C.SAURA O L’ALTRO CINEMA SPAGNOLO
 







di Antonio NAPOLITANO




Si può dire, ormai, la voga del divismo è giunta a lambire anche qualche regista. È il caso, ad esempio, di P.Almodovar, autore certamente interessante che, però, da tempo è presentato come l’unico rappresentante del cinema realizzato in Spagna.
Un tale feticismo impoverisce, secondo noi, il discorso critico e viene a falsare la giusta prospettiva storica sui di una intera produzione nazionale.
Esso è, soprattutto, attivato da molti massmedia che sulla sua persona concentrano dosi d’urto di gossip e di morbose curiosità.
Sono, invece, al lavoro nelle peninsola iberica  numerosi altri registi di valore, basti citare V.Aranda, Baja Ulloa, e lo stesso Bigas Luna e, soprattutto, Carlos Saura esemplarmente attivo da qualche decennio.
I suoi esordi, infatti, risalgono ai tempi dei Berlanga, dei J.A.Bardem e del Buñuel
rientrato felicemente in patria("Tristana" e "Viridiana").
Il primo lungometraggio "I monelli" è una rappresentazione realista ed accorata della gioventù povera del suo paese.
Risulta già  evidente che egli non aderisce all’ottimismo che il regime di Franco tenta invano di propagandare.
Così, non senza significato un successivo film, "Banditi" (1963) subirà varie mutilazioni da parte della occhiuta censura falangista.
E, date le difficili circostanze, si può capire l’incremento del linguaggio "esopico" nelle opere, sempre più cariche di allegorie e simbolismi sottili.
Ne è la prova concreta "La caccia" (1965), in cui più che l’inseguimento della selvaggina emerge la resa dei conti tra i cacciatori, reduci della guerra civile.
Forse, anche per questa coraggiosa denuncia l’opera meriterà l’"Orso d’argento" al Festival di Berlino dell’anno seguente.
Nel 1970, "Il giardino delle delizie" descrive le vicissitudini di un miliardario che un incidente d’auto ha reso paralitico e sofferente di grave amnesia.
Cinicamente, egli viene curato dai familiari solo allo scopo che recuperi la formula numerica che apre la ricca cassaforte.
Qualcuno ha visto nel protagonista un’allusione al vecchio e malato "Caudillo". È lo stesso storico del cinema spagnolo J.C.Seguin ad affermare "che con tale opera Saura riesce ad operare una sintesi felice tra storia e metafora..."
Con "Anna e i lupi" (1972) prendono il sopravvento invece, i toni da favola. Appare proficua la collaborazione di R.Ascona (per il soggetto e la sceneggiatura) che serve a dare qualche risvolto grottesco (se non crudele) al racconto e a riscattarlo dall’ingenuità di fondo.
Grande e meritato successo avrà poi "Cria cuervos" (1975), premio speciale - appunto -  della Giuria di Cannes.
È uno squarcio di luce sul mondo dell’infanzia infelice preda, talvolta di fantasie infondate e conseguenti  ripulse  e paure.
Ottima risulta  l’interpretazione di Geraldine Chaplin nel duplice ruolo della madre e poi della figlia divenuta adulta e cosciente delle sue confusioni.

Nel ’79,  "Mamma compie cent’anni" apparirà, come l’occasione per dispiegare un humour nero  a tutto campo (non certo una novità nella patria di Cervantes).
L’equilibrio creativo del regista tiene a bada le digressioni più rischiose e il film - nota G.Grazzini -  "è una gustosa parodia di temi di attualità".
L’81 è l’anno dell’inizio della collaborazione con il famoso ballerino A.Gades: "Nozze di sangue" è  un esempio aureo di dialogo tra la cinepresa e il dinamismo gestuale della danza.
Ed un uguale alto livello attingerà "Carmen story" (1983) nel suo alternare stile realistico e atmosfere oniriche.
La trilogia si concluderà con "L’amore stregone" (1986) che denuncia però, qualche stanchezza creativa nell’uso insistito di certi manierismi "gitani".
Una svolta positiva sarà l’affresco storico (ma non agiografico) di "El Dorado"(1988).
Con esso viene narrata la folle avventura nelle intricate foreste del Sud America da parte degli Spagnoli di Filippo II.
L’attore Omero Antonutti dà una efficacissima interpretazione della figura di Aguirre  ("collera de Dios") e, grazie a lui, l’opera si distanzia di molte misure da quella di W.Herzog.
Validissimo è, infatti, l’approfondimento della psicologia ed è rivelatrice la fotografia di quei luoghi "vergini" ma assai insidiosi.
Meno fortunato sarà l’incarico ufficiale che Saura accetta, cioè quello di filmare  le Olimpiadi in "Marathon" (1992), un documentario: cosa a lui poco congeniale.
In compenso, quasi contemporaneamente, ha girato "Ay,Carmela" (1991) dalla cui pur grottesca trama traspaiono amari giudizi sulla guerra civile degli anni ’30.
Nell’opera si incastona bene il talento di Carmen Manza, conosciuta, e a buon motivo, come "la Magnani di Spagna".
Dopo due cose alquanto di routine ("Taxi" e "Dispara!") inizia con "Tango" la splendida collaborazione con V.Storaro che prosegue con "Goya" (2000) e in modo ancora più superbo.
Il gioco delle tinte oscure, i rossi e gialli cupi ed ossessivi rendono appieno l’arte cromatica del pittore.
E F.Rabal lo impersona con estrema perizia, pur nelle cadenze ingrate della vecchiaia a Bordeaux, tra stanchezza e infermità .
Il contributo dello "art director" italiano sarà giustamente ricordato nella motivazione del premio assegnato all’opera da parte della "European Film Academy".
Nel 2001, Saura rende un fantasioso omaggio all’amico "Don Luis" (nonchè a Lorca e Dalì) con "Buñuel e la tavola di Re Salomone".
Piena di risvolti surreali e di allusioni intellettuali la vicenda si dipana in modo avvincente e, spesso, è francamente divertente.
Un clima ben diverso è dipinto ne "Il settimo giorno" (2004) che prende spunto da un fatto di cronaca nera. Il regista sa, però, scavare al di sotto della superficie  sociale per rendere perfettamente la genesi di una faida tra gente feroce, che indossa vesti moderne ma cova in sè primitive e violente passioni.
Anche qui, non
è da sottovalutare l’apporto dell’operatore F.Lartigue che coglie i contrasti profondi tra le tenere luci del paesaggio e la cupezza dei volti.
Nel 2005, Saura realizza "Iberia" nobile omaggio alla musica di I.Albeniz.
È una sorta di critofilm su danze e coreografie di gran fascino.
Si manovrano con tocco raffinato  luci, silhouettes e delicate sfumature di colore. Non si può quindi, non osservare con tristezza  l’assenza di tali opere sui nostri normali schermi.
Nel complesso, perciò, di questo ampio ventaglio tematico affrontato dal talento di Saura, si può ben ritrovare la testimonianza di quanto di positivo si fa in Spagna.
Perché sussiste in essa un patrimonio filmico da conoscere e riconoscere come parte integrante della grande civiltà dell’immagine.