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Ha ragione di esistere oggi la musica rock? |
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Rosario Ruggiero
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Se gli esiti artistici sono ibridi, ovviamente non potranno non esserlo anche quelli della musica che, se in quanto arte è indirizzata alla ricerca estetica, in quanto espressione di istanze collettive è fenomeno sociologico, in quanto opportunità lavorativa è oggetto commerciale, in quanto esercizio di specifiche virtù materiali ha valenze ludiche e spettacolari, e così via. La priorità di ognuno di questi aspetti è prerogativa dei vari generi musicali, così, da differenze di scopi principali e di modalità tipiche, scaturisce un’incalcolabile varietà: musica classica, jazz, folcloristica, leggera, cinematografica, terapeutica, militare, pubblicitaria e più. Sorto come sviluppo ultimo di una lunga serie di fenomeni musicali di forte matrice sociologica (dal jazz, con tutte le sue varietà, alla musica popolare, europea e non), e convergenza delle culture più varie e lontane della terra (africana, inglese, italiana ed oltre), il rock si caratterizza per l’impiego di strumenti elettronici e manipolazione elettronica dei suoni, vigorosa, ostinata incisività di ritmo, aggressività fonica, timbrica ed esecutiva, musicale e verbale, ben congrue modalità di espressione di perentoria ribellione iconoclastica, particolarmente di un mondo giovanile, idealista ed insoddisfatto nei confronti di una status quo conservatore, preesistente ed oppressivo. E se il dinamismo, fisico o intellettuale, scaturisce da tensioni e differenze (come il passaggio di corrente elettrica, lo scorrimento dei liquidi, le rivoluzioni politiche o il più semplice e pacifico scambio di idee), questa modalità espressiva non poteva che trovare terreno fertile nel Nuovo Mondo, in una confluenza di culture più disparate, liberamente aggregate, lì a scontrarsi, affermarsi e sopraffarsi, senza una civiltà locale preesistente (praticamente estinta) e nel lievito di una tecnologia, e conseguente economia, crescente in misura esponenziale, insomma una socialità in fortissimo, imprevedibile divenire con conseguente dilagante problematicità. Fenomeno epocale ed antropologico (e certo anche artistico, nella misura della capacità innovativa delle sue modalità espressive), la musica rock risulta viva e vivace in virtù di una forte contrapposizione sostanzialmente generazionale. Ma una volta annichilita questa contrapposizione (come una volta annullate differenze di potenziale elettrico, di altezza tra punto di partenza e punto di arrivo di un liquido, tra modi di pensare o tra condizioni sociali), quale comunicazione resterà? Quale passaggio di energia? In un epoca, come quella odierna, dove i giovani di allora sono oramai gli uomini maturi di oggi, e dove le nuove generazioni, ben lungi dall’essere in dissidio con il mondo precostituito, in luogo di contrapporvisi tentano passivamente di inserirvisi nel migliore dei modi (anche in massimo disimpegno morale), annichilita ogni più alta idealità, allontanata fino a scomparire ogni prospettiva autenticamente più elevata di vita, uniformati gli individui da valori promossi con grande pervicacia dai mezzi di comunicazione di massa, intimiditi fino alla paralisi da violenze sempre più efferate, ingiustificabili e traumatizzanti spiattellate ogni giorno di più quasi con voluttuoso compiacimento, quale ragione trova di esistere oggi la musica rock, almeno con la sua primigenia sincerità? Quel che potrebbe vivere oggi, in piena sincerità, è forse un canto mesto, avvilito, individuale (per quanto di ogni membro dell’intera collettività), finché non risorgerà una polemica ben consapevole della condizione vigente ed una lucida comprensione delle responsabilità. Nel frattempo il vecchio rock, dirottato dalla protesta al consumismo, volta gabbana, accogliendo la controparte (per età anagrafica e finalità precipue di fama, danaro, successo, vita comoda e miseramente gratificata), proponendo miti e valori individualistici e degradanti (sesso, qualunquismo e più), innalzando personaggi che oramai della giovinezza e della freschezza (fisica e morale) si ostinano, in alcuni casi, solo a conservare la parvenza, o ragazzini perfettamente integrati, assumendo le tinti tristi, ma evidentissime, di una gigantesca, lucrosissima farsa.
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