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Protezione Civile contro l’Esercito: la battaglia delle alluvioni |
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La battaglia della Protezione civile contro l’Esercito è cominciata lo scorso 9 ottobre quando Genova è stata travolta dalla pioggia e dai torrenti. È da questa prima emergenza che nasce l’invettiva di Franco Gabrielli contro il governatore ligure, che sulle pagine di “Repubblica” ha contestato la richiesta di chiamare i militari, sostenendo che «non serve a nulla»: «Esercito e angeli del fango sono cose di un’altra era». Al momento di quell’ondata che ha tormentato il capoluogo ligure, il Genio si è mobilitato subito, facendo arrivare in città nel giro di poche ore cento uomini e una quarantina di veicoli. Unità organiche, addestrate a operare in ogni condizione e soprattutto equipaggiate per farlo: fuoristrada per agire ovunque, ruspe e gru per abbattere gli ostacoli, idrovore per eliminare gli allagamenti, gruppi elettrogeni campali per dare energia e fotocellule per illuminare, camion pesanti per rimuovere i detriti. Intervenire rapidamente e in qualunque condizione è la caratteristica di ogni forza armata, che si è dimostrata efficace in tutte le emergenze del Paese. Certo, gli apparati militari hanno un costo superiore a quelli civili. Ma esistono già: la collettività li paga e in Liguria la loro opera è gratuita per chiunque abbia bisogna di assistenza, enti e cittadini. A Genova però nei giorni drammatici di un mese fa i soldati sono stati lasciati fermi per ore. Mentre gli abitanti e un popolo di volontari si dannava per spalare il fango da soli, la sala operativa della Prefettura non impiegava i reparti già pronti. C’erano quartieri dove i commercianti noleggiavano idrovore per liberare i negozi devastati dell’acqua, senza autorità che li aiutassero. C’erano ragazzi che accorrevano da tutta la provincia per dare una mano, spesso armati solo di ramazze. C’erano camion privati ingaggiati per portare via i detriti, mentre i mezzi dell’Esercito potevano farlo senza spesa e più velocemente. Ma soltanto dopo una lunghissima attesa, la Prefettura ha dato il via libera al Genio. In alcuni casi, sono stati gli ufficiali a indicare le zone dove c’era più bisogno di soccorso, semplicemente guardando le cronache delle televisioni locali. I soldati hanno raggiunto anche le frazioni più isolate, con fabbriche che rischiavano di venire cancellate dall’acqua. Ma poco alla volta sono stati i militari a venire isolati, fino alla decisione di allontanare la loro cellula di coordinamento dalla sala operativa della Prefettura. Una tensione che adesso è esplosa con le dichiarazioni di Gabrielli, numero uno della Protezione civile. Il sospetto che dietro questi attriti ci siano giochi politici è forte. Da una parte la sfida per i fondi, che in tempi di spending review crea una competizione tra le istituzioni per ottenere visibilità, un po’ come è accaduto con l’operazione Mare Nostrum. Ma questa concorrenza – se ben coordinata – può rivelarsi una risorsa e portare al migliore risultato possibile: dare un servizio efficace alla popolazione. Nel caso della Liguria, poi, pesa il fatto che il ministro della Difesa Roberta Pinotti sia un parlamentare della zona, già candidata alle ultime primarie genovesi del Pd. L’efficienza dei militari – riconosciuta da tutti – è stata interpretata nei palazzi del potere come uno spot del ministro. Ma le truppe sono intervenute nelle scorse settimane anche nel Grossetano, nell’Alessandrino, a Parma: 350 uomini e donne con l’uniforme, assieme a novanta mezzi. In tutte queste operazioni, gli ingegneri in tuta mimetica si sono preoccupati anche di garantire la prevenzione, quella che gli enti locali non hanno più i fondi per fare. Hanno liberato dighe ingolfate dai detriti, scavato canali. A Genova e in altre zone, ripulendo ad esempio, l’alveo del Rio Predazzo, che aveva contribuito agli allagamenti in provincia di Alessandria. Un’opera fondamentale per impedire che alla prossima ondata di maltempo il fango torni a invadere tutto. In tutta Italia ci sono dodici reggimenti del Genio. Solo nel Nord, 430 militari e tre elicotteri sono pronti a entrare in campo con il minimo preavviso. Soldati professionisti e specializzati: gli stessi che hanno costruito strade e bonificato torrenti in situazioni di grande crisi dall’Afghanistan all’Iraq. Certo, la Protezione civile nel nostro paese ha migliorato la sua rete e coordina tantissimi gruppi di volontari motivati e capaci. Ma non basta: la situazione drammatica del territorio è sotto gli occhi di tutti. E invece di alimentare polemiche, l’unico dovere dei responsabili delle istituzioni è quello di dare risposte concrete alle vittime delle alluvioni.Gianluca Di Feo,l’espresso |
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