Il Cavaliere spregiudicatamente irreale
 











Berlusconi: "Chiudere la bocca a chi continua a parlare di crisi"
I media e le istituzioni economiche diffondono il panico: l’accusa viene dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che nella conferenza stampa tenuta per presentare le misure del decreto anticrisi si scaglia per l’ennesima volta contro i ’catastrofisti’. Suggerendo di "chiudere la bocca" a chi continua a parlare di "calo del Pil del 5% (il riferimento è all’ultima previsione della Banca d’Italia, ndr) o "di calo dei consumi del 5%".
"Alle parti sociali che ho incontrato questa mattina ho detto che questa crisi economica ha come primo fattore quello psicologico. - ha esordito Berlusconi, a Palazzo Chigi - Ho detto tante volte, e l’ho ribadito anche a loro, che il fattore ottimismo è fondamentale per uscire dalla crisi: la gente deve tornare agli stili di vita precedente e deve rialzare i consumi. Anche perché la gente non ha motivi per diminuire i consumi".
E qui è
arrivato l’affondo contro chi continua a diffondere informazioni sulla crisi e sulle sue conseguenze: per risollevare i consumi, ha detto Berlusconi, "bisogna far sì che prima di tutto il governo, e in secondo luogo tutte le organizzazioni internazionali contribuiscano a rilanciare la fiducia".
Ma le organizzazioni internazionali, ha affermato il presidente del Consiglio, invece "un giorno sì e uno no escono e dicono che il deficit è al 5%, meno consumi del 5%, crisi di qui, crisi di là, la crisi ci sarà per fino al 2010, la crisi si chiuderà nel 2011... Un disastro: dovremmo veramente chiudere la bocca a tutti questi signori che parlano, magari perchè di cose che i loro uffici studi gli dicono possono verificarsi, ma che così facendo distruggono la fiducia dei cittadini dell’Europa e del mondo".
Il premier ha anche attaccato "gli organi di stampa che prendono tutte queste posizioni insieme alle opposizioni che danno degli incentivi alla paura che sono fuori dalla realtà". E ha
annunciato: "A coloro che investono dobbiamo dire di non avere paura, li sosteniamo perché le banche gli diano credito, aumenteremo i fondi di garanzia. Dobbiamo dire agli imprenditori di non avere paura, di fare pubblicità ai loro prodotti, l’imprenditore che non ha coraggio perde quote di mercato".
E poi il premier ribadisce l’invito già fatto agli imprenditori a Santa Margherita Ligure (in occasione dell’Assemblea dei giovani di Confindustria): "Agli imprenditori ho detto: ’minacciate di non dare la pubblicità a quei media che sono anch’essi fattori di crisi, perché la crisi a questo punto è eminentemente psicologica".
"E’ un attacco gravissimo ma ormai quasi abituale alla libertà di stampa, - ha commentato Paolo Gentiloni, responsabile Comunicazione del Partito Democratico - dietro al quale si nasconde anche il solito vizietto di spingere gli investimenti pubblicitari verso le sue televisioni. Fenomeno che già sta avvenendo da quando Berlusconi è a Palazzo Chigi".

Rincara la dose Massimo Donadi, capogruppo di Idv alla Camera: "L’unico cui dovrebbe essere tappata la bocca, per il bene della nostra economia, è il presidente del Consiglio che, ormai in evidente stato confusionale e senza più controllo della situazione, ogni volta che parla o si muove fa danno al Paese".de La repubblica
"Ci risiamo con gli attacchi"gelo di Bruxelles sul premier
"Non è la prima volta che attacca gli organismi internazionali. La reazione più appropriata ci sembra quella di non commentare per non alimentare nuove polemiche". Un portavoce della Commissione europea ha replicato così all’ultima esternazione del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Alla sua inedita accusa agli organismi internazionali di aver causato la crisi, come titolava ieri Bloomberg, l’agenzia di stampa americana specializzata nell’informazione finanziaria, in un servizio trasmesso da Roma.
Ieri a Parigi, sede dell’Ocse, a Bruxelles, sede della Commissione
europea, a Washington, sede del Fondo monetario internazionale, sono rimasti sorpresi e increduli. Ma anche zitti. Perché nessuno ha avuto voglia di entrare in polemica con un capo di governo. Certo una critica di questa natura non l’avevano mai ricevuta. Il loro mestiere è anche quello di studiare le crisi, fare previsioni statistiche, aiutare le decisioni di coloro che da quelle parti chiamano i policy maker, i politici. Loro, invece, sono tecnici di altissimo livello. "D’altra parte - osservano chiedendo un assoluto anonimato - anche il governo italiano farà le sue previsioni nell’imminente Dpef. E che scriverà?".
La coincidenza ha voluto che Angel Gurria, segretario generale dell’Ocse, ieri fosse proprio a Palazzo Chigi, seduto alla destra di Berlusconi, durante la riunione con le parti sociali in vista del prossimo G8 dell’Aquila. Con il premier ci sono stati saluti cordiali, come si addice in queste circostanze. Gurria ha presentato il suo staff, parlando in italiano; ha poi
ribadito le sue preoccupazioni per gli effetti sociali della crisi mondiale, senza immaginare che da lì a poco, proprio le ultime previsioni del suo organismo sarebbero state infilzate da Berlusconi. Non direttamente, ma implicitamente visto che ancora Bloomberg ricordava le pessime previsioni dell’Ocse, le ultime da un punto di vista cronologico, per il nostro Pil nel 2009 (5, 5 per cento), tra quelle mal digerite da Berlusconi.
Ma le stime dell’Ocse sono sostanzialmente in linea con quelle del Fondo monetario e, ancora, con quelle della Banca d’Italia di Mario Draghi e della Confindustria di Emma Marcegaglia. Tutti segnalano che siamo in recessione, come raccontano i giornali del mondo intero. E che l’uscita non sarà né facile, né breve. La componete psicologica c’è ma non è certo all’origine della crisi. Zitti, allora, anche a Via Nazionale e anche all’associazione degli imprenditori che ieri ha incassato un pacchetto di misure non da poco. Il governatore Draghi ha in programma
oggi una conferenza stampa a Basilea, al termine del meeting del Financial stability board. Contro le previsioni di Draghi (Pil a -5%) si era già scagliato il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti: "Basta stime, fino a settembre". Difficile che oggi non si colga tra le righe delle dichiarazioni del governatore anche una risposta all’"assalto" portato dall’asse Berlusconi-Tremonti.
D’altra parte il diverso modo, tra Bankitalia e Tesoro, di intendere la politica economica in questa fase di crisi era già emerso nelle Considerazioni finali del 29 maggio.
Fatto sta che la crisi è entrata (eccome) anche nel governo. Non in termini politici, ma sotto il profilo delle risorse disponibili. Ce ne sono poche, si sa, e la colpa - si sa anche questo - non è degli organismi internazionali. Al Consiglio dei ministri è partito l’attacco a Tremonti in vista della prossima Finanziaria. Alla fine il titolare di Via XX settembre è sbottato: "Io non mi prendo la responsabilità di sforare il
bilancio. Non sarebbe serio nei confronti del Paese. E comunque non sarò io a farlo". Perché con un deficit che ormai galoppa verso il 5%, lo scenario che prevedono, facilmente, i vari ministri è quello dei tagli. Il primo scontro si avuto ieri. Protagonisti principali Tremonti e il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. Ancora Tremonti: "Io non do più soldi rispetto a quelli del semestre precedente". La Russa: "Sia chiaro allora che meno soldi vuol dire anche meno soldati". Però in Afghanistan ne abbiamo appena mandati 500 in più.
L’intesa pare sia stata raggiunta con una mediazione: due mesi in meno di permanenza dei soldati e via via una riduzione della nostra presenza nei Balcani e in Africa.
Ha cercato di allentare la tensione il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto: "D’accordo facciamo una colletta tutti noi". E ha tirato fuori il libretto degli assegni. Ma è servito a poco. Perché le lamentele sono arrivate, oltre che dal titolare dei Beni culturali,
Sandro Bondi, anche dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, rivolto a Tremonti: "Con lo stanziamento che stai presentando, io non riesco a fare un lavoro serio". Questa è la crisi. Roberto Mania (de La Repubblica)
Minacce e disperazione
Con un passo in più verso il suo personale abisso politico, ieri Silvio Berlusconi si è collocato all’opposizione rispetto all’establishment internazionale di cui dovrebbe far parte come imprenditore e come capo del governo italiano. Sentendosi assediato dall’imbarazzo che lo circonda fuori dal paesaggio protetto del suo mondo televisivo, il premier ha attaccato tutto il sistema libero e autonomo che non accetta di farsi strumento del suo dominio: Banca d’Italia, organismi di analisi e di controllo internazionale, Europa, e naturalmente "giornali eversivi", vale a dire Repubblica.
Questa volta la minaccia è esplicita e addirittura sguaiata nella sua prepotenza, se non fosse un segno chiaro di disperazione. Il Cavaliere
annuncia infatti che "chiuderà la bocca" a "tutti quei signori che parlano di crisi", alle organizzazioni che "continuano a diffondere dati di calo dell’economia anche di 5 punti", come ha appena fatto nel doveroso esercizio della sua responsabilità il governatore Draghi e come fanno regolarmente istituzioni neutre, libere e autorevoli nel rispetto generale dei leader democratici di tutto l’Occidente.
Nello stesso tempo Berlusconi rilancia la sua personale turbativa di mercato, invitando esplicitamente gli investitori a "minacciare" il ritiro della pubblicità ai giornali che a suo giudizio diffondono la paura della crisi.
Davanti a un premier imprenditore ed editore che chiede agli industriali di "minacciare" i giornali, con l’eco puntuale e ridicola del ministro Bondi che replica l’accusa di eversione a Repubblica, ci sarebbe poco da aggiungere. Se non notare una cosa: è la prima volta che Berlusconi esplicita la sua vera intenzione verso chi sfugge alla pretesa impossibile di
narrazione unica della realtà.
Tecnicamente, si chiama pulsione totalitaria: anche se la deriva evidente del Cavaliere consiglia di considerarla soprattutto velleitaria, e a termine. Ezio Mauro (de La Repubblica)
La manovrina delle illusioni
In tutto il mondo la parola d’ordine di chi ha in mano le leve della politica economica è oggi definire una "exit strategy", una strategia di uscita dalla crisi. Si tratta di pensare a misure che valgano non solo per portarci fuori dalla recessione.
Ma anche e soprattutto per il dopo, quando finalmente saremo fuori dalla depressione più nera del Dopoguerra. Per il nostro governo, invece, la parola d’ordine è sempre stata e continua ed essere un’altra: "guadagnare tempo" e "negare sempre e comunque l’evidenza" della crisi. È esattamente con questo spirito che è stata varata la manovrina d’estate, un pacchetto di interventi altamente eterogenei, accomunati solo dalla loro natura transitoria e piccola entità. Insomma,
le solite bandierine da esibire nei convegni. Anche le misure potenzialmente più utili - come la detassazione degli utili reinvestiti - sono rese del tutto inefficaci dai limiti temporali (giugno 2010) e dai tetti loro imposti. Per indurre le imprese a investire non si può aggiungere incertezza a incertezza, unendo ai rischi della crisi quelli di non vedersi riconosciuti gli aiuti promessi dallo Stato.
Erano molto attesi i provvedimenti sul mercato del lavoro alla luce della forte crescita della disoccupazione a inizio 2009. Il provvedimento più importante consiste nella proroga della proroga, la possibilità concessa ai lavoratori in Cassa Integrazione di allungare ulteriormente la durata dei trattamenti loro riservati e addirittura rimpinguarli fino al 100 per 100 cento del salario precedente. Questo avverrà frequentando corsi di formazione forniti dalla stessa impresa presso cui operavano. La misura non può certo migliorare le opportunità di impiego di quei lavoratori che sono
occupati in quelle tante imprese che non hanno un futuro oltre la crisi. Al contrario, si tratta di un tampone che serve solo ad illudere il lavoratore. Come ampiamente documentato, chi è in Cassa Integrazione dedica molto meno tempo (per la precisione un terzo del tempo) di chi è disoccupato nella ricerca di un impiego alternativo. Rischierà poi di dover cercare un lavoro in fretta dopo aver perso da troppo tempo contatto col lavoro vero, quando tutto è più difficile.
Ma questa misura, assieme al premio ventilato per le imprese che non metteranno più lavoratori in esubero, è soprattutto uno schiaffo ai lavoratori che hanno sin qui già perso il lavoro. Ci riferiamo, ai quei 400 mila precari, quasi tutti giovani, che non si sono visti rinnovare il contratto dall’inizio della crisi, secondo i dati sin qui disponibili (che si fermano a tre mesi fa). Di questi, nella migliore delle ipotesi, solo uno su tre riceve un sussidio di disoccupazione ordinario per pochi mesi, a fronte di una
durata della disoccupazione che nel cinquanta per cento dei casi è superiore ai 12 mesi. Ovviamente la proroga della Cassa Integrazione non li interessa. Al contrario, il provvedimento servirà a rendere ancora più difficile per loro trovare un impiego alternativo perché le imprese in difficoltà, incentivate a tenere in busta paga i lavoratori in esubero, reagiranno bloccando le assunzioni.
Per questo governo quel 25 per cento di disoccupazione fra chi ha meno di 35 anni in Italia semplicemente non esiste. Lo ha detto chiaramente in queste settimane il ministro Sacconi, che ha invitato i giovani a fare gli imbianchini anziché perdere tempo nella ricerca di lavori in cui possano meglio utilizzare il proprio capitale umano a beneficio di tutti. Lo ha poi ribadito, qualche giorno dopo, il ministro Tremonti, che ha sostenuto che per essere contabilizzati come disoccupati dall’Istat basta rispondere svogliatamente ad una telefonata fatta a 1000 persone. Niente di più falso. Si tratta di
280.000 interviste, non poche delle quali svolte di persona, a casa dell’intervistato, e la condizione di disoccupato viene accertata sulla base di una serie di domande che definiscono oggettivamente lo stato di disoccupazione, sulla base di criteri molto restrittivi: ad esempio, basta lavorare anche solo un’ora nell’ultima settimana per non essere più contato tra i disoccupati. Che vivono una condizione di disagio effettivo, non di svogliatezza o pigrizia: i disoccupati rilevati dalle statistiche sulle forze di lavoro sono, ad esempio, due volte più vittime di crisi depressive e stressati di chi un lavoro ce l’ha. Del resto chi oggi svilisce le statistiche dell’Istat qualche anno fa, quando la disoccupazione calava, parlava di "cifre inequivocabili che confermano la bontà e l’efficacia delle azioni intraprese dal governo".
E non può che avere il sapore del commissariamento dell’Istat la scelta, in questo clima, di creare una banca dati integrata sul mercato del lavoro, gestita dai
ministeri del Tesoro e del Lavoro con gli istituti "vigilati o controllati dai ministeri".
In ogni caso da ieri l’informazione economica in Italia è ancora meno libera. Non solo per le ennesime gravissime minacce del presidente del Consiglio, di cui si dà conto in altre parti del giornale. Il fatto è che il governo ha fatto un regalo alla Fieg, Federazione Italiana Editori di Giornali, ripristinando l’obbligo per le società quotate di fare pubblicità a pagamento sui giornali non solo di eventi societari, ma anche di informazioni sensibili. Lo ha fatto contravvenendo a una delibera della Consob che aveva ritenuto sufficiente la semplice comunicazione, a titolo gratuito per le società, su Internet. E ha respinto le dimissioni di Lamberto Cardia, l’eterno presidente della Consob, che era stato messo in minoranza all’interno della commissione proprio per aver cercato di andare incontro alle richieste della Fieg. L’interrogativo che ogni democratico dovrebbe porsi è: che cosa potrebbe
pretendere il governo in cambio di questa concessione fatta agli editori, soprattutto in un momento in cui mass media e carta stampata versano in grave crisi? Tito Boeri ( de La repubblica)