L’Ocse promuove la riforma italiana delle pensioni
 











L’Italia è al primo posto tra i paesi industrializzati per l’incidenza delle pensioni sulle casse statali, ma le ultime riforme favoriscono la sostenibilità finanziaria del sistema, con un impatto negativo tuttavia sul reddito. E’ quanto emerge dal "pension outlook" dell’Ocse che esplora i sistemi previdenziali dei 34 paesi aderenti, sottolineando come l’invecchiamento della popolazione e il difficile contesto economico con un mix di bassa crescita, bassi tassi d’interesse e bassi rendimenti creino seri problemi per i sistemi previdenziali.
Uno scenario che ha portato ad una diffusa accelerazione delle riforme negli ultimi anni. Sul fronte della statistica, la penisola è al top nell’area Ocse con una spesa per le pensioni pari al 32% della spesa pubblica nel 2011 contro la media del 18%. Tra il 25% e il 28% si trovano Polonia, Austria, Portogallo e Grecia, attorno al 23% Germania e Spagna, mentre la Francia ci avvicina al 25%.
Al capo opposto
l’Islanda che non arriva al 5%. Sotto la media gli Usa con il 16%. Quanto all’impatto delle riforme avvenute nel 2012-2014, in una tabella l’Ocse "promuove" l’Italia per la sostenibilità finanziaria, ma assegna un "voto" negativo all’adeguatezza in termini di reddito che ne deriva. Nell’insieme l’impatto delle riforme è comunque "importante".
La spesa per pensioni in Italia supera la media anche rispetto al Pil, con un livello stimato poco sopra il 14% nel 2015, al quinto posto nell’Ocse, contro il 10% dell’area. Sul lungo termine l’aumento appare per altro contenuto rispetto ad altri paesi: al 2050 secondo in calcoli dell’organizzazione internazionale, la spesa dovrebbe fermarsi alla soglia del 16% del Pil, mentre Austria, Belgio, Slovenia e Lussemburgo saranno tra il 16% e il 18%. La media Ocse è prevista al 12%.
La Germania dovrebbe salire dal 10% del Pil del 2015 al 13% circa del 2050, la Francia dal 14% al 15% e la Spagna dal 10% al 14%. L’Italia resta poi in fondo alla
classifica dei 55-64enni occupati, anche se nel 2012 erano saliti al 40% da poco sopra il 30% nel 2007, ma si resta ben al di sotto del 55% medio Ocse.
Il tasso di sostituzione teorico di lungo termine in Italia per un giovane entrato nel mercato del lavoro nel 2012 e che lavori fino all’età prevista per il pensionamento è stimato dall’Ocse all’80%, attorno alla media dell’area. Il tasso più generoso è attualmente quello della Danimarca che è del 120% per i lavoratori a basso reddito, mentre è dell’80% per i redditi medi. In base ai dati Ocse, infine, i pensionati italiani attualmente hanno un rischio di povertà inferiore alla media.
Stando al rapporto, gli ultra-65enni poveri per reddito nella penisola sono il 10,6% contro il 12,6% medio della popolazione totale. In Svizzera, ad esempio, si passa dal 10,3% medio della popolazione al 24% tra gli ultra 65enni, il dato più alto in Europa. Gli anziani che se la passano peggio sono però quelli coreani: il tasso di povertà balza al
48,6% dal 14,6% medio dell’intera popolazione. I più "agiati" sono nella Ue: in Olanda il tasso di povertà che è del 7,8% medio della popolazione scende all’1,6% tra gli ultra 65enni, in Spagna dal 15,1% dimezza al 7% e in Francia scende dall’8% al 4,5%. Resta da vedere quale sarà nel tempo l’impatto sui redditi delle riforme delle pensioni.r