SOMALIA: SI DIMETTE YUSUF, ’NON HO PORTATO PACE’
 











"Avevo promesso di restituire il potere se non fossi riuscito a riportare la pace, la stabilità e la democrazia in Somalia. Ho quindi deciso di restituirvi il potere": con questa dichiarazione resa al parlamento di transizione a Baidoa il presidente somalo, Abdullahi Yusuf Ahmed, ha rassegnato stamani le sue dimissioni. Subito dopo Yusuf ha lasciato il parlamento ed è volato verso la regione semiautonoma del Puntland.
"Ho firmato la lettera di dimissioni - ha aggiunto Yusuf - e ho consegnato il potere al presidente del parlamento", Aden Mohamed Nur, che assume così a interim la funzione di capo dello stato. "Ho fatto del mio meglio per servire il popolo somalo e per promuovere la riconciliazione. Ho partecipato a tutte le conferenze di riconciliazione dal 1991 (quando iniziò la guerra civile, ndr) e liberato il Paese dalle Corti islamiche", ha detto ancora, aggiungendo una critica alla comunità internazionale, accusata di aver "promesso maggiori
aiuti per il popolo somalo", promessa, ha aggiunto, "che non è stata onorata". "Non eravamo capaci di pagare gli stipendi e il sostegno logistico alle forze armate. L’esercito - ha concluso il presidente dimissionario Yusuf - si è quindi disintegrato, incapace di combattere gli estremisti" islamici.
Da ieri era iniziata la fuga dei parenti e dei più stretti collaboratori del presidente, di cui il 24 erano state annunciate le dimissioni, formalizzate oggi. Secondo Shabelle, autorevole network somalo, oltre una trentina tra parenti di Yusuf, deputati e familiari di guardie del corpo presidenziali hanno lasciato Baidoa (ovest della Somalia, vi ha sede il Parlamento) in aereo, in direzione del Puntland, regione semiautonoma nel nord ovest del Paese, considerata un ’feudo’ del presidente e da dove vengono tutte le guardie pretoriane. La stessa fonte aggiunge che quasi contemporaneamente da Mogadiscio sono partiti altri 125 fedelissimi del presidente coi loro congiunti, tra cui numerose
donne e bambini che alloggiavano nel palazzo presidenziale. C’é, stando a fonti concordi, forte timore di una resa dei conti tra gruppi rivali.Ansa