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A Forcella la vita di Enrico Caruso |
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di Rosario Ruggiero
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Alla presenza di autorità politiche si è recentemente tenuta a Napoli, nel popolare quartiere di Forcella, tra le pareti della biblioteca “Annalisa Durante”, giovane istituzione sorta dai locali di un vecchio cinema, un’iniziativa organizzata dal Club Lions Castel Sant’Elmo di Napoli, dal titolo “Amore e sofferenza nella vita e nel canto di Enrico Caruso”. Oratore (tecnicamente coadiuvato da Carlo Scippacercola e Gennaro Lieto per le proiezioni e gli ascolti discografici), Teodoro Cicala, appassionato di vocalità belcantistica e partenopea, straordinario collezionista di ben circa diecimila diverse incisioni su antichi dischi, ma pure di grammofoni elettrici e meccanici, nonché relatore in occasione di conferenze su personaggi, modalità e luoghi della canzone classica napoletana come Raffaele Viviani, i musicisti girovaghi o il caffè concerto. È stata così sciorinata la biografia di colui che con ogni probabilità è stato la più illustre ugola d’oro di tutti i tempi, dalla nascita, in via San Giovanniello agli Ottocalli, 7, da Anna Baldini e Marcellino, operaio metalmeccanico, originari dell’attuale Piedimonte Matese, all’impiego in fonderia, a soli dieci anni, la sommaria istruzione impartitagli in principio dalla madre, le prime esecuzioni vocali in chiesa, quindi sugli stabilimenti balneari, il servizio militare iniziato, poi lasciato al fratello, il debutto teatrale, le stecche, i trionfi, la gloria, l’incontro con Giacomo Puccini, il melodramma “Fedora”, che il suo magico canto, a generale giudizio successivo, “fe’ d’oro”, gli amori, i tradimenti, la superstizione e l’esperienza discografica che ne farà il primo cantante ad incidere ben oltre un milione di copie con la sola aria “Vesti la giubba”, da “Pagliacci”, capolavoro dell’altro grande musicista napoletano Ruggero Leoncavallo (in un’epoca, si osservi, in cui la conoscenza, la diffusione e gli spazi di utilizzazione del disco erano incontestabilmente ben meno capillari ed agevoli di oggi), inframmezzando tanto ampia illustrazione con ascolti attinti dalla pantagruelica raccolta del relatore. Nessun particolare approfondimento critico, sostanzialmente il racconto divulgativo di una vita nata nella povertà e conclusa nella storia, ma certo operazione particolarmente congrua e preziosa nel contesto urbano scelto e nella struttura adottata che proprio quel contesto cittadino (che pure ha saputo dare al mondo dell’arte il nome di Nino Taranto) intende elevare e portare al riscatto con la cultura, la consapevolezza della migliore parte di se stessi ed altri sani valori. Serata che non può quindi che essere salutata con encomio augurandole seguiti analoghi ed i più fausti risultati civili, nonché accogliendo e rilanciando l’osservazione, ed il sottinteso invito racchiuso, che colui che è stato tra i più grandi cantanti lirici di ogni luogo e di ogni tempo, il tenore per antonomasia, con musei già a lui dedicati in varie parti d’Italia e del mondo, proprio nella sua città natale non trova ancora una istituzione pubblica stabile che lo ricordi, lo onori, lo documenti, doverosamente lo divulghi. |
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