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Pino Daniele ed Aldo Ciccolini ad un anno dalla scomparsa |
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Rosario Ruggiero
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Che la musica sconfini tranquillamente in ambito sociologico fino a diventare, non di rado, chiaro documento di un’epoca, è realtà, se non comunemente riconosciuta, certo facilmente rilevabile, né smentisce questa sua pur preziosa peculiarità in questi nostri ultimi tempi. Il 4 gennaio dello scorso anno finiva Pino Daniele, pochi giorni dopo, il 1 febbraio, concludeva la sua vita mortale Aldo Ciccolini. Musicisti e napoletani entrambi, il primo sposerà la causa della canzone partenopea inglobandovi stilemi e, nei testi, vocaboli anglosassoni con quella passività che si usa nobilitare con il termine “contaminazione”, sicuramente senza sconvolgere più di tanto un ordinario conoscitore di quelle particolari modalità musicali, né certo far gridare al miracolo espressivo qualsiasi onesto letterato; l’altro intraprendeva giovanissimo una carriera di concertista di pianoforte che, ai massimi livelli, durerà oltre settanta anni, conterà una infinità di esibizioni per tutto il mondo ed oltre cento incisioni discografiche, spaziando in un repertorio praticamente illimitato che includerà pagine di estrema consuetudine concertistica ed esecuzioni di ben più raro ascolto, divulgando magnificamente l’opera esemplare di maestri massimi, lavori di autori meno frequentati, ed affiancando a tanto impegno culturale anche una prestigiosa attività didattica. Meriterà la naturalizzazione francese (espressamente offertagli dal ministro della cultura d’oltralpe), vari premi discografici, nonché a Roma il Premio “Vittorio De Sica”, a Venezia il Premio “Una vita nella musica Arthur Rubinstein”, a Milano il premio “International Classic Music Awards” ed in Francia le onorificenze di “Officier de l’Ordre nationale du Merite”, di “Officier de la Legion d’Honneur” e di “Commandeur des Arts et des Lettres”. La sua dipartita ha lasciato assolutamente indifferente la città natale; al musicista Pino Daniele, a dispetto di qualunque lungaggine ed impedimento burocratici (pur notoriamente così frequenti nel nostro paese) è già stata intitolata una strada. Demagogia? Malizioso populismo? Ribaltamento di valori (di cui ci sarà poi da chiedersi quanto lecito)? È stato fatto altrettanto per Claudio Abbado? Ed a Napoli, per Domenico Scarlatti, un gigante che tutto il mondo non può che invidiarci, ed a cui la storia della musica deve un prepotente contributo all’affermazione di modalità (incisività ritmica, attenzione armonica, melodia accompagnata) così care alla stragrande maggioranza delle composizioni musicali di qualsiasi genere dal Settecento ad oggi? A meno che non si stia inopportunamente comparando valori sociologici (e, ahimè, di triste significatività) con valori estetici, non si può che esclamare “O tempora, o mores”, come lamentava Cicerone già prima della nascita di Cristo, se non fosse che la tanto lunga perseveranza nei secoli di questa stupita verità annichilisce completamente la specificazione cronologica della sua prima parte. |
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