Il Petrolchimico di Brindisi, la -CATTEDRALE- che uccide
 







di Silvana Silvestri




petrolchimico

Un film-denuncia - realizzato per sostenere la campagna elettorale di Vendola - accusa la fabbrica della morte
Le zone velenose in Italia a volte sono segnalate da giocosi cartelloni luminosi (come quell'«aria non respirabile» che si legge quasi fosse una luminaria natalizia alle porte di Roma), ma più spesso sono occultate e preda della produttività selvaggia come, da anni a Brindisi dove ai contadini per un pugno di soldi si offrì un lavoro fisso e una condanna a morte per tumore. È la storia del Petrolchimico. «Produrre, consumare, morire» un documentario di Pippo Mezzapesa (vincitore lo scorso anno del David con il corto Zinanà), della giornalista Antonella Gaeta e di Enzo Piglionica è un durissimo attacco alla fabbrica dei veleni, il Petrolchimico che a Brindisi è responsabile della morte di centinaia di lavoratori. È un film realizzato per rendere giustizia almeno cinematografica a queste persone che non sono mai state
ascoltate. È stato presentato in anteprima a Brindisi e a Lecce in occasione dell'iniziativa «Artistixnichi» ovvero la creatività messa a disposizione della campagna elettorale per Vendola, movimento per un cambiamento sostanziale (tra gli altri partecipano alle numerose iniziative anche Sud Sound System, Folkabbestia, Edoardo Winspeare, Alessandro Piva, Davide Barletti (Fluid Video Crew), Aramirè, Officina Zoè, Mascarimirì, Alessandro Piva, Corrado Punzi, Paolo Pisanelli, Ippolito Chiarello, Fabrizio Saccomanno, Piero Rapanà, Mauro Marino. Il titolo si ispira a una frase pronunciata da uno degli operai intervistati, Franco Caiulo. Produrre, consumare, morire, dice, era il motto di lì dentro. Non è in Italia l'unica azienda ad aver causato delle morti, gli altri impianti a rischio sono Marghera e Taranto, il segreto è occultare le sostanze tossiche come per anni hanno fatto ad esempio anche le ferrovie, ignorare il problema, dire: «è tutto ok» alle visite mediche periodiche, tanto poi i morti non possono più lamentarsi. La battaglia di Brindisi è stata portata avanti per anni da pochi che si accorgevano delle tante morti per tumore da cloruro di vinile. Si parla di oltre 160 operai morti (ma medicina democratica ne aveva già rilevati 150 nel `78), ma si sa che sono molti di più, se si considerano anche i familiari o la gente che vive nelle vicinanze della fabbrica della morte (solo il P70, «il reparto della morte» è stato chiuso, ma ci è voluta una lotta durissima). Pochi avevano il coraggio di organizzarsi e parlare, minacciati di licenziamento dai dirigenti, come racconta il sindacalista Eugenio De Simone, ex tecnico che confessa di non poter vedere ancora il filmato perchè si acumula dentro troppa rabbia per tutto quello che non è stato fatto. Come ad esempio i fondi stanziati per la sicurezza e mai utilizzati, la lunga vicenda del declassificatore, un impianto a rischio rilevante di disastro ambientale. Si tratta non solo di individuare le sostanze nocive, ma anche di controllare tutto l'inquinamento del territorio.
Il Petrolchimico fu fatto lì per motivi elettoralistici. «era una fabbrica obsoleta fin dall'inizio, il mercurio entra nel mare, nessuno controlla nulla in Puglia, perchè il costo dei controlli è molto elevato e la medicina del lavoro non esiste» continua De Simone nel suo incontro con il pubblico. Mentre parla sono ben presenti le parole di Franco Caiulo, lo sguardo della vedova Caretto, il sapore di amaro in bocca, i turni avvelenati, mansioni da svolgere più in fretta possibile. Da una parte le scarpe che si sciolgono durante il turno per i liquidi velenosi sul terreno («non c'è tempo per pulire per terra» è la risposta dei capi), dall'altra i carciofi e i pomodori anneriti dalle sostanze tossiche che, più pesanti dell'aria si posano su tutto. Nato come spot elettorale che doveva durare tre minuti è diventato il racconto di dolorose vicende umane, un durissimo attacco politico.