Shell paga ed evita la sbarra per l’assassinio di Saro-Wiwa
 







di Simonetta Cossu




Ci sono voluti 14 anni ma alla fine ha avuto ragione lui. Ken Saro Wiwa, poeta e attivista per la difesa dei diritti umani ucciso per mano di un gruppo di paramilitari il 10 novembre 1995 su ordine dal regime dittatoriale nigeriano di Sani Abacha lo aveva previsto e scritto nel suo testamento: arriverà un giorno in cui la Shell, la compagnia petrolifera che ha sfruttato le ricchezze del suo paese dovrà rendere conto. Ed è quello che, in parte, è accaduto. Il colosso petrolifero anglolandese Shell ha accettato di pagare 15 milioni e mezzo di dollari (11,1 milioni di euro) per evitare di comparire in un imbarazzante e clamoroso processo davanti a un tribunale di New York.
Quella di ieri è di fatto una parziale ammissione di colpa, anche se Shell, nel comunicato per annunciare il patteggiamento, scrive di non aver partecipato alle violenze, ma che ci sono dei «querelanti e delle persone che hanno sofferto».
Il gigante anglo-olandese ha
dichiarato di aver acettato di regolare la faccenda per aiutare il «processo di riconciliazione», mentre continua a operare in Nigeria, pur negando qualsiasi implicazione nella morte del poeta Ken Saro-Wiwa e di altri cinque attivisti dei diritti dell’uomo e della protezione dell’ambiente, che avevano manifestato nella regione di Ogoni, nel sud della Nigeria.
«Penso che mio padre sarebbe felice di questo risultato», ha detto in un’intervista telefonica dalla sua abitazione di Londra il figlio dello scrittore Ken Saro-Wiwa Jr., 40 anni: «Il fatto che la Shell sia stata costretta a patteggiare per noi è una chiara vittoria».
Dal canto suo Jenny Green, avvocato del Center for Constitutional Rights di New York che avviò la causa contro la Shell nel 1996 ha commentato: «Basta questo a riportare in vita i nostri assistiti? Certamente no, ma è un messaggio chiaro a tutte le multinazionali che operano nei paesi in via di sviluppo: per fare affari non si possono più violare i diritti
umani. Nessuna corporation può più contare sull’impunità. L’accordo di oggi è sostanzialmente un’assunzione di responsabilità». «Questo accordo - ha aggiunto Paul Hoffman, uno dei legali che hanno portato la multinazionale in tribunale - è il primo passo verso la soluzione delle controversie ancora aperte tra Shell e Ogoni»
Ken Saro-Wiwa e altri otto attivisti vennero impiccati il 10 novembre 1995 al termine di un processo farsa. Fondatore del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (Mosop), Saro-Wiwa si batteva da anni contro i danni ambientali causati dalle attività petrolifere della Shell nella regione dell’Ogoniland, nel sud della Nigeria, e contro la miseria e l’arretratezza a cui il governo nigeriano condannava il suo popolo. Lo scrittore era riuscito a mobilitare migliaia di persone, a bloccare la produzione di greggio della Shell e a minare il sistema di corruzione e autoritarismo su cui si reggeva il regime di Abacha. Prima che venisse impiccato, Saro-Wiwa disse:
«Il Signore accolga la mia anima, ma la lotta continua». Per il figlio dell’attivista, Ken Saro-Wiwa Junior, l’avvio del processo, circa due settimane fa, aveva segnato una prima vittoria della lotta del padre, portata avanti in tutti questi anni. «In qualche modo abbiamo già vinto perché una delle ultime cose che mio padre disse era che un giorno la Shell avrebbe passato i suoi giorni in tribunale - dice Saro-Wiwa Junior, 40 anni, in un’intervista rilasciata all’Associated Press - Noi riteniamo che siano sfuggiti alle loro responsabilità per quanto accaduto in Nigeria, per questo vogliamo che le sue parole diventino realtà».
Shell ha sempre respinto tutte le accuse. "Shell non ha in alcun modo incoraggiato nè sostenuto alcun atto di violenza contro gli attivisti della gente Ogoni e cercò di persuadere il governo a essere clemente - aveva detto un portavoce della multinazionale - con nostro profondo rammarico quel nostro appello e gli appelli di molti altri rimasero inascoltati e
fummo scioccati e rattristati quando arrivò la notizia". La Shell non ha potuto più operare in Ogoniland dal giorno della morte di Saro-Wiwa ed è chiamata a rispondere anche di complicità nella tortura, nella detenzione e nell’esilio del fratello dell’attivista, Owens Wiwa.
Il tentativo da parte della compagnia petrolifera di negare un coinvolgimento nell’assassinio di Ken Saro Wiwa è debole e sono assai in pochi a crederci. Prima di tutto i famigliari dello scrittore. «Noi sappiamo che ci sono le loro impronte digitali su tutti i casi di tortura, uccisione ed esecuzioni extra-giudiziari della gente Ogoni tra il 1993 e il 1996 - aveva detto sempre in apertura di processo Saro-Wiwa Junior - garantivano sostegno logistico ai soldati coinvolti in questi abusi contro gli Ogoni». I militanti Ogoni sono riusciti a portare in aula una causa vecchia 14 anni in virtù di una legge che consente di perseguire un’azienda, che vanta una significativa presenza negli Stati Uniti, anche per crimini
commessi all’estero. E i querelanti auspicano che la causa rappresenti anche un monito alle aziende che operano oggi nel Paese. Anche se vecchia di 14 anni, infatti, la vicenda è ancora di forte attualità in Nigeria, dove i militanti non-violenti del Mosop di Saro-Wiwa, che praticavano la disobbedienza civile, sono stati rimpiazzati dai militanti del Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend), che ricorrono a sequestri, boicottaggi e scontri armati per perseguire gli stessi obiettivi.
Nell’accordo annunciato ieri è compresa anche una clausola di «non liability», cioè di non luogo a procedere per le presunte responsabilità della multinazionale. L’accordo salva la Shell da un processo imbarazzante e che di fatto paga una cifra abbastanza risibile se si guarda al suo bilancio, ma ora rischia di essere un motivo in più per la rabbia dei popoli del Delta del Niger. Nel cuore petrolifero nigeriano è scaduto alla mezzanotte di lunedì l’ultimatum lanciato dai guerriglieri del
Movimento di emancipazione del Delta del Niger [Mend] contro le multinazionali del petrolio e il governo federale. Potrebbe essere il preludio a una nuova escalation di attacchi contro le installazioni petrolifere. Sebbene la Nigeria sia uno dei principali produttori di petrolio, la maggioranza della popolazione nigeriana vive ancora oggi in condizioni di estrema povertà a causa della corruzione e dell’incapacità della classe di governo. Si stima che dal giorno dell’indipendenza, nel 1960, la corruzione sia costata alla Nigeria oltre 380 miliardi di dollari.de Liberazione