Il silenzioso flagello dei pesticidi sull’ambiente
 











Negli stessi giorni in cui il Salone del Gusto celebra a Torino, con visibilità planetaria, la sostenibilità dell’agricoltura buona, pulita e giusta e del cibo che ne scaturisce, ad Arezzo, nell’indifferenza mediatica, ISDE Italia, l’associazione dei medici ambientali, si ferma a riflettere sull’altra agricoltura, quella “convenzionale”, oggi ancora predominante nel mondo, e sulle devastanti conseguenze, per la salute umana e la biosfera, dell’uso dei pesticidi. “Agricoltura e salute: il caso pesticidi” è infatti il focus delle 8e Giornate Mediche dell’Ambiente, che il 24 e 25 ottobre hanno radunato, nella città toscana, decine di specialisti del settore, per tracciare un aggiornamento in ottica interdisciplinare. 
Dopo due giorni di interventi, documentatissimi e ricchi di dati, da parte di oncologi, pediatri, ricercatori chimici, agronomi, biologi e contadini, l’inquietante messaggio che emerge con forza è: attenzione, i pesticidi sono
molto più pericolosi di quanto abbiamo creduto finora! In realtà il grido arriva da lontano, da quel 1962 in cui la biologa americana Rachel Carson scrisse “Silent Spring” (“Primavera silenziosa”), un saggio destinato a porre le basi dell’ambientalismo contemporaneo, ma anche ad essere deriso e avversato dalla lobby delle multinazionali chimiche e da un’ampia e compiacente parte della comunità scientifica internazionale. Con il risultato che, 52 anni dopo, ci troviamo ancora nell’assurda condizione per cui, secondo alcuni, non ci sarebbero “evidenze scientifiche” a sufficienza per provare la correlazione. Intanto la gente si ammala e muore. In Italia i nuovi ammalati di tumore sono 1.000 al giorno, 182.500 morti all’anno, cifre da guerra mondiale. E una percentuale significativa di queste patologie è strettamente legata all’inquinamento ambientale.
“La gamma dei guasti ambientali e di salute pubblica che può essere addebitata ai pesticidi – scrive Celestino Panizza, coordinatore
del gruppo di lavoro ISDE nell’introduzione agli atti del convegno di Arezzo – non è completamente nota e molto resta ancora da scoprire”, ma quanto noto finora sarebbe più che sufficiente per far partire un allarme urgente e un’azione politica drastica e irreversibile a tutela della collettività e del bene pubblico. Invece l’Italia continua ad essere, secondo la rivista Science, uno dei maggiori utilizzatori di pesticidi ed erbicidi per ettaro in Europa, assorbendo, da sola, il 33% del mercato comunitario di insetticidi: 600 diversi prodotti diffusi su 13 milioni di ettari, il 70% della superficie agricola utilizzata, propugnati, da abili venditori, a contadini spesso impreparati e letteralmente ignoranti circa gli effetti, per la salute e l’ambiente, di quanto utilizzato nei propri campi. Altro che “Bel Paese” delle tipicità regionali, altro che “contadino amico”, con la zappetta e il cappello di paglia, come spesso le associazioni di categoria vogliono comunicare, indistintamente, ai consumatori. Eppure le conoscenze, le tecniche e i prodotti per cambiare modello oggi ci sarebbero, a partire dall’agricoltura biologica, quella incontestabilmente più sana e meno impattante sull’ambiente. Perché non lo si fa? La risposta è sempre la stessa: interessi economici, ignoranza, complicità politica. 
Qualcuno la butta sulla “produttività” e sulla necessità di sfamare una popolazione in costante aumento. Ma anche questo mito non ha, in realtà, alcuna base scientifica e nessuna corrispondenza con quanto avvenuto dalla cosiddetta “rivoluzione verde”, tra gli anni ’40 e gli anni ’70 del Novecento, in avanti, con conseguenze che paghiamo ancora adesso. Sarebbe forse più efficace lavorare sul contrasto agli sprechi alimentari, sul valore nutritivo degli alimenti di qualità (meno ma meglio) e sulla riequilibratura delle storture di mercato, a partire dai sussidi indiscriminati all’agricoltura, che dei meccanismi “di mercato” conserva ben poco. Come fa notare Massimo
Mercati, direttore generale di Aboca – caso più unico che raro di azienda agro-farmaceutica che coltiva 1.000 ettari in regime biologico per produrre i propri farmaci – oggi viviamo una condizione paradossale, dove il sacrosanto principio “chi inquina paga” è completamente ribaltato: sono infatti gli agricoltori e le aziende più virtuose a dover sostenere i costi di certificazione e mille altri oneri burocratici e amministrativi in più, rispetto ai produttori convenzionali che arrecano danni alla collettività e, ciononostante, possono permettersi di essere più competitivi (e dunque appetibili) nei prezzi finali. 
L’oncologo veronese Roberto Magarotto richiama una drammatica evidenza riprendendo le parole di un ricercatore americano, autore dello studio “Growing up with Pesticides”, dedicato agli effetti dell’esposizione dei bambini ai pesticidi: “I pesticidi sono disegnati per essere neurotossici, perché sorprenderci che causano neurotossicità?". Stesso discorso per i tumori:
“sono documentate in laboratorio multiple interferenze dei pesticidi con il materiale genetico cellulare: come stupirsi se poi risultano a rischio cancerogeno?”.  Ma la lista di patologie correlate all’uso di pesticidi in agricoltura, anche al di fuori della sfera tumorale, è ben più lunga e allarmante:  morbo di Parkinson, Alzheimer, SLA, patologie cardiovascolari, autoimmuni e renali, diabete, disordini riproduttivi, malformazioni e difetti di sviluppo, asma professionale, bronchite cronica, malattie della tiroide. Ad ogni intervento che si sussegue in sala la sensazione che il genere umano sia affetto da un’assurda e incomprensibile follia suicida è sempre più pressante.
E la crescita esponenziale dei casi di celiachia nel mondo? Anche questa è riconducibile all’uso massiccio, nella coltivazione dei cereali, del glifosate, la sostanza alla base dei più diffusi diserbanti. E poi via per allergie, intolleranze, eruzioni cutanee ecc. – tutto quello con cui conviviamo
ormai quotidianamente e di cui ancora “ci stupiamo”. I danni alla salute umana non derivano infatti unicamente dall’esposizione professionale, ma anche da quella residenziale e casuale o attraverso la dieta, per la presenza di residui negli alimenti e nell’acqua. “E’ ampiamente documentato – scrive l’oncologa Patrizia Gentilini – che vivere vicino ai luoghi in cui i pesticidi vengono utilizzati, fabbricati o smaltiti può aumentare in modo significativo l’esposizione ambientale per inalazione e contatto con l’aria, acqua e suolo”. Nel 55% delle acque superficiali monitorate dall’ISPRA, del resto, risultano presenti residui di pesticidi. 
Le evidenze scientifiche dunque non mancano, ma basterebbe anche solo l’applicazione del “principio di precauzione” per prevenire e contenere molti di questi danni. E invece la politica si occupa d’altro (come se la riforma del Senato fosse più importante della salute dei cittadini), basandosi su pareri “scientifici” compiacenti, che spingono
sempre più avanti il termine degli studi “necessari” per basare le scelte. A ribadirlo è Ruggero Ridolfi, dell’ISDE di Forlì-Cesena. Ridolfi propone una valutazione della cosiddetta popular epidemiology , una pratica di “giustizia ambientale” che consentirebbe di ristabilire il prezioso valore di neutralità della scienza riconsegnando nelle mani dei cittadini la scelta sul “rischio ambientale” accettabile. 
Qualche caso virtuoso – verrebbe da dire eroico – esiste tuttavia anche tra gli amministratori pubblici, non a caso a livello di sindaci dei comuni più piccoli, indubbiamente più vicini ai cittadini perché più esposti al loro giudizio quotidiano. Al convengo intervengono i sindaci di Malosco e Vallarsa e una rappresentante del comune di Malles : tre esempi (tutti nel Nord Est) dove gli amministratori, senza troppi giri di parole, hanno fatto il loro dovere e tutelato la salute pubblica. Unico parlamentare in sala, Alberto Zolezzi, del M5S, medico ospedaliero e membro della
Commissione Ambiente e Territorio della Camera. andrea gandiglio-la stanpa