevolmente su una politica di assoluta rigidità di cambio, con la conseguenza di deprimere irrimediabilmente l’intera Eurozona, non sia del tutto produttivo, neppure per le nazioni con le economie più solide e con i saldi di bilancio in attivo. Era noto in partenza, e quindi facilmente prevedibile, oltre che ampiamente previsto, che costringere paesi eterogenei come quelli europei al cambio fisso nella moneta unica, senza quindi trovare i necessari equilibri reciproci attraverso la svalutazione (e la rivalutazione), avrebbe comportato grosse difficoltà per alcuni e, apparentemente, grossi vantaggi per altri. Tra coloro che hanno sofferto, e continuano a soffrire sempre di più, i cosiddetti PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), che pagano l’impossibilità a svalutare, a vantaggio (effimero) della Germania e dei paesi del centro Europa che, non essendo costretti a rivalutare, hanno visto crescere progressivamente le proprie esportazioni, con lusinghiere ripercussioni sulla produzione industriale e sul PIL. L’elemento veramente nuovo è che la Germania, dopo avere contribuito in modo rilevante alla crisi nei paesi del sud dell’Eurozona, che rappresentano il punto di destinazione di gran parte delle proprie merci, registra una preoccupante riduzione delle esportazioni, che irrimediabilmente peserà sulla produzione industriale e sul PIL, esattamente come da noi. Come evolverà la politica economica e monetaria europea dopo questa presa di coscienza è difficile da dire, e ancora più difficile è rappresentare uno scenario attendibile per il prossimo futuro, mentre anche questa esperienza ci dimostra come in economia non sia importante stravincere (che è una ricorrente aspirazione della Germania), quanto piuttosto ricercare un equilibrio armonico, con le necessarie compensazioni attraverso le monete, i cambi, la svalutazione e la rivalutazione. Sul banco degli imputati c’è quindi prima di tutto l’Euro, la politica mercatista e la tentazione egemonica della Germania e dei Paesi del centro e nord Europa. Probabilmente, se non si potrà fare palesemente marcia indietro sulla moneta unica, andranno per lo meno introdotti degli spazi di flessibilità monetaria, se non addirittura un meccanismo di Euro a due velocità, che consenta di offrire il fiato necessario ad una reale ripresa dell’Eurozona. Non sempre però la logica e la razionalità sono sovrane in economia come in politica, ed il rischio è che pur di non dover ammettere l’errore della moneta unica, si perseveri sulla strada dell’austerity, fino al cronicizzarsi del trend deflattivo dell’Europa. Una lenta eutanasia che piò essere fermata solo attraverso una decisa sterzata politico-istituzionale del Vecchio Continente. L’occasione ci era stata servita su un piatto d’argento dal referendum sull’indipendenza della Scozia (che ben sappiamo come è andato a finire). Altra imperdibile opportunità sarà, tra pochissimi giorni, il programmato referendum per l’autodeterminazione della Catalogna, che potrebbe risultare ancora più incisivo di quello scozzese. L’unica certezza è che né l’attuale sistema né l’attuale classe politico-burocratica europea saranno in grado di tirarci fuori dal vicolo cieco nel quale ci hanno infilato a forza attraverso l’imposizione della moneta unica. Si rende indispensabile una vasta presa di coscienza dei Popoli che vessati rischiano di soccombere, schiacciati come sono dalle baronie di Bruxelles. Insorgere diventa quindi un imperativo per tuti!Luca Bertagnon-23/10/2014-http://www.insorgente.com/
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