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Piccola antropologia dell’ascoltato musicale
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di Rosario Ruggiero
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A dimostrare l’attuale arretratezza di diffusione culturale della musica, almeno nel nostro Paese, basterà semplicemente osservare quante persone leggono e scrivono più o meno correttamente la lingua nazionale e quante sanno invece leggere, scrivere la musica e suonare decorosamente uno strumento, oppure considerare quanti individui conoscono il significato autentico di parole che pure adoperano quotidianamente come ritmo, sincope, arpeggio, armonia, melodia, scala, tonalità e tante altre ancora. Eppure è certo assai difficile trovare, specialmente tra gli uomini, chi non distingua, nell’ambito della pratica agonistica, l’equitazione dal nuoto, il ciclismo dalla pallavolo; al tempo stesso non sono rari individui per i quali una sonata, una sinfonia, un madrigale, un rondò, un mottetto, una fuga, un preludio, una toccata, una passacaglia, un poema sinfonico, finanche un valzer o una marcia è semplicemente una… canzone. Uno dei mali dell’ignoranza, purtroppo, è di finire spesso col generare in qualcuno l’inclinazione verso una sorta di esercizio di potere, non è troppo difficile allora trovare insegnanti di strumento musicale che quando non sortiscono effetti didattici sul discepolo lo accusano di non avere talento, o critici musicali ed interpreti che quando il pubblico è perplesso di certe esecuzioni lo incolpano di essere incompetente. Ed il pubblico, ed i genitori di quegli aspiranti musicisti, ad umiliarsi sotto quelle accuse. Ma se un bambino di sei o sette anni che frequentasse la scuola, oggi non sapesse scrivere, noi non diremmo che non ha talento, ma che l’insegnante non sa fare bene il suo dovere, e difficilmente sbaglieremmo. Certo saper leggere e scrivere non significa necessariamente essere Dante Alighieri o Giacomo Leopardi, come saper suonare decorosamente uno strumento musicale non significa essere Paganini, Liszt o Segovia, ma se praticamente tutti riescono più o meno ad impugnare una penna e stilare parole, è difficile pensare che non possano anche maneggiare più o meno efficacemente uno strumento musicale. Né, circa l’ascolto della musica, per essere suggestionati dai suoni è necessaria tanta dottrina. Il profumo di un fiore piacerà anche ignorando i segreti chimici della sua fragranza ed i meccanismi psichici e fisici della nostra percezione olfattiva, e le ninnananne hanno da sempre saputo acquietare ed assopire un’infinità di pargoli senza che questi sapessero alcunché di tonalità ed accordi. La musica sortisce effetti fisiologici su molti animali, forse finanche sulle piante. Sì, è indubbio che si arricchirà di una più ampia comprensione intellettuale, ma se Beethoven o Chopin avessero scritto musica solo per chi la potesse comprendere appieno, almeno quanto loro, quanti ascoltatori li avrebbero potuti apprezzare? La musica deve comunicare emozioni con i suoni ed i silenzi, come la pittura con il disegno ed i colori. Se un musicista riuscisse a far piacere una sua musica che ha lasciato perplessi spiegandola con le parole, bisognerebbe dirgli sì bravo, anzi bravissimo, ma come oratore, giammai come maestro nell’arte dei suoni. E giacché l’esito di un ascolto è il risultato della musica e della sua esecuzione, se ci lasciano perplessi o annoiati ascolti di musiche celebrate nei secoli, probabilmente la responsabilità ricade sull’esecuzione del momento. Ovviamente qui si parla di ascolto e valutazione squisitamente estetica, indipendentemente dalle altre implicazioni della musica che possono essere la rievocazione di esperienze personali, come il ricordo di luoghi e persone, significati simbolici, come quello patriottico, di denuncia e protesta civile, o la capacità di favorire momenti di aggregazione e di svago, come tanti affollatissimi e chiassosi concerti odierni. Il ruolo del critico musicale, quando è in buona fede, sarà allora, in virtù della sua dottrina, quello di distribuire le responsabilità dell’esito di un ascolto, giammai sovrapporre ad esso la propria eloquenza facendo così retorica, non onesta analisi. Dovrà allargare le nostre idee, non imporre la sua volontà. Perciò un ascolto musicale, come uno spettacolo teatrale o un’opera d’arte figurativa, potrà piacere o meno; poi verranno i commenti, che serviranno a spiegare le ragioni dell’esito, mai pretendere di modificarlo. Nel frattempo le sale da concerto continuano ad essere affollate sostanzialmente da pochi tipi diversi di spettatori: l’ambizioso studente di musica, lì a cogliere quintessenze dell’arte di far musica da emulare, coltivando così profondi sogni di gloria; l’ascoltatore esperto, alla ricerca di sempre nuove sfumature espressive e vibrazioni dell’anima; e, su tutti, la signora ingioiellata ed il personaggio di successo, a compiacersi della loro stessa presenza, lì per essere visti molto più che per ascoltare, a godersi il momento null’altro che per poterlo poi raccontare con enfasi l’indomani per l’invidia dei loro ascoltatori, indipendentemente dal reale risultato estetico dell’evento, e che hanno spesso al fianco accompagnatori pazienti e rassegnati. Quanto i teatri devono la loro sopravvivenza a questi ultimi personaggi! Tra tanto pubblico, infine, vi è il neofita, desideroso di conoscere e godere i celebrati sortilegi incantatori dell’arte dei suoni. E quando si troverà all’esibizione di quei sacerdoti della musica, spesso anche di grande professionalità, ma tanto noiosi, rimarrà perplesso, si ricorderà di… essere incompetente, vedrà tutti gli altri spettatori intorno battere le mani e le batterà anch’egli, per nascondere agli altri la sua convinzione di essere l’unico a… non aver capito, senza saper rendersi conto che molti di quegli altri in quella sala stanno facendo esattamente come lui. E sul palcoscenico i musicisti ad inchinarsi con gioiosa prosopopea. Eppure uno strumento scientifico per misurare la bontà di un concerto, come di qualunque altro spettacolo, esiste, è stato inventato da tempo ed è alla portata di tutti. È l’orologio, ed usarlo alla scopo è anche assai semplice. Basterà semplicemente guardare l’orario all’inizio dello spettacolo, godersi l’esibizione, al termine stimarne la durata e poi leggere nuovamente l’ora. Se il tempo realmente trascorso sarà stato all’incirca uguale al tempo stimato, lo spettacolo si potrà dire essere stato onestamente gradevole, se il tempo trascorso sarà stato molto minore di quello stimato, ed un’ora di spettacolo ci sarà parsa essere durata anche un’eternità, allora la differenza dei tempi sarà stata purtroppo tutta molestissima noia fino a casi estremi in cui potrà essere stata addirittura penosa tortura, un autentico sequestro di persona. Ma se una qualsiasi porzione di spettacolo ci sarà sembrata volata in un attimo, allora, e solo allora, per tutto il tempo che non ci è parso essere trascorso, si sarà verificata l’incredibile magia, saremo stati rapiti a noi stessi e si sarà perpetuato così il più alto miracolo dell’arte, che è al tempo stesso lo scopo più profondo della nostra vita: svincolare la nostra fugace esistenza dalla mortificante catena del tempo. |
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