Jobs Act, emendamento di pace tra Pd e Ncd Reintegro solo per licenziamenti disciplinari
 











Il governo presenta in commissione Lavoro alla Camera l’emendamento che inserisce le modifiche all’articolo 18 nel Jobs act, e nella maggioranza riscoppia la pace tra Pd e Ncd.
Dorina Bianchi, ex Pd e ora vicecapogruppo degli alfaniani alla Camera, riassume meglio di tutti perché: “Il governo ha mantenuto gli impegni. Si va verso il superamento dell’articolo 18”. Il testo dell’emendamento conferma infatti l’impostazione già concordata: niente più reintegro per i licenziamenti illegittimi. I lavoratori saranno compensati con una somma di denaro: l’indennizzo "economico certo e crescente con l’anzianità di servizio” sarà infatti la “sanzione ordinaria”, gioisce il capogruppo al Senato Maurizio Sacconi, artefice della mediazione insieme con il ministro Poletti.
Faranno eccezione il licenziamento discriminatorio, come già deciso, e “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”, per le quali il reintegro sarà previsto. Ma
quali sono le “fattispecie”? In realtà, non è stato ancora deciso: saranno esplicitate nel decreto attuativo, di cui si occuperà Palazzo Chigi dopo il via libera parlamentare. Proprio questa vaghezza aveva inquietato l’Ncd: ma, sul punto, le rassicurazioni arrivate da Palazzo Chigi devono essere state convincenti. Spiega infatti Sacconi: “Vi è l’intesa che le fattispecie dovranno essere disegnate in modo così circoscritto e certo da non consentire discrezionalità alcuna al magistrato, in modo che i datori di lavoro abbiano quella prevedibilità dell’applicazione della norma che li può incoraggiare ad utilizzare i contratti a tempo indeterminato”. E bye bye articolo 18, insomma.
Dunque, dopo i nervosismi di ieri Ncd dismette la smorfia feroce. Una pace annunciata già in mattinata da Angelino Alfano: “Siamo vicinissimi ad un accordo con il Pd sul lavoro. Ho sentito stanotte il senatore Maurizio Sacconi e credo che ci siamo”. Confermando, in sostanza, che le tensioni scoppiate ieri
pomeriggio nel suo partito sulla definizione della riforma dell’articolo 18 erano preventive e di natura politica. Nulla di epocale, insomma. Una manovra tesa a chiarire, dopo le concessioni di Renzi alla sinistra Pd, che il Nuovo centrodestra ha voce in capitolo all’interno della maggioranza, soprattutto finché la riforma del lavoro si trova in Parlamento.
E’ questo lo spirito con cui ieri l’Ncd ha agitato le acque, dopo che il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova aveva annunciato modifiche sulla parte relativa ai licenziamenti disciplinari, per recepire l’ordine del giorno della Direzione Pd. “Non è quello che abbiamo concordato”, ha tuonato Maurizio Sacconi, minacciando di aprire “un bel contenzioso nella maggioranza". Un avvertimento politicamente chiaro: soprattutto perché dopo le modifiche alla Camera il Jobs act dovrà tornare a Palazzo Madama, ed è proprio lì che il Pd ha bisogno di un sostegno per ottenere la maggioranza. Quanto alla sostanza tecnica, la divaricazione
tra il Pd e l’Ncd è molto più sfumata: soprattutto perché tra i dem convivono due anime, e una delle due non è distante dal sentire alfaniano, che vuole restringere il più possibile le maglie del reintegro. Proprio ieri alla Camera, pure la capogruppo Ncd Nunzia De Girolamo si diceva convinta che l’accordo con Renzi in sostanza resisteva. Andava più che altro ribadito, stabilendo con acribia i confini della norma, perché non incontrasse troppo i favori della sinistra Pd.
Obiettivo raggiunto. Nessun rischio di fratture parlamentari. Anche grazie al placet degli ex bersaniani del Pd: “Siamo soddisfatti”, commenta il capogruppo Roberto Speranza, che prima dell’accordo della settimana scorsa con Renzi si era mostrato critico. Mentre Pippo Civati conferma il no: “Questa mediazione ha prodotto neanche un topolino: un mostriciattolo”. A questo punto, parte la corsa per chiudere tutto entro il 26, come stabilito dal calendario dei lavori della Camera. E’ possibile che il governo ponga sul
Jobs act la questione di fiducia: “Dipende da quanti emendamenti presenterà l’opposizione”, spiega ancora Speranza sottointendendo che nel caso non sarebbe certo un problema votarla.
Per quel che riguarda la riforma, il nuovo articolo 18 seguirà in sostanza l’impostazione della legge Fornero 2012, spostando l’asticella ancora un po’ più in là: il governo Monti aveva tolto l’automatismo del reintegro, in caso di licenziamento illegittimo, distinguendo tra motivi economici, disciplinari e discriminatori; adesso la riforma di Renzi mantiene l’automatismo solo nel caso dei licenziamenti per motivi discriminatori (di genere, di razza, di orientamento sessuale eccetera), mentre per quelli economici (per esempio: la crisi aziendale) vi sarà sempre il risarcimento, e per quelli disciplinari quasi sempre, salvo eccezioni.
Renato Brunetta, capogruppo azzurro, le ritiene modifiche di poco conto: “In pratica non cambia nulla”. Eppure, di fatto il potere discrezionale del giudice si restringe
notevolmente (con la riforma Fornero, l’opzione reintegro/indennizzo era nella maggioranza dei casi affidata al tribunale) mentre, dal punto di vista simbolico, il segnale è chiarissimo. E il risultato della mediazione avvicina la maggioranza del Pd all’Ncd, approfondendo invece ancor di più il solco con la minoranza dem (quella che non si è adeguata, almeno). Susanna Turco,l’espresso