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Bambini prodigio o scimmiette ammaestrate? |
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di Rosario Ruggiero
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Cos’è l’arte profondamente se non espansione di umanità attraverso un opportuno tecnicismo? Il pittore impara ad utilizzare i colori ed i tratti, il musicista i suoni ed i silenzi, l’architetto le masse e gli spazi, lo scultore la duttilità della materia, il poeta la virtù delle parole, quindi, ognuno di essi, esprime un mondo, certo collettivo, ma filtrato attraverso la propria personale individualità. Il magistero tecnico sarà stato acquisito con paziente, lunga e dedita applicazione, l’individuale umanità costruita quotidianamente, con l’assimilazione delle proprie esperienze, il tenace perseguimento delle proprie intenzioni, e sarà il prodotto di componenti psichiche, intellettive, caratteriali, ma pure di casualità e, soprattutto, di tempo. Sì, l’umanità di ognuno di noi può sicuramente intendersi anche come il frutto che abbiamo saputo trarre dal nostro tempo vissuto. Ognuno forse inizia con un patrimonio differente, ma tutti siamo nella possibilità di farlo fruttificare proficuamente o miseramente dilapidarlo. Se studiamo allora le biografie di tanti geni dell’arte, ma il discorso è facilmente estensibile a molti altri ambiti, si osserverà un primo periodo di acquisizione del patrimonio tecnico e culturale preesistente, quindi, via via, la sempre maggiore definizione di scelte stilistiche, espressive e tematiche tutte proprie, originali, innovative. Le prime sonate per pianoforte di Ludwig van Beethoven, ad esempio, tanto settecentesche nel timbro e nel carattere ma subito robuste nelle sonorità ed ampie nella struttura a tradire un forte anelito di superamento, passando attraverso l’esplorazione delle risorse espressive dello strumento con le vaghezze da notturno del primo movimento della sonata “Al chiaro di luna” o le continue contrapposizioni di timbro e registro della sonata detta “La tempesta”, sfoceranno nelle personalissime atmosfere eteree, impalpabili, oniriche e visionarie delle opere 101, 109 e 110. Ma pure il ponderoso lavoro di formazione culturale giovanile di Giacomo Leopardi, il “Volli, sempre volli, fortissimamente volli” di Vittorio Alfieri, gli alacri studi preparatori di Leonardo da Vinci ai fini di esiti scientifici ed artistici, ed infiniti altri esempi, non fanno che corroborare quanto si sta asserendo. Quella smania tanto caratteristica del neonato, che lo spinge subito all’esplorazione dei luoghi e degli oggetti, si sublima in alcuni adulti nella ricerca infinita della comprensione del mondo materiale con la scienza, del mondo emozionale con l’arte, concettuale con la filosofia, ultraterreno con la ricerca ascetica e del dominio della materia e delle forze della natura con l’approfondimento tecnologico. L’artista, lo scienziato, il filosofo e chiunque altro miri a valicare allora limiti preesistenti è come chi cerchi di toccare altezze sempre maggiori. Se ingenuo tenterà con le sole proprie forze di spiccare salti sempre più alti, ma non potrà elevarsi mai più di tanto; se sagace costruirà invece un’alta base mettendo insieme ciò che gli è utile di quanto già esistente, su questa salirà, quindi spiccherà il suo balzo, che lo porterà allora più in alto di quanto mai precedentemente raggiunto. Ma per questo occorre evidentemente lavoro e, soprattutto, tempo. D’altronde esiste poderoso edificio di pensiero filosofico partorito da mente bambina? Profondo capolavoro letterario, lirico, narrativo o drammatico, scaturito da una penna infante? Rivoluzionaria teoria scientifica concepita da una intelligenza, per quanto acuta, ancora imberbe? Wolfgang Amadeus Mozart è stato un genio della musica, ma la sua genialità non è nella precocità dell’approccio, tra l’altro spinto e sostenuto in ogni modo dal padre, quanto nell’evoluzione degli esiti. L’umanità di un uomo, per crescere ed ingigantirsi meravigliosamente, ha bisogno di molto. Meno pretenziosa invece è l’acquisizione tecnica, che sa accontentarsi anche solo di sapienza didattica e tenace esercizio. Da qui il particolare fenomeno dei bambini prodigio in alcuni ambiti, tra i quali sicuramente l’esecuzione musicale. Fenomeno, a ben osservare, sempre meno raro ed abbastanza limitato a campi specifici, proprio a conferma più di risultati tecnici che ampiamente creativi. È poi davvero tanto prodigioso padroneggiare uno strumento musicale in età verde? Il cervello di un bambino normale, nei primi anni di vita ha la “prodigiosa” capacità di imparare ad amministrare l’uso dell’organo fonatorio per la corretta produzione delle parole, nonché delle numerose e complesse regole di un idioma, e, si badi bene, regole acquisite non solo in maniera passivamente mnemonica, ma per induzione, giacché il bimbo spesso ingenuamente sbaglia le eccezioni della lingua (dicendo ad esempio “i diti” anziché “le dita”) perché applica rigorosamente regole generali, a conferma di una capacità autonoma di astrazione ed applicazione di norme ricavate dall’ascolto. Ma pure, quel giovane cervello, è in grado di acquisire presto il difficile controllo della postura eretta del corpo nella deambulazione e nella sosta, l’efficace prensione delle mani, l’innaturale capacità di impugnare una penna e stilare parole copiandole, e decodificando così la scrittura altrui, o ascoltandole, correlando in questo modo suoni, precetti ortografici e segni. Saprà ricordare luoghi e persone, svilupperà la virtù della creazione fantastica ed infinite altre capacità ancora. È allora così tanto straordinario che un ragazzino possa anche maneggiare uno strumento musicale? Circa poi il livello tecnico, questo è il risultato di buoni insegnamenti ed applicazione. I primi si potranno ottenere da un buon insegnante, la seconda da un desiderio dei risultati felicemente stimolato, ma a volte purtroppo anche tristemente preteso, dall’ambiente che lo circonda. L’effetto finale è sorprendente per la precocità dell’inizio di tale sorta di studio e per la mancanza, in tanta parte di pubblico, di aver mai fatto altrettanto, cioè nel fatto che il saper suonare, per tante persone, è già di per sé cosa fuori dell’ordinario. Anche i numeri circensi sono frutto di controllo psico-motorio, insegnamento e dedizione. Ed anche qui i bambini prodigio proliferano. Ma il risultato estetico è sostanzialmente di sorpresa e di stupore, ben difficilmente di rapimento estatico. Ben lo sanno proprio gli organizzatori degli spettacoli dei circhi che fanno sì succedere numerose, diverse, sorprendenti esibizioni, ma ognuna della durata di pochi minuti perché allo stupore non si sostituisca la noia. Similmente nell’arte il bambino prodigio se facilmente stupirà, ben più difficilmente rapirà l’anima dell’ascoltatore, la sua esibizione accarezzando maggiormente quel tipo di curiosità che un tempo l’uomo rivolgeva alla donna cannone, la donna barbuta, la scimmietta ammaestrata ed altri fenomeni da baraccone. Questo non significa certo che un musicista, un ballerino, un attore o un disegnatore giovanissimo sia un mostro grottesco o un’aberrazione del genere umano, semmai sono aberrazioni le pressioni esercitate sul fanciullo perché a tutti i costi sia sorprendente, e la piccolezza di certo pubblico che sceglie la meraviglia all’incantesimo, la stravaganza all’estasi. Quel pubblico che celebra con clamore il primo classificato e già snobba il secondo, spesso, tra l’altro, affidandosi ingenuamente al giudizio altrui, da qui l’abbondanza di gare e concorsi ed il paradosso di essere questi agoni poi tanti da perdere probante attendibilità o almeno lasciarne sorgere il dubbio. Ben vengano fanciulli che, come sanno scrivere, leggere e far di conto, pratichino, e bene, la musica, ma il Michelangelo della Cappella Sistina, il Leonardo della Gioconda, il Dante della Divina Commedia erano lontani dall’essere bambini. L’arte è il vero prodigio, ed è estremamente selettiva, certo, ma non discrimina a priori, sì che per elargire le sue meraviglie chiede tempo e passione, ma, si badi, difficilmente si lascia affascinare da “piccolezze” anagrafiche. |
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