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Il report di TI sul lobbying: una legge per i "gruppi di pressione"
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Ci hanno provato cinquanta volte, dalla nascita della Repubblica a oggi, con altrettanti disegni di legge. Ma non c’è mai stato verso: qualche discussione in commissione, qualche passaggio in Aula. Nulla da fare: il velo che nel nostro Paese copre e protegge il lobbying non è mai stato alzato. E i gruppi di pressione che cercano di orientare l’attività politica, di influire sui processi di formazione delle decisioni pubbliche, si sono sempre mossi nell’ombra, in un’opacità poco tollerabile per le istituzioni democratiche. Parte da questa fotografia "Lobbying e Democrazia. La rappresentanza degli interessi in Italia," il report preparato dalla sezione nostrana di Transparency International, l’associazione che in tutto il mondo lotta contro la corruzione. I numeri e l’etica pubblica. A voler utilizzare la statistica, i dati sono allarmanti: il livello di accesso da parte dei cittadini italiani alle informazioni sui gruppi di pressione è valutato intorno all’11%, nulla. Mentre gli "standard etici" raggiunti nel rapporto tra lobbisti e decisori pubblici arriva al 27%: tre quarti delle loro "frequentazioni" sono fuori dai canoni dell’etica pubblica. E va ancora peggio se ci si sofferma a considerare l’eguaglianza di rappresentanza e partecipazione ai processi decisionali. Qui, altro che democrazia: solo il 22% delle scelte pubbliche riesce a raggiungere, in questo contesto, standard adeguati. Il lobbyng ad personam. Il punto centrale indicato da Transparency International è proprio la mancanza di regolazione, l’assenza di una legge che consenta, per lo meno, di tracciare i binari sul quale far muovere la rappresentanza degli interessi. E se si può parlare, senza pericolo di smentite, di un "caso Italia" - siamo quasi gli unici nel mondo occidentale a non avere una legge in materia - allo stesso tempo bisogna evitare di confondere ciò che appare da ciò che accade: perché anche se per il nostro ordinamento i lobbisti non esistono, la realtà è diversa: fatta di un lobbying ad personam che troppo spesso, basta ricordare le inchieste su Expo 2015 o sulla P4, sfocia nella totale noncuranza delle leggi e dell’interesse pubblico. Il modello europeo. Basterebbe alzare un attimo gli occhi, verso Bruxelles. Perché in Europa, un elenco dei gruppi di pressione esiste eccome. Si chiama Registro per la Trasparenza, ed è stato adottato nel 2011 dalla Commissione Europea: a ottobre 2014, erano censiti 612 lobbisti italiani. E basta scorrere i nomi per rendersi conto che al "traffico di influenze" partecipano tutti: associazioni, Ong, rappresentanti delle industrie che si occupano di telecomunicazioni, energia, tabacco. Poi le fondazioni bancarie, le aziende farmaceutiche. Interessi di parte, tutti legittimi: ma che sono costretti, da un vuoto normativo, a muoversi alla luce del sole in Europa ma nell’ombra delle Aule parlamentari italiane. Virtuosi nel deserto. Qualche esempio virtuoso esiste comunque nel nostro Paese. Bisogna abbandonare il livello statale e passare a quello regionale: in Toscana, Molise e Abbruzzo esistono dei registri, in queste regioni il lobbying non è più un’attività che si fa a porte chiuse. Nella consapevolezza che rendere trasparente "chi chiede cosa" aiuta a separare la rappresentanza legittima degli interessi dall’alveo concettuale della corruzione. Insomma, fare una legge è possibile: ad oggi le proposte in questo senso presentate in Parlamento sono nove e lo stesso governo Renzi definisce come una sua priorità la messa a punto di una normativa efficace. Cinque passi per una legge. Infine, le proposte di Transparency International. Si parte dall’istituzione, da parte del governo, di un registro pubblico dei lobbisti, garantito da un’autorità super partes. Poi l’apertura al pubblico del processo legislativo, soprattutto nelle prime fasi, quando vengono raccolte quelle "informazioni" che poi orienteranno l’iter delle leggi. Poi, l’obbligo per i parlamentari di rendere pubblici i dettagli dei loro incontri con i lobbisti: basta bar e ristoranti al centro di Roma o le sale d’attesa degli aeroporti. Ancora: l’adozione del Freedom of Information Act e la regolamentazione del "Revolving Doors": impedire, per un determinato periodo di tempo, che chi ha fatto parte delle istituzioni possa poi passare senza soluzione di continuità alla rappresentanza di interessi particolari. Sfide difficili, ma alla portata di una democrazia moderna e matura. Ovvero quella che vuole evitare che i gruppi di pressione diventino il fattore dominante del sistema politico. Carmine Saviano,repubblica |
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