Le società moderne sono degli universi molto differenziati, e non ci si trova mai nel posto che si vorrebbe occupare
 







di Guido Caldiron




«Le società moderne sono degli universi molto differenziati, e non ci si trova mai nel posto che si vorrebbe occupare. Questo produce una grande quantità di sofferenza che non viene presa sul serio». Pierre Bourdieu spiegava così all’inizio degli anni Novanta la fotografia drammatica della realtà sociale francese che emergeva da La Misère du monde , il volume redatto sotto la sua direzione da un’équipe di ricercatori e pubblicato da Seuil. Qualcosa del genere, nel nostro paese non è mai stato realizzato. Così le grandi trasformazioni che hanno caratterizzato, e impoverito in larga misura, le nostre metropoli scontano ancora oggi un’assenza quasi totale di studio e di narrazione. Se poi dal piano generale ci si sposta ai singoli casi locali, questa o quella città, questo o quel quartiere, la situazione non cambia: poche le ricerche, pochissime le ricostruzioni storiche o sociologiche che diano conto delle radici del presente, che spieghino come e perché si è arrivati a quell’"oggi" così compesso da leggere per le culture delle sinistre lungo le pieghe della mappa metropolitana.
Eppure la riflessione sui "luoghi" e sul "territorio" è divenuta centrale non fosse altro che per la sua capacità di condensare, non solo simbolicamente, una parte almeno della crisi che attraversa il "mondo progressista". Solo pochi giorni fa Ilvo Diamanti rifletteva su Repubblica sull’apparente paradosso rappresentato dal fatto che nel nostro paese, ma il fenomeno è ben più largo in Europa, «la destra ha fatto del territorio un fondamento della propria identità». «L’identificazione del governo e di Berlusconi con i "luoghi del degrado e della ricostruzione", della morte e della rinascita. - (l’Abruzzo del terremoto e la Napoli dello scandalo monnezza), nda - E, insieme, il legame della Lega con il territorio e in particolare con il Nord», «rendono più evidente, per contrasto, la distanza dell’opposizione di sinistra dal territorio». Gli eredi
politici e culturali di chi ha dato un tempo voce alle città e alle regioni "rosse", spiega Diamanti, sono oggi affacendati in altre faccende. Fino, appunto, al paradosso: «Si assiste, così, a un singolare - e oseremmo dire: storico - rovesciamento delle parti. Mentre la destra costruisce e inventa i suoi luoghi, la sinistra li ha dimenticati». E tra questi "luoghi dimenticati", le periferie urbane hanno ormai acquistato la fisionomia di vero e proprio "scenario della crisi". Anche perché al fiasco delle forme tradizionali di organizzazione del movimento operaio e dei partiti della sinistra, si cominciano ormai ad affiancare nelle nostre banlieue anche la difficoltà e la stanchezza di molte delle esperienze che avevano riempito di nuovi segni e nuove soggettività questi luoghi nel corso degli ultimi vent’anni.
Non solo, la periferia è nel frattempo cambiata sotto gli occhi di tutti, compresi coloro che cercavano e cercano ancora oggi di tenervi aperti degli spazi di confronto e
organizzazione culturale e politica. Come ha scritto Walter Siti, autore con Il contagio (Mondadori) della povera epica di questa grande trasformazione: «L’appassionata analisi di Pasolini, vecchia di oltre trent’anni, andrebbe rovesciata: non sono le borgate che si stanno imborghesendo, ma è la borghesia che si sta (se così si può dire) "imborgatando" (...) è l’ideologia di quelli che una volta si chiamavano gli esclusi (i lumpen, i sub-culturali) a risultare egemone». Un tempo questa emersione segnalava l’aprirsi di nuove forme di cittadinanza, oggi traduce efficacemente l’imbarbarimento della nostra vita sociale.
Cercando di ricomporre in un’unica narrazione - aiutati da una mezza dozzina di interviste a giornalisti, intellettuali e operatori culturali del territorio - l’insieme di questi cambiamenti e le tappe sociali e politiche che li hanno caratterizzati nella Capitale, Enzo Scandurra e Massimo Ilardi hanno curato Ricominciamo dalle periferie (pp. 143, euro 14.00), pubblicato
in questi giorni da Manifestolibri. Il volume pensato dai due ricercatori, da tempo sulla pista delle modificazioni urbane, colma il vuoto "narrativo" che ha accompagnato gli ultimi decenni della periferia romana - il famoso Roma da capitale a periferia di Ferrarotti è ormai da tempo fuori catalogo - ma risponde anche al quesito che si pone fin dal sottotitolo "Perché la sinistra ha perso Roma"?
Il punto di partenza è, se si può dire così, "la cronaca": «La disfatta elettorale della sinistra a Roma nell’aprile del 2008». «Quella che costituiva la "cintura rosa", il deposito elettorale privilegiato e quasi esclusivo della sinistra ha votato a destra». Accanto a questo, la necessità di capire cosa è accaduto in questi territori, cosa li ha trasfigurati al punto di chiedere di essere rappresentati da un sindaco con la croce celtica al collo. Raccontare ciò che è accaduto in quelle periferie che sono state abbandonate dalla ricerca e non solo dalla politica. Del resto, come spiegano i
due curatori, «cercare di capire come è mutata la periferia romana, tentare di avviare quello che dovrebbe essere un lungo lavoro di ricostruzione di una conoscenza analitica, puntuale, la cui assenza la dice lunga su cos’è oggi il fare politico, il fare sociologico, il fare urbanistico».
L’elezione di un sindaco postfascista con i voti determinanti degli abitanti delle periferie è "le case départ", il punto di non ritorno dal quale muovere per capire quanto accaduto: cercare cosa ha originato la valanga, non solo cercare di arginarla con qualche rattoppo. «E’ che questa sconfitta ha fatto vacillare un intero impianto teorico di credenze, luoghi comuni, dogmi, retoriche che costituivano gli ingredienti della cultura di sinistra. Termini e concetti come sviluppo, crescita, conflitto, compensazione, modernismo, innovazione, spazio pubblico, cittadinanza sono andati completamente in frantumi. Non, dunque, una tragica battuta d’arresto, non un incidente di percorso del magnifico e
progressivo ciclo riformista, ma una sconfitta di un modello che non ha portato da nessuna parte».
Per cercare una risposta, Ricominciamo dalle periferie attraversa i territori del veltronismo, della destra sociale diffusa a Roma, dei centri sociali e delle occupazioni di case, dei rave illegali e dei graffiti, ricostruisce il filo della sinistra di borgata e approda nei salotti televisivi di Maria De Filippi attraverso le parole di Walter Siti che chiudono il volume. Proprio l’autore de Il contagio riassume in una formula la fotografia che emerge da questo viaggio in ciò che è stato e potrà forse essere la periferia romana: «Non riesco a immaginare un borgataro riformista». de Liberazione