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Un atlantico al Quirinale |
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L’addio al Quirinale di Napolitano ha aperto la corsa per l’elezione del suo successore che, inevitabilmente, secondo le logiche che dettano gli avvenimenti del nostro Paese, dovrà essere in linea con quanto impersonato dall’ex esponente “migliorista” del PCI. Un altro presidente “atlantico” insomma. Napolitano, in tale ottica, ha rappresentato al Colle la garanzia della continuità dei legami con gli Stati Uniti ed, in buona sostanza, della identità di vassallo dell’Italia verso Washington. C’è da ricordare, a tale proposito, che nella seconda metà degli anni settanta in particolare, ma anche nella prima, Napolitano era l’unico esponente di spicco del PCI ad essere ricevuto senza alcun problema negli Stati Uniti per rivendere in loco la nuova immagine del partito all’insegna di una svolta socialdemocratica e della accettazione del Libero Mercato. Da dove nascesse questa benevolenza dell’establishment Usa verso Napolitano non è mai stato chiarito da documenti ufficiali. La spiegazione, a nostro avviso, sta nel fatto di essere stato Napolitano il delfino di Giorgio Amendola (che guidava la destra del PCI) che, dal padre Giovanni, teosofo e massone, aveva presumibilmente ereditato taluni legami politici e culturali con il mondo anglosassone. Legami che, una volta trasferiti al comunista napoletano, gli hanno permesso quasi 40 anni fa di stabilire contatti che poi gli sono tornati utili in seguito per la sua successiva carriera che lo ha visto prima ministro degli Interni e poi presidente della Repubblica. Erano i tempi in cui alla Casa Bianca sedeva il democratico Carter che aveva come consigliere di politica estera Zbigniew Brzezinski, il creatore della Commissione Trilaterale, grazie ai soldi della Chase Manhattan Bank dei fratelli Rockefeller. Un Brzezinsku che, da cattolico polacco immigrato negli Usa, fu il grande regista della elezione di Wojtyla a Papa. Un Brzezinski che, in odio alla Germania ha sempre ostacolato la riunificazione tedesca. E che, in odio a Mosca, ha sempre perseguito il disegno di accerchiare la Russia da Ovest e da Sud. Un disegno realizzato con il sostegno dato alla caduta dello Scià a cui Mosca reagì con l’invasione dell’Afghanistan e proseguito ai giorni nostri (Brzezinski è consigliere occulto di Obama) con l’aggressione statunitense alla Russia attraverso l’utilizzo dei governi vassalli di Ucraina e Georgia. Un presidente “atlantico” dovrà quindi essere quello che si installerà sul Colle e che dovrà garantire a Renzi l’appoggio istituzionale per realizzare quella “rivoluzione liberale” e (ovviamente) liberista che nemmeno Berlusconi riuscì a realizzare. Sul nome del nuovo capo dello Stato i giochi sono tutti da definire. Le personalità (si fa per dire) in corsa sono quelle conosciute. Ad incominciare da Giuliano Amato che ha però il grande difetto di essere conosciuto e ricordato (e quindi odiato) come l’autore, da capo del governo, del prelievo forzoso del 6 per mille sui conti correnti bancari nel 1992. Un presidente del genere difficilmente verrebbe accolto con applausi nelle piazze anzi è più che probabile che la folla lo accoglierà con il lancio di sassi. La povertà in aumento esponenziale nel nostro Paese è un fattore da tenere bene in considerazione, anche perché diversi esponenti della maggioranza e del governo, come il ministro Padoan, non sono contrari ad una patrimoniale. Padoan, secondo molti il vero candidato di Renzi al Quirinale, quando era all’Ocse aveva infatti più volto sostenuto la necessità di una tassa patrimoniale straordinaria in Italia. Un altro presidente da sottoporre alla furia della folla? Le gazzette interpreti degli umori e degli interessi della borghesia produttiva (Corriere e Stampa) o finanziario-speculativa (Repubblica) continuano a sostenere che il presidente in questione debba essere una personalità conosciuta ed apprezzata a livello internazionale e tale da garantire che sosterrà il governo (Renzi) nel fare i compiti a casa. Ossia, ridurre il debito e il disavanzo pubblici, liberalizzare il mercato del lavoro (riducendolo al livello del mercato delle vacche) e mantenendo i legami con gli Usa. Quindi privilegiandoli rispetto a quelli con una Russia che, oltre ad essere una nostra vicina geografica, ci fornisce il gas e il petrolio di cui abbiamo bisogno. In tale ottica chi meglio di Romano Prodi, ex (?) consulente di Goldman Sachs, ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Commissione Europea? Chi più “atlantico” di lui? Per non parlare di Mario Draghi (ex vicepresidente europeo di Goldman Sachs) che ha fatto però sapere di preferire la presidenza della Bce. Ma è possibile che in Italia non si riesca a trovare un candidato “politico” che non abbia legami con il mondo dell’Alta Finanza? In tal senso è positivo che sia sparito dalla scena un Mario Monti che è stato (?) consulente sia di Moody’s che di Goldman Sachs, due società che, a diverso titolo, hanno speculato contro i nostri titoli di Stato e di riflesso quindi pure contro l’euro. Insomma, comunque la si voglia mettere, dobbiamo aspettarci che un burocrate o, peggio, un banchiere arrivi al Quirinale e che intorno a lui si realizzi la solita sceneggiata fatta di lodi alla sua “luminosa figura” che è “apprezzata a livello internazionale” . Cosa che, già di per sé, costituisce un’aggravante. Restano le figure più politiche. Come un Pietro Grasso che, da ex magistrato, potrebbe essere trascinato al Colle da una nuova ventata giustizialista. Ma è Renzi, in questo caso, a rendersi perfettamente conto dei pericoli a cui andrebbe incontro. Giuliano Augusto-rinascita |
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