Chi ha paura della scienza in Italia?
 











Chi ha paura della scienza in Italia? Una mostra con ritratti di donatori di cervello
La perfezione del cervello da cui nasce il pensiero umano? Un reticolo di molecole assemblate a caso dall’evoluzione. La bellezza di uno sguardo capace di rapire il nostro cuore per sempre? Anche. La gioia di un recupero repentino che illumina mesi di malattia nostra o di un nostro caro? Episodico, inessenziale al vero decorso del male. Giorni di pioggia che ci obbligano a un agosto col maglioncino? Irrilevanti per capire se la Terra si scalda o no.
Potremmo continuare per pagine, a elencare tutte le volte che la scienza ci sbatte la porta delle nostre emozioni in faccia, in una corsa senza fine a ridurre le nostre esperienze a “episodi”, e a contraddire quel che ci sembra ovvio. Eppure non possiamo che fidarci. Dobbiamo far tacere la personalissima percezione del mondo che nasce dalla realtà della nostra vita. La scienza è la scienza, un’impresa quasi
perfetta capace di generare conoscenze condivise; autocorreggersi e restituirci la cosa più vicina possibile alla verità. Sappiamo che i risultati di quest’impresa ci sono utili (farmaci, energia, iPhone e aeroplani), e fin qui ci possiamo dire tutti scientisti. Ma se si tratta di accettarne le conclusioni anche quando contraddicono le nostre credenze e le nostre esperienze, allora cominciano i mal di pancia. E nascono i movimenti: contro gli Ogm, contro i vaccini, contro la sperimentazione animale; a favore di Stamina...
DA VANNONI AL MORBILLO
Attorno a questo bisticcio si gioca la capacità del nostro paese di entrare nella modernità, di seppellire una volta per tutte Don Benedetto Croce e la sua sciagurata convinzione che le conoscenze scientifiche altro non siano che robe astratte capaci solo di «mutilare la vivente realtà del mondo».
Basti pensare a quanto «vivente» sia stata la speranza dei genitori della piccola Celeste che hanno affidato la loro bambina
agli intrugli di quel Vannoni arrivando persino a illudersi che le facessero bene. Noi lo chiamiamo “ caso Stamina ”, ma per decine di persone è stata una viventissima illusione. Che, come sempre accade quando un santone buca il video, ha contagiato per mesi l’opinione pubbica, comprensibilmente eccitata all’idea che si potesse fare qualcosa per quei bambini, ma del tutto indifferente alla notizia, arrivata nei giorni scorsi della prima terapia a base di cellule staminali scientificamente dimostrata e registrata dalle autorità europee, scoperta dagli scienziati dell’università di Modena.
Fiumi di inchiostro e ore di talk show per la baggianata di Stamina, qualche trafiletto per la scoperta dei modenesi. Colpevoli, forse, di avere messo sotto i nostri occhi dati solidi e dimostrazioni inoppugnabili della capacità di cura della loro terapia, e non malati disperati, la «vivente realtà» cara a Don Benedetto.
L’affaire Stamina è una faccenda recente. L’ultima a ricordarci
l’opposizione apparentemente insanabile tra la comunità scientifica con le sue verità e noi con le nostre esperienze. Che si saldano con sistemi di valori collettivi fino a creare dei veri e propri movimenti. E così l’Oms aveva un bel puntare a sconfiggere il morbillo entro il 2015, e noi avevamo un bel pensare alla malattia come a una piaga dei paesi poveri; il 7 marzo proprio a Roma una bambina di 4 anni, Giulia, è morta per le complicanze di questa malattia. Non era stata vaccinata. Perché? Perché, insomma, molte delle conoscenze scientifiche diventano oggetto di opposizione sociale, anche violenta?
EPPUR CI PIACE
Cominciamo col dire che non accade solo in Italia. Ma in tutte le democrazie occidentali. Se persino una buona fetta degli americani - coi loro quasi 200 premi Nobel, i più potenti centri di ricerca del mondo, i milioni di dollari investiti e i migliori scienziati del pianeta - è convinta che a metterci su questa Terra è stato un signore con la barba
bianca qualche migliaio di anni fa e non un processo durato milioni di anni di evoluzione della vita.
Centinaia di genitori inglesi si oppongono ai vaccini ben più violentemente dei nostri, forti di un antico principio che lo Stato non può interferire con le decisioni di una famiglia britannica. I tedeschi sono i maggiori consumatori di medicine “oliatiche” nel mondo. E i casi di terapie anticancro miracolose che infiammano l’opinione pubblica sono ovunque all’ordine del giorno. Quindi, sbagliano quelli che tacciano gli italiani di oscurantismo, e ignoranza scientifica. Siamo oscurantisti e ignoranti tanto quanto gli altri. Quel che fa la differenza è che altrove l’opposizione sociale alle conoscenze scientifiche non trova una sponda politica così forte come quella che trova a Roma, che non detta le leggi e i provvedimenti come invece fa nel nostro Parlamento.
Lo dimostrano i dati raccolti dall’“Annuario Scienza Tecnologia Società” (edito da Il Mulino). Stando a quanto riportato
nell’edizione 2015 appena pubblicata, ad esempio: «il livello di alfabetismo scientifico dei cittadini ha raggiunto un picco mai toccato». E, aggiunge Massimiano Bucchi, professore di Sociologia della scienza all’Università di Trento: «Lo stereotipo dell’italiano ottuso è largamente infondato. Ce lo dimostrano i dati raccolti in questi anni. Che, anzi, esplicitano quanto interesse ci sia per le questioni scientifiche nel nostro paese. Pensiamo solo al fatto che in nessun’altra parte del mondo i Festival della scienza sono così frequentati come i nostri; e che nessuna trasmissione televisiva, del settore, al mondo fa gli ascolti di Superquark».
LAUREATI E PRESUNTUOSI
Già, però, poi abbiamo la peggiore legge sulla sperimentazione animale possibile, un’opposizione agli Ogm che manipola tutti i ministri dell’Agricoltura da dieci anni, e una regione come il Veneto che, nel 2007, scrive un’apposita legge per dire che non è obbligatorio vaccinare i bambini. Salvo poi
scoprire, come ha fatto una ricerca della Asl di Verona, che cinque anni dopo i tassi di vaccinazione sono rimasti gli stessi. E scoprire che lo zoccolo duro dei nemici dell’immunizzazione salvavita è composto essenzialmente da laureati, informati e impegnati politicamente. Proprio come i genitori della piccola Giulia morta a Roma per le complicanze del morbillo, due medici.
Fatti questi che diventano regola nel panorama italiano narrati dall’Annuario. E che Bucchi riassume: «L’opposizione ai vaccini, come agli Ogm, come la predilezione per l’omeopatia sono più diffuse tra le persone scolarizzate. Che si sentono istruite e quindi competenti a scegliere».
Le ricerche dei sociologi indicano che siamo nel pieno di quella che Bucchi chiama «crisi dei mediatori». La gente non si informa più sui giornali, dall’amico scienziato, dal medico di famiglia. Va su Internet. Ma, attenzione, non a cercare vaghezze sui social network, i più vanno direttamente alla fonte: leggono i lavori
scientifici, surfano i siti delle grandi università, seguono i blog dei ricercatori. Così entrano in contatto con una marea indistinta di informazioni (tutte attendibilissime), ma troppe perché un cittadino comune possa orientarsi, e men che meno fare una sintesi. E allora, di fronte a questo oceano, per farsi un’idea usano il loro personalissimo sentimento.
FEDE CONTRO FEDE
Il professore della Yale University Dan Kahan si è chiesto in che modo i cittadini decidano di avere o meno paura degli Ogm, del riscaldamento globale, delle biotecnologie, o, magari, di fidarsi di Vannoni. E ha scoperto che lo fanno sulla base di «valori profondi», selezionando con cura sia le informazioni che sono conformi a questi valori sia riconoscendo autorevolezza agli esperti che li confermano tenendo, invece, in poco conto quelli che sostengono posizioni contrarie. E così persone con culture diverse si formano opinioni diverse sul medesimo fatto, senza tener conto della verità
scientifica.
Questo accade, aggiunge Bucchi, perché «i temi su cui l’opinione pubblica si trova in conflitto con le acquisizioni scientifiche hanno una natura ibrida. Sono questioni tecniche, ma il pubblico le percepisce come politiche». E così a formare il giudizio concorrono atteggiamenti che non hanno niente a che fare con la verità fattuale: la critica alle multinazionali dei semi o dei farmaci, percepite come invasive e luciferine; il rapporto col cibo; la sfiducia nelle istituzioni che si allarga a quelle scientifiche; l’adesione a dogmi religiosi. Atteggiamenti che coagulano gruppi molto coesi, attorno a una credenza che sembra quasi una fede.
E un gruppo molto coeso attorno a una fede sono anche gli scienziati che oppongono apoditticamente la loro verità mentre sarebbe di gran lunga meglio, aggiunge Bucchi: «far crescere un atteggiamento critico, aperto ed equilibrato. Laico». Ovvero spingere l’acceleratore più sulla validità del metodo scientifico, sul valore del dubbio
che muove ogni ricerca scientifica, sui suoi limiti e le sue potenzialità. Mentre, suggerisce Bucchi: «I paladini della scienza fanno troppo spesso dichiarazioni di principio». Altezzosi, spesso odiosi perché chiusi nelle loro torri d’avorio.
POLITICI DA RIFORMARE
Ma nello scontro tra fedi, c’è un convitato di pietra. Che finisce il più delle volte col prendere le decisioni sbagliate. È la politica che asseconda gli umori dei movimenti. Sono gli uomini e le donne del Parlamento che si dimostrano i veri oscurantisti e, chiosa Bucchi: «si comportano pensando di assecondare i desideri del pubblico. Ma spesso non hanno una rappresentazione corretta di quello che vogliono davvero i cittadini».
I quali, ad esempio, sono nella stragrande maggioranza (il 67 per cento) favorevoli alla procreazione medicalmente assistita, regolamentata dal Parlamento con la legge più oscurantista che si potesse mai scrivere. Legge peraltro confermata da un referendum che chiamava in
causa gli stessi cittadini. Un bel pasticcio. «Non tanto», chiosa Bucchi: «Al momento di andare a votare il merito passa in secondo piano e prevale l’affiliazione con la propria parte». Quello che di certo non ha avuto peso sono state le decine di prese di posizioni degli scienziati che spiegavano come e perché quella legge non ha senso. Perché, nelle mille sfumature del complesso rapporto tra gli italiani e la scienza, vi è di certo che la comunità scientifica è del tutto incapace di influenzare le scelte dei governi.
Quando non ne è completamente subalterna. E l’opinione pubblica lo sa. L’84,4 per cento degli italiani, secondo l’Annuario 2015, ritiene che la scienza sia «troppo condizionata dalla politica». Basta vedere la pantomina andata in scena a L’Aquila. Con i tecnici condannati in primo grado (e poi assolti) perché nei giorni precedenti il sisma - sostennero i giudici - avevano rassicurato la popolazione, trasmettendo informazioni «inesatte, incomplete e
contraddittorie».
Assolti i membri della Commissione Grandi Rischi condannati in primo grado per omicidio colposo per non aver allertato la popolazione del sisma imminente. Oggi quella storia ingarbugliata si risolve con una semplice verità: la scienza non dà certezze, è la politica che deve usare le sue ipotesi per proteggerci
I membri della Commissione tecnico scientifica hanno avallato le dichiarazioni del vice della Protezione Civile, Bernardo De Bernardinis, il quale ha rassicurato la popolazione, a suo dire, proprio sulla base delle rassicurazioni a sua volta ricevute dagli scienziati. Certo non colpevoli perché nessuno può prevedere un terremoto, ma di certo anche ambigui nell’avallare implicitamente le rassicurazioni di De Bernardinis. Senza nemmeno suggerire l’ombra del dubbio. A L’Aquila è andata in scena la subalternità dei tecnici nei confronti della politica. E la vicenda è una triste parabola dei rapporti tra la scienza e il potere nel nostro paese. Dove vince
sempre la ragion politica. Daniela Minerva,l’espresso