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“Napoli: allegro, ma non troppo”, ovvero quando la musica racconta la storia |
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Rosario Ruggiero
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Con due lauree conseguite con il massimo dei voti, in Giurisprudenza ed in Scienze Politiche, ed un’ampia carriera forense che lo ha visto Avvocato della Provincia, Avvocato Capo ed insignito dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli della medaglia d’oro al Merito Forense, Teodoro Cicala trova anche il tempo di coltivare una straordinaria passione per il belcanto e la tradizione musicale partenopea collezionando migliaia di rarità discografiche ed antichi grammofoni a manovella in perfette condizioni di funzionamento che gli restituiscono l’arte canora di Enrico Caruso, Beniamino Gigli o Francesco Tamagno, ma pure splendide canzoni classiche napoletane nell’interpretazione di voci storiche quando non addirittura leggendarie. Una competenza musicale, la sua, che non lesina, ed allora conferenze e libri si succedono con generosità. Ultima sua fatica editoriale, il volume, “Napoli: allegro, ma non troppo. La canzone, colonna sonora della nostra storia”, oltre trecento pagine, pubblicate da Grauseditore, nelle quali lo studioso sciorina doviziosamente fatti, testi e citazioni, corroborandoli con puntuali riferimenti bibliografici, realizzando un testo che, per quanto sostanzialmente riferisca, non congetturi, l’autore astenendosi da qualsiasi personale ipotersi interpretativa, resta sicuramente prezioso per ogni cultore della musica, della storia o della napoletanità. Prefato da Ermanno Bocchini e diviso in nove capitoli (“’E prufessure ’e concertino”, “Cafè, Cafè Chantant, Cafè-concerto”, “Il Tabarin: storia e musica degli anni ’20”, “L’emigrazione tra Napoli e il mondo”, “1935-1940: Faccetta nera”, “1940-1945: Vincere! Vincere! Vincere!”, “Piedigrotta: leggenda e storia”, “Raffaele Viviani. Un artista tra la sua gente”, “Amore e sofferenza nella vita e nel canto di Enrico Caruso”), questo libro, che intende evidenziare l’arte canora come sottile documento epocale, appartiene sicuramente a quella produzione, legata alla città del Vesuvio, che fugge oleografia e folclore, per testimoniare, invece, l’impagabile contributo culturale al mondo del capoluogo campano (un contributo che pare, ogni giorno di più, ci si ostini a voler far dimenticare o ignorare) sacrificando in tal modo, e non è piccolo motivo di lode, particolarmente in questi nostri giorni tanto materialmente avidi e spiritualmente incolti, la facile popolarità a beneficio della conoscenza più autentica e profonda, il meschino commercio a vantaggio della più rigorosa etica intellettuale. |
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