Più dipendenti pubblici per rilanciare l’economia
 











Una proposta “neo-keynesiana” controcorrente per riavviare la tanto sospirata crescita: l’assunzione di varie centinaia di migliaia di giovani nella pubblica amministrazione (i cui dipendenti, contrariamente a quel che si pensa, sono troppo pochi), da finanziare con una imposta patrimoniale di scopo sulla ricchezza finanziaria.
1. Qualche cifra
Contariamente a quanto ritiene gran parte dell’opinione pubblica, i dipendenti pubblici in Italia non sono troppi: sono troppo pochi. Nel 2011 (dati OECD) in Italia c’erano 3.435.000 dipendenti pubblici (di cui 320.000 precari, tra collaboratori e partite IVA), contro i 6.217.000 della Francia e i 5.785.000 del Regno Unito, paesi con una popolazione molto simile a quella dell’Italia e un pil non troppo superiore. Anche in Spagna e negli Stati Uniti i dipendenti pubblici pro capite sono più numerosi che in Italia (rispettivamente 65.6 e 71.1 per mille abitanti, contro i 56.9
dell’Italia). Solo il dato tedesco è apparentemente simile a quello italiano (54.7 per mille abitanti), ma esso è influenzato verso il basso dal regime privatistico del personale sanitario. Se consideriamo il solo personale amministrativo, per avere in Italia lo stesso numero di dipendenti pubblici pro capite che c’è in Germania bisognerebbe ricorrere a 417.000 nuove assunzioni, a fronte di uno stock attuale di 1.337.000: un incremento del 31%. E per avere lo stesso numero di impiegati amministrativi pro capite degli USA bisognerebbe assumerne addirittura 1.310.000.
Queste cifre si riferiscono all’insieme del personale civile di tutte le amministrazioni pubbliche, di qualsiasi livello. Possono essere influenzate, come nel citato confronto fra Italia e Germania, dal fatto che alcuni servizi – di natura pubblica e finanziati con fondi pubblici – possono essere erogati tramite imprese e personale privati in un paese e pubblici in un altro; ma un esame più approfondito, di cui qui
riportiamo i risultati per sommi capi, conferma pienamente i dati che abbiamo riportato (si veda la tabella 1).
E’ del tutto ovvio che nella P.A. ci siano anche esuberi: la commissione Cottarelli ne ha contati 58 mila. Che si tratta di un numero quasi trascurabile rispetto alle esigenze qui prospettate. Ad esempio, nel Servizio Sanitario Nazionale le dotazioni di organico nel 2012 erano di 760 mila posti, contro una presenza di 670 mila addetti. Oggi il numero di addetti si è ridotto di altre 50 mila unità.
2. Pubblica amministrazione e crescita dell’economia
Se ammettiamo che un’economia non può funzionare bene senza uno stato che funzioni bene, la ripresa della crescita del paese richiede contestualmente una altrettanto vigorosa crescita dell’efficienza della amministrazione pubblica in quasi tutti i suoi settori.
Il malfunzionamento della P.A. costituisce uno degli ostacoli più rilevanti alla competitività dell’Italia. Il vero problema è che qualsiasi
ipotesi di modernizzazione della pubblica amministrazione che non contempli – contemporaneamente alla riforma della P.A. tout court, nella direzione di una maggiore efficienza ed efficacia – anche un consistente aumento del personale è velleitaria.
Se l’ordine di grandezza “giusto” di pubblici dipendenti è quello dei paesi con cui solitamente ci confrontiamo, un aumento consistente del numero di pubblici dipendenti è una condizione necessaria (anche se certo non sufficiente) per riavviare la tanto sospirata crescita. A maggior ragione essa è condizione necessaria per un riassorbimento significativo della disoccupazione e della inoccupazione.
La nostra proposta è che la pubblica amministrazione assuma in tempi rapidi da ottocentomila a un milione di nuovi addetti, con contratti che tengano conto della situazione di emergenza in cui versa la nostra economia e di cui diremo più avanti. E’ inoltre indispensabile tenere conto che oggi l’età media dei dipendenti della P.A. si avvicina
a 50 anni, e che il 48% del personale attuale andrà in pensione prima del 2029 e il 27% prima del 2024. Si prospetta quindi in tempi brevi anche un’indilazionabile necessità di ricambio generazionale.
Non si dovranno fare assunzioni “lineari”. Bisogna che le assunzioni avvengano là dove servono, cioè dove sono massimamente utili per lo sviluppo dell’economia. Per fare degli esempi, certamente non esaustivi: la giustizia civile; la formazione tecnica e professionale; la ricerca; la sanità, i servizi di assistenza extra-ospedaliera; i servizi per l’impiego; l’ordine pubblico; nonché, naturalmente, progetti miranti al riassetto del territorio e alla manutenzione dei beni culturali.
3. Pubblica Amministrazione e occupazione dei laureati
Non è il caso di ricordare in questa sede i divari di disoccupazione giovanile tra l’Italia e quelli di quasi tutti gli altri paesi europei, né che la quota di giovani laureati in Italia è la più bassa nell’Unione europea. Negli
altri paesi il settore pubblico rappresenta una quota cospicua della domanda di laureati, sia grazie alle sue dimensioni, sia all’elevata scolarità della forza lavoro che vi è impiegata. Al contrario, in Italia, al sotto-dimensionamento della pubblica amministrazione si accompagna un livello di scolarità del personale particolarmente basso: solo il 26% degli addetti (dati ARAN 2012) è in possesso di laurea vecchio ordinamento o magistrale, cui si deve aggiungere un 4% con la laurea triennale, a fronte, per esempio, di una percentuale del 54% in Gran Bretagna. dove i civil servants laureati sono oltre 3.000.000 (i pubblici dipendenti laureati italiani sono soltanto 1.000.000). Se si volesse adeguare il settore pubblico agli standard europei si riassorbirebbe completamente la disoccupazione dei laureati, rendendo altresì urgenti politiche educative di tipo espansivo.
4. Evitare alcuni pericoli
L’efficacia di un piano straordinario di assunzioni nelle pubbliche
amministrazioni rischia di essere sminuita da due possibili errori strategici: assegnare il personale a compiti non prioritari, ed effettuare le assunzioni sulla base delle pressioni politiche locali più che delle reali necessità. Nel primo errore sarebbe facile incorrere se la politica qui suggerita fosse interamente gestita a livello centrale; nel secondo, se invece fossero gli enti o comunque gli uffici locali a effettuare le assunzioni. Per evitare questi pericoli si dovrebbe a nostro avviso operare come segue. Gli enti e gli uffici locali interessati dovrebbero fare delle proposte di aumenti del personale sulla base di progetti o programmi dettagliati, che dovrebbero essere valutati e approvati da un ente centrale. Questo ente dovrebbe essere rigorosamente non politico, anche per avere la credibilità necessaria al finanziamento dell’operazione, di cui diremo più avanti. Inoltre, l’assunzione di nuovo personale non deve essere in sostituzione del personale precario attualmente in servizio.
5. Dove reperire le risorse
Risorse umane. Le risorse umane sono costituite dalla massa di disoccupati e inoccupati (soprattutto laureati e diplomati), che sono probabilmente qualificabili in tempi brevi per una molteplicità di mansioni nel settore dei servizi pubblici. Il periodo di addestramento dovrebbe essere interno al progetto per il quale il personale è assunto, onde evitare quelle inefficienze in cui è spesso incorsa la formazione non finalizzata a un impiego specifico.
Risorse economiche. Il costo del piano qui suggerito – nell’ipotesi di un costo medio di 15/20 mila €/anno per ciascun nuovo assunto, che include gli oneri sociali ma non quelli fiscali (che sono una partita di giro) – dovrebbe essere compreso fra i 15 e i 20 miliardi l’anno. E’ una cifra consistente, ma reperibile; tanto più in quanto l’imposizione fiscale necessaria sia una vera imposizione di scopo. Parte del finanziamento potrebbe provenire da fondi europei, e un’altra
parte da una limitata imposta patrimoniale sulla ricchezza finanziaria, che - cosa per nulla trascurabile - non confliggerebbe con i vincoli europei sul rapporto deficit/PIL. Un’aliquota progressiva compresa tra il 2 e il 6 per mille - da cui sarebbero completamente esenti metà dei nuclei familiari poichè la loro ricchezza finanziaria è inferiore a 150 mila euro - sarebbe sufficiente a finanziare tre quarti dell’intero progetto (si veda la tabella 2).
6. Effetti moltiplicativi
Una ipotesi conservativa sull’entità del moltiplicatore di questo progetto è di 28 miliardi in tre anni: il chè significa che se il finanziamento straordinario durasse tre anni, genererebbe per ciascuno dei tre anni una crescita di quasi un punto e mezzo di PIL. Alla fine dei tre anni le risorse finanziarie straordinarie per sostenere l’occupazione aggiuntiva non sarebbero più necessarie.
Che conseguenze si avrebbero se il provvedimento fallisse sotto il profilo dell’effetto
moltiplicativo sul PIL? Sicuramente deludenti da un lato. Ma non tragiche, perché l’aumento di occupazione nella P.A. dovrebbe quanto meno dare luogo a un sostanziale miglioramento dell’efficienza di tutto l’apparato pubblico.
7. Disponibilità dei cittadini a pagare la patrimoniale di scopo
E’ nostra convinzione (ma è una convinzione basata su una letteratura scientifica importante) che i contribuenti non sarebbero troppo maldisposti a versare questa cifra qualora potessero essere sicuri che il gettito vada realmente ed esclusivamente a creare posti di lavoro utili alla collettività per i disoccupati, soprattutto giovani. In Italia vi sono oggi 22.5 milioni di nuclei familiari, di cui 11-12 chiamati a contribuire alla patrimoniale di scopo. Vi sono inoltre 3 milioni di NEET (giovani in età 18-29 che non studiano né lavorano), e ISTAT si stima che la metà di questi abitano nelle case dei propri genitori. Vi sono quindi 1.5 milioni di nuclei familiari con giovani
NEET a carico, e, fatte le debite proporzioni, la metà di questi nuclei sarebbe chiamata a contribuire alla patrimoniale. Si potrebbe allora porre ad essi un quesito in questi termini “sareste disposti a contribuire alla patrimoniale di scopo sapendo che dieci contributi come il vostro garantirebbero un posto di lavoro sicuro a uno dei vostri figli disoccupati?”
8. Osservazioni conclusive
E’ indubitabile che a) l’impiego pubblico è sottodimensionato, b) esiste un’alta disoccupazione di giovani con elevato titolo di studio, c) il livello della domanda interna è insufficiente, con conseguente grave crisi dei settori produttivi. Questa nostra proposta si propone di affrontare in modo coerente i tre problemi mediante un aumento consistente del numero di dipendenti pubblici. Le proposte che avanziamo circa il finanziamento, le modalità e la gestione dell’iniziativa – dei quali siamo peraltro convinti – sono opinabili e probabilmente esistono soluzioni diverse. Ma le
difficoltà su questo piano non possono in alcun modo esimere il potere politico dalla necessità di affrontare i problemi che abbiamo citato in un modo, ripetiamo, coerente.
E’ bene infine ribadire che questo programma non è in alcun modo alternativo alla riforma complessiva della P.A. che il governo Renzi sembra impegnato a realizzare.
 A. Ambrosino, Università del Piemonte Orientale; M. L. Bianco, Università del Piemonte Orientale; B. Contini, Università di Torino e Collegio Carlo Alberto; G.Garrone, Università del Piemonte Orientale; N. Negri, Università di Torino; G. Ortona, Università del Piemonte Orientale; F. Scacciati, Università di Torino; P. Terna, Università di Torino.