Un Don Giovanni napoletano in attesa di rappresentazione
 







Rosario Ruggiero




“Nulla di nuovo sotto il sole” è la locuzione biblica entrata nell’uso comune ad intendere mancanza di novità, realtà, quest’ultima, da cui neppure la storia dell’arte dei suoni talvolta riesce a dispensarsi.
Così, nell’ambito della musica leggera, la modalità adottata da Domenico Modugno nella canzone “La lontananza”, di far precedere la parte cantata da un momento introduttivo parlato, trova antico, illustre precedente operistico nel “recitativo ed aria”, dove appunto l’aria, espressione chiaramente canora, viene introdotta da un momento sostanzialmente declamato.
E, circa la stessa canzone, è mio personale ricordo l’intervento che fece Enrica Bonaccorti, coautrice con Modugno de “La lontananza”, ad una trasmissione televisiva, nella quale illustrò l’origine della frase ispiratrice di quel testo, “La lontananza, sai, è come il vento, spegne i fuochi piccoli ma accende quelli grandi”, come affermazione rivolta a lei, in occasione di un
commiato, da un suo giovanile amore, il quale evidentemente non aveva fatto altro che riportarle una massima dello scrittore secentesco François de La Rochefoucauld, secondo la quale “Come il vento spegne le candele ed alimenta gli incendi, così la lontananza spegne i piccoli amori ed accresce le forti passioni”.
Allo stesso modo, nel XVI secolo, epoca evidentemente lontana da certo accanimento verso la tutela dei, talvolta incredibilmente lucrosi, diritti d’autore e dalla dignità che si conferisce oggi agli spiriti creativi (anche se non di rado con un abuso che rasenta lo scandalo), era in uso la “messa parodia”, ossia pagine musicali per la funzione religiosa che adottavano melodie altrui, anche profane e ben lungi da quella loro nuova utilizzazione. Già il solo sommo Giovanni Pierluigi da Palestrina ne compose diverse decine.
Non apparirà peregrina, allora, la recente idea di Anna Maria Siena Chianese, giornalista e scrittrice generosa, dagli ampi interessi (“Economia
Politica”, “La Nobiltà napoletana, oggi”, “Passeggiata Flegrea”, L’isola di Capri e la costiera amalfitana”, “Viaggio sentimentale nella letteratura italiana”), di scrivere, coadiuvata da Maria Regina De Luca, un “Don Giovanni napoletano”, dramma giocoso in due atti, come chiarisce il sottotitolo, stampato da “Guida editori”, nel quale la celebre opera mozartiana su testo di Lorenzo Da Ponte viene rivisitata con largo uso di canzoni classiche napoletane e non solo. 
Il merito dell’idea e la sensibile intenzione che la sostanzia sono da ravvisare nella sottolineatura di un’universalità del messaggio di certa produzione sonora partenopea che rende quella produzione duttile e che, profondamente, è la vera ragione dell’arte. Una sottolineatura che si contrappone ad un  uso squisitamente folcloristico e commerciale che viene fatto di quel patrimonio partenopeo, vieppiù così dilagante da caratterizzarne l’ingenua ed ignorante considerazione di tanti e svilirne il sostanziale,
limpido spessore di superbe creazioni, sia quando uscite da insigni, erudite penne ed interpretate da indiscutibili, celeberrime voci, che da, altrimenti sconosciuti, esperti, semmai di formazione culturale spontanea, ma dagli esiti artistici poi sinceramente ammirati da incontestabili giganti come Giacomo Puccini o Richard Wagner.